domenica 26 dicembre 2021

Franco Abate, "Il ceppo di Natale"

 STAMATTINA vedendo questo Post pubblicato da un mio amico (IL CEPPO di NATALE, antichissima tradizione natalizia , che ha anche un significato simbolico: il legno che arde è il simbolo del passato, e nel nuovo bruciare si configura un anelito di purificazione) ho rivissuto quei momenti in cui mio nonno, ogni anno, lo ripeteva da sempre seguendo un vero e proprio rituale. Sceglieva il ceppo molto tempo prima; lo teneva da parte facendolo così diventare per tutti " U zippone i Nèthèghe". La gestualità che seguiva da quel momento sino alla sera della Vigilia spaziava tra il sacro e il profano-(mia nonna)--"Tataranne mo vède a pigliè u zippone nda stalla"--"(mia madre)--Guagnù: mittìteve nturne u fucuguère"--(il nonno a mia nonna)--"Pippì, aiùtame allu mitte ndu fuche"--(mio padre)--"Non ridete e sbàttiti i mane"--(Noi tutti, battendo le mani)--"Evviva evviva: Buon Natale a tutti quanti!!!-- Quello che però più interessava a noi fanciulli, non era tanto il prima quanto il dopo acchè il ceppo finisse sul fuoco in quanto c'era la lettura della Letterina con la quale nell'occasione "purificavamo" le nostre marachelle, pattuendo improbabili promesse che non avremmo mantenuto, ma che ci sarebbero state parimenti "perdonate" il Natale venturo con lo stesso "rituale" che il nonno, come da sempre, poi chiudeva porgendo a ciascuno, a seconda dell'età di noi penitenti, 5, 10, 20 lire!

martedì 21 dicembre 2021

Scienza: l'assoluto e il relativo

 Non pensavo di dover rispolverare alcuni concetti base di statistica studiacchiati in età giovanile, ma alcune problematiche attuali, d'un certo rilievo sociale, me lo impongono.

Parlo del concetto di probabilità, che se ben ricordo è misurabile come il rapporto fra i casi favorevoli e i casi possibili. Es. Gettando un dado (notoriamente con i primi sei numeri), la probabilità che esca il 3 è di 1/6; estraendo una carta dal mazzo del poker (13 per ogni seme+il jolly), la probabilità è di 1/14. In entrambi i casi, essendo il numeratore inferiore al denominatore, il risultato sarà compreso fra lo zero ed uno, cioè uno zero virgola qualcosa, che possiamo trasformare nella misura percentuale, più comprensibile per tutti, moltiplicando il risultato per 100 (nel caso del dado 1/6 = 0,167 = 16,7%).
 
Un risultato compreso fra zero e uno significa che esso non può coincidere né con zero (gettare un dado sperando che esca il 7 è assurdo, perché il 7 non c'è: probabilità 0/6) né con 1 (dire che lo si fa, sperando che esca un numero qualunque fra quelli presenti sul dado, è sciocco perché l'evento copre tutte le possibilità: probabilità 6/6). 

A cosa serve il richiamo a questi concetti elementari della statistica? Nel balbettio generale che oggi invade la tv e i social, serve a dare una risposta a coloro i quali mettono in discussione l'efficacia del vaccino antivirus con l'affermazione che esso non garantisce l'immunità.
Nessuno, e in nessun campo, può garantire un qualcosa al cento per cento. Neppure la fisica, la scienza in cui gli esperimenti hanno per oggetto la materia non vivente... figuriamoci la medicina, disciplina in cui ogni variabile dipendente ha innumerevoli variabili indipendenti, di natura psichica oltre che somatica.

Ma non avere certezze non equivale al non sapere nulla. Se abbiamo l'emicrania e prendiamo un antidolorifico, nessun medico ci assicura che staremo meglio. Allora perché il medico ce lo prescrive? I motivi sono due: 1) perché dagli studi teorici risulta che la sostanza contenuta nel farmaco inibisce una particolare zona del cervello, quella deputata a recepire gli stimoli del dolore; 2) perché nel corso della sua attività professionale ha sperimentato che in un consistente numero di casi quell'antidolorifico ha avuto l'effetto sperato. Questo il motivo per cui tendiamo a fidarci del medico con maggiore esperienza rispetto al pivello che ha appena terminato gli studi.

Vaccinarsi, dunque, non garantisce l'immunità. Tuttavia, la conoscenza del rapporto fra il 'numero dei sopravvissuti' e il totale dei 'soggetti vaccinati' ci fornisce una prima indicazione sulla probabilità statistica di sopravvivenza delle persone vaccinate. Se tale rapporto è, per ipotesi, di 98/100 (98%), vuol dire che il vaccino è abbastanza efficace.
Questo dato diventa ancora più significativo se raffrontato con un altro: il rapporto fra il numero dei sopravvissuti e il totale dei 'soggetti non vaccinati'. Se tale rapporto è, per ipotesi, di 70/100 (70%) vuol dire che, anche senza vaccino, la maggioranza delle persone si salva - grazie alle proprie predisposizioni genetiche e/o alle terapie mediche - e tuttavia 28 persone su 100 muoiono per non aver fatto il vaccino. Sembra poco avere conoscenza di questi dati?

I dati statistici possono aiutarci a chiarire anche un altro problema, quello dei pericoli connessi alla vaccinazione.
Si sono verificati dei casi di reazioni avverse, alcune delle quali letali, che hanno allarmato non poco i media e, tramite essi, la popolazione.
Anche in questo caso, per giudicare l'indice di pericolosità del vaccino', dobbiamo ricorrere alla probabilità statistica. Per poter giudicare il pericolo dobbiamo confrontare il numero di episodi letali dovuti al vaccino con quello degli episodi letali dovuti ad altri farmaci. Se tale rapporto non è decisamente superiore a 1, dobbiamo attribuire al vaccino un indice di sicurezza accettabile.

Questo è ciò che si può dire sulla vaccinazione dal punto di vista strettamente sanitario e in modo rispettoso delle conoscenze acquisite. Altre argomentazioni, relative allo sfruttamento economico dei brevetti, alla presunta violazione della privacy mediante green pass ecc. sono pertinenti alla politica e non soggette a misurazioni probabilistiche. Esse vengono usate in modo strumentale a fini politici, estranei al problema sanitario.
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mercoledì 8 dicembre 2021

Covid: politica e psichiatria

 

I dati statistici sulla pandemia da covid si vanno man mano consolidando: in tutti i paesi c'è una forte correlazione fra percentuale di non vaccinati e percentuale di morti per covid. Chi, invece di parlare di incidenza percentuale parla di numeri assoluti, o ignora l'analisi statistica o imbroglia. 
Di fronte a questa evidenza, perché resiste ancora una minoranza rumorosa e pericolosa di persone che, non solo hanno deciso di non vaccinarsi, ma sono diventati 'attivi propagandisti' contro la vaccinazione? 
Io alla paura di vaccinarsi non ci credo. Gli Italiani sono forti consumatori di farmaci. Tutti i farmaci hanno delle controindicazioni che, a leggere i bugiardini, fanno venire i brividi, ma noi ne consumiamo il doppio dei Tedeschi. Dunque escludiamo la paura. 
Rimangono in piedi due ipotesi: la strumentalizzazione politica e i disturbi psichici, cause che in alcuni casi operano in modo indipendente e in altri casi si intrecciano e si sommano. 
1. La strumentalizzazione politica è resa evidente dal posizionamento di alcuni partiti in relazione al problema. I partiti che si ispirano alle teorie liberiste in ambito economico, e a quelle darwiniste in ambito filosofico, vedono nella libertà di non vaccinarsi il riconoscimento e il trionfo della superiorità genetica e caratteriale di alcuni individui rispetto ad altri. 
2. Le patologie psichiche sono rilevabili nelle argomentazioni complottistiche. Le personalità paranoidi (forma attenuata di quelle paranoiche) sono fenomeni individuali, che talvolta possono però diventare collettivi attraverso il contagio sociale. 
 La paranoia è paura degli altri, timore che gli altri vogliano costantemente farci del male. Da questi pericoli il paranoide si difende solitamente isolandosi, ma in certi momenti storici si creano le condizioni per l'aggregazione sociale fra soggetti malati. In questi casi la percezione di pericoli da parte di tutto il mondo circostante si trasforma in un pericolo, o meglio un nemico, ben preciso. 
 Ciò avvenne nella Germania nazista verso gli Ebrei e, più recentemente, nella Padania, prima verso gli Italiani del sud e poi verso gli immigrati extraeuropei. Questo passaggio dalla paranoia individuale a quella collettiva è quasi sempre fomentata, strumentalmente, da alcune forze politiche.

Corigliano Rossano - La città radiale idealizzata

 

Proposta di schema urbanistico. 
Tutto è perfettibile con le dovute modifiche, ma questa è a mio avviso la direzione giusta se non si vuol fare fallire la fusione fra Corigliano e Rossano. Poi sull'operato dell'amministrazione ognuno dà il proprio giudizio.




domenica 28 novembre 2021

Lavori perduti. Il sarto

 




Su Via Vittorio Emanuele, proprio di fronte al Monumento ai Caduti della Prima Guerra Mondiale, c'era la sartoria di Gabriele Granata, uno dei tanti sarti e delle tante sarte che cucivano pazientemente gonne, giacche e pantaloni dalla mattina alla sera.
Da piccolo spesso i pagliaccetti e i pantaloncini corti me li cuciva mia madre alla vecchia Singer della nonna, poi passata a lei per... usucapione. Ma se si trattava del completino elegante per le occasioni, bisognava andare da mastro Gabriele.
Io ci andavo controvoglia perché per più di mezza ora dovevo fare il... manichino. "Cata', stai fermo. Tieni il braccio così, adesso allargale tutte e due le braccia, vediamo la lunghezza delle gambe. Non ti muovere!". A ogni gesto e ogni parola, uno spillo fissava le... idee del mastro.
Bisognava tornarci una, due, tre volte, quanto necessario perché tutto cascasse a pennello. Tutto questo avveniva dopo che mia madre aveva comprato la stoffa dalla signora Rizzo, dopo lunghe trattative di stile orientale.
Sempre sulla stessa via, nei primi anni Sessanta, Franco Mandarini, persona competente e dai modi sempre garbati, apriva il negozio coi vestiti della Lebole ed altre fabbriche del nord. Lì, niente più metro e spilli, Franco dava una squadrata alla tua altezza e alla tipologia in cui rientrava il tuo corpo, capiva al volo se eri uno da venti, cinquanta o centomila, e poi con estrema decisione ti proponeva un vestito 'bello e fatto' di taglia x e drop y. Non restava che provarne due o tre, scegliere la stoffa e il colore, pagare e tornare a casa con una grande busta.
Andare contro il progresso non si può, era giusto che le cose andassero così, e nel giro di due decenni la città fu piena di negozi per uomini, donne e bambini.
Ma... che ne fu dei tanti mastro Granata e delle tante Celeste che passavano le giornate a cucire? E delle signore Rizzo che srotolavano decine di stoffe sul loro banco? E dei signori Scazziota che ti vendevano nastri e bottoni? Spariti tutti? No qualcuno resta, ma quanti? Pochi. Niente più sarti né venditori di stoffe, di bottoni e di... macchine Singer.
E il denaro che arrivava a questi signori che strada ha preso da quel momento in poi?
Fino al Duemila ha percorso la penisola da sud a nord. Dal Duemila in poi una parte resta al nord e un'altra parte prende la via della seta, la Cina comunista, che dà lezioni di pro-dut-ti-vi-ta' al sistema capitalistico. I signori Granata, Rizzo e Scazziota non hanno avuto figli d'arte. Rip! Anche i loro mestieri sono perduti.






sabato 27 novembre 2021

Lavori perduti. Il barbiere





La mia prima esperienza di taglio dei capelli, senza essere accompagnato, fu tragicomica. Nella saletta del barbiere c'erano una decina di persone e io ero fra gli ultimi. Seduto, composto e in silenzio, attesi forse per due ore il mio turno. Sembrava che per una barba il 'mastro' impiegasse un anno e per un taglio di capelli un secolo. Li avete osservati nella loro lentezza? Vanno alla fine a scovare i peluzzi sfuggiti alle forbici uno per uno.
Dunque quando arrivò finalmente il mio turno mi sedetti. Dopo circa dieci minuti metà dei capelli era per terra. L'artista, mastro Nicola, era a metà dell'opera, forse dopo altri 15 o 20 minuti sarei stato... liberooo!
Ma non andò così. Entra un signore di un paesino vicino Rossano e dice: "Ho il pullman che sta per partire, possiamo fare la barba?". L'artista mi fa scendere dalla poltroncina e mi prega di aspettare. Io scendo, ma... non aspetto. Corro verso casa con mezza testa tosata e mezza testa coi capelli lunghetti. A casa mi aspettavano risate beffarde: il danno e la beffa!
Di tosatori d'uomini all'epoca, 1955,  quando io avevo circa 7 anni, ce n'erano forse 20 o 30 e i loro saloni erano quasi sempre affollati. Ci andavano tutte le categorie sociali. Professionisti e commercianti spesso, contadini e operai forse una volta la settimana. Su 12.000 uomini del paese pochi si radevano in casa (non c'erano ancora i rasoietti bic) e nessuno era capace di farsi i capelli da sé. Fare il barbiere non faceva diventare ricchi, ma consentiva di vivere in dignitosamente. Per questo in ogni salone c'era un giovanissimo apprendista (spesso un bambino delle medie) che porgeva il pennello e le forbici adatte e durante la 'tosatura' allontanava dai piedi dell'artista... la lana umana!
Le cose erano però destinate a cambiare: prima arrivarono i pennelli, la crema da barba in barattolo e il rasoietto bic, poi la schiuma, poi il rasoio elettrico e infine il... tagliacapelli! Ora i saloni non sono più 25 o 30, forse neppure la metà, e i pochi rimasti sono per lo più... deserti. Un altro mestiere è perduto!



sabato 8 maggio 2021

I sibariti

A Sibari non ci sono più 'sibariti'. La loro ricchezza e raffinatezza si è trasferita si è trasferita in Via Montenapoleone. Speriamo che lì abbiano un destino migliore.

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“Fra le più rigogliose colonie che fiorirono in quegli anni dall'ottavo al sesto secolo avanti Cristo, ci furono quelle della Magna Grecia sulle coste dell'Italia meridionale. I greci vi giunsero per mare, sbarcarono a Brindisi e a Taranto, e fondarono parecchie città, fra le quali Sibari e Crotone furono presto le più popolose e progredite.

La prima, che a un certo punto ebbe - dicono - trecentomila abitanti, è rimasta talmente celebre per i suoi lussi che dal suo nome è stato coniato un aggettivo, sibarita, sinonimo di «raffinato». Vi lavoravano soltanto gli schiavi, ma anche ad essi erano interdette tutte quelle attività - di fabbro o di carpentiere, per esempio - che potevano coi loro rumori disturbare le «pennichelle» pomeridiane dei cittadini. Costoro si occupavano solo di cucina, di moda e di sport. Alcistene si era fatto confezionare un vestito che poi Dionigi di Siracusa rivendette per mezzo miliardo di lire, e Smindride si faceva regolarmente accompagnare nei suoi viaggi da mille servitori. I cuochi avevano diritto di brevettare i loro piatti, per un anno ne serbavano il monopolio, e con ciò accumulavano un patrimonio che gli bastava a campar di rendita per il resto della vita. Il servizio militare era sconosciuto.

Purtroppo, sulla fine del sesto secolo, questa felice città, oltre al piacere e al comodo, volle anche l'egemonia politica, che con essi male si accorda, e perciò si mise in contrasto con Crotone, meno ricca, ma più seria. E con un enorme esercito le mosse contro. I crotonesi - raccontano - lo attesero armati di flauti. Quando si misero a suonarli, i cavalli di Sibari abituati, come quelli di Lipizza, più all'arena del Circo che al campo di battaglia, cominciarono a danzare. E i rozzi crotonesi massacrarono allegramente i cavalieri rimasti in balìa dei loro quadrupedi. Sibari fu rasa al suolo con tanta coscienza che, meno di un secolo dopo, Erodoto, venuto a cercarne i resti, non riuscì a trovare nemmeno quelli. E Crotone, distrutto il nemico, s'infettò, come al solito, dei suoi microbi e si ammalò a sua volta di sibaritismo.”

 Indro Montanelli, Storia dei Greci, Ed. BUR 1989, pagg. 61,62 

Scavi di Sibari

domenica 2 maggio 2021

Intervento del Sen. Marco De Simone per l’Università della Calabria (1961)

 


Conobbi il Senatore Salvatore Marco De Simone nel 1963; io, appena quindicenne, iscritto alla Giovanile Comunista e lui, quasi cinquantenne, maggiore esponente della sezione locale del PCI. In quell’anno lui terminava il suo mandato parlamentare e si apprestava a una nuova campagna elettorale. Aveva fiducia nei giovani e discuteva con loro senza mai far pesare la sua lunga esperienza, maturata prima come partigiano e poi come dirigente politico e uomo di cultura. 
In virtù di tale fiducia in quello stesso anno mi consegnò due libri, affidandomi il compito di analizzare i dati sulla emigrazione dalla Calabria. Ricordo di averlo fatto col massimo impegno, riportando poi su grandi tabelloni le statistiche relative ai flussi migratori e la quantificazione approssimativa del costo sostenuto dalla nostra Regione per fornire forza lavoro alle imprese del settentrione e del resto d’Europa. Serbo tuttora gratitudine per quella esperienza, forse anticipatrice delle mie future scelte di studio.
Fra il ‘63 e il ’66, anno in cui partii per l’università, partecipai con assiduità alle riunioni del Partito ed ebbi dal senatore De Simone il testo di un suo importante intervento sull’istituzione dell’università in Calabria. Copia di tale intervento è reperibile anche fra i resoconti stenografici del Senato all’indirizzo http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/434138.pdf, ma lo ripropongo anche qui di seguito per una più facile reperibilità sul web, rinviando al futuro le tante riflessioni cui esso può tuttora dare adito.

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Sen. Salvatore Marco De Simone, 1961

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore De Simone. Ne ha facoltà. 
DE SIMONE. Onorevole Presidente, onorevole Ministro, onorevoli colleghi, nel prendere per la prima volta la parola in quest'alta Assemblea mi sia consentito di rivolgere un deferente saluto al Presidente ed ai colleghi tutti. Di questo saluto sento imprescindibile il dovere perché esso vuol significare il mio profondo omaggio al nuovo Parlamento italiano nato dalla Resistenza e dalla lotta di Liberazione. E se solo oggi prendo la parola, questo è dovuto al fatto che  solo recentemente sono entrato in questa  solenne Assemblea, in seguito a un fatto molto doloroso - la morte del senatore Primerano, a cui va il mio deferente e commosso pensiero in questo momento - e in secondo  luogo alla mia naturale ritrosia o timidezza, quando si tratta di parlare in pubblico e soprattutto in questa alta Assemblea. Per questa seconda ragione, credetemi, mi sento sgomento nel parlare a voi, a lei, onorevole Presidente, e a lei, onorevole Ministro, che è stato mio professore.
Ebbene, parlerò da calabrese e da comunista calabrese, perché mi pare che in questa Assemblea si vogliano mettere sotto accusa i comunisti e in modo particolare i parlamentari comunisti calabresi. Consentitemi di dire che io una cosa non capisco: ho sentito dei discorsi nei quali si è fatto, secondo me, la caccia alle streghe quando ci si è rivolti contro dei parlamentari, contro dei rappresentanti del popolo italiano, i quali non vorrebbero e farebbero di tutto per impedire che sorga in Calabria l'Università. 
GENCO. Allora voterete a favore! 
DE SIMONE. Noi parliamo dell'istituzione della Università in Calabria. Una questione è l'istituzione dell'Università, un’altra è la maniera in cui si realizza. L'istituzione dell'Università in Calabria l'abbiamo già votata in Commissione quando abbiamo votato l'emendamento secondo il quale a decorrere dall'esercizio finanziario 1961-62 è Istituita l'Università per la Calabria.
Bisogna sbarazzare il terreno da una stortura, da una menzogna, perché qui, onorevoli colleghi, quel che prende rilievo soprattutto sono le accuse che ci vengono lanciate  dai senatori calabresi democristiani, i quali del resto sono gli unici senatori della maggioranza che finora hanno preso la parola nel dibattito in corso. Noi parlamentari comunisti calabresi siamo stati sfidati a dire la nostra parola, a dire se vogliamo l'Università in Calabria. 
Non è su questa questione che è avvenuto l'urto, il conflitto tra la maggioranza e noi comunisti. La questione da noi posta, anche in Commissione, è stata se i corsi dovessero iniziare dal 1961-62 oppure se si dovesse fare in modo che questi corsi iniziassero allorquando ci fossero state tutte le garanzie necessarie perché una Università potesse funzionare. Se si fosse accettato il nostro punto di vista, se si fosse accettato cioè il punto di vista di non iniziare per quest'anno accademico i corsi universitari, è chiaro che noi avremmo potuto continuare a dibattere la questione in sede deliberante in Commissione, e naturalmente avremmo detto in quella sede tutte le cose che diciamo qui. D'altra parte, onorevoli colleghi, credo che non sia  stata poi cosa da riprovare il fatto che il  disegno di legge sia stato portato in Assemblea perché qui si chiariscono meglio le proprie posizioni ed è più difficile arrivare a portare a buon punto speculazioni politiche, che non fanno onore al partito o ai partiti che le tentano. 
BOSCO. Ministro della pubblica Istruzione Ma i suoi colleghi, onorevoli Luporini e Donini, hanno chiesto un rinvio almeno di due anni, se non di tre anni. Quindi non  si tratta del 1961-62. 
DE SIMONE. Noi abbiamo chiesto in Commissione che i corsi non iniziassero dal 1961-1962. Avevamo presentato questa proposta, senza stabilire un termine, e non ci eravamo impegnati sugli ulteriori termini di inizio. Si sarebbe potuto, in questo quadro, continuare a discutere e allora avreste potuto metterci anche in difficoltà, in relazione alla questione se l'inizio dei corsi dovesse aver luogo nell'anno successivo o meno. Ma che sia stato chiesto - ed è vero - che i corsi iniziassero tra due anni, ha la sua importanza. Questo, direi, esprime la serietà della nostra posizione nei confronti dell'istituzione dell'Università in Calabria. Ed è su questa posizione di serietà che noi vogliamo qui richiamare l'attenzione dell'Assemblea. Ed allora ecco che vengono meno tutti quelli che sono stati i tentativi  di distorsione, tutta quella che è stata l'azione propagandistica svolta soprattutto in Calabria dal partito della Democrazia Cristiana. Onorevoli colleghi non calabresi, voi non avete avuto i riflessi, le ripercussioni di quella che è stata l'azione di propaganda insidiosa, menzognera, condotta dalla stampa governativa nei confronti della nostra posizione.  Si sono additati i comunisti come i nemici dell'istituzione dell'Università in Calabria, come coloro che non volevano l'Università in  Calabria. Ecco quello che è stato detto e  scritto da deputati, da parlamentari democristiani in Calabria. Ed allora noi, come  parlamentari comunisti calabresi, dobbiamo domandarci se ciò corrispondesse appunto ad un tentativo, ad un preciso fine di propaganda politica e se, attraverso questa impostazione, non si sia voluto dare all'istituzione dell'Università in Calabria un carattere politico, un carattere elettoralistico, aggiunge il collega De Luca, che non avrebbe dovuto avere. 
Ma se la questione viene posta su questo  terreno, allora noi dobbiamo dire che al fondo ci sono motivi ben più profondi che noi dobbiamo richiamare all'attenzione dell'Assemblea. Ebbene, onorevoli colleghi, qual è  stato il momento in cui l'istituzione dell'Università in Calabria è divenuta una realtà legislativa, una concreta proposta di legge? Il momento in cui l'onorevole Fanfani ha fatto il suo viaggio in Calabria e si è trovato di fronte ad una certa situazione, ad una situazione veramente grave e allarmante. Non sono cose che abbiamo denunciato noi; sono constatazioni fatte dall'onorevole Presidente del Consiglio, ed anche dai parlamentari democristiani. E non è a caso che l'onorevole Fanfani ha fatto il viaggio in Calabria immediatamente dopo l'inaugurazione della Fiera di Milano. Lo stesso dicasi  per la visita, effettuata qualche settimana fa in Calabria, dalla Commissione di industriali lombardi guidata dall'onorevole Cassiani, del Comitato promotore per lo sviluppo della Calabria. Non vi dirò cosa è stato scritto a questo proposito, sulle velleità di industrializzazione della Calabria, da parte di giornalisti del nord al seguito della Commissione. 
Voi, colleghi democristiani calabresi, avete tentato di mettere sotto accusa i comunisti, avete voluto fare una speculazione politica sulla questione dell'Università in Calabria. Allora è necessario dire chiaramente  come stanno le cose. 
Che cosa è avvenuto in Calabria? C'è stata la politica meridionalistica della Democrazia Cristiana, c'è stata la Cassa del Mezzogiorno, c'è stato ancor prima lo stralcio di  riforma agraria, c'è stata successivamente la legge speciale per la Calabria, che tante  speranze aveva fatto sorgere anche in noi, e  lo diciamo con tutta franchezza. Ebbene, a che cosa sono serviti questi  provvedimenti, se ad un certo momento il Presidente del Consiglio, il Governo democristiano, soprattutto i parlamentari calabresi si sono trovati di fronte ad un fenomeno preoccupante, e cioè all'esplosione dell'emigrazione della nostra regione all'estero? 
All'inizio la Democrazia Cristiana accolse  favorevolmente l'emigrazione. Ma arrivò il momento in cui questa emigrazione mise in pericolo la stessa vita della regione calabrese e ci si accorse - ho qui i documenti - che aveva ripercussioni dannose anche per il nord, in quanto pregiudicava la stabilità  dei salari, perché alle industrie del nord veniva meno quella massa di manovra che fino allora era stata rappresentata dalla mano d'opera meridionale e in particolare calabrese.  
Io ho qui gli articoli de «Il Globo», in cui si manifestano preoccupazioni per la deficienza di mano d'opera che si è venuta a  creare in Italia, attraverso l'emigrazione all'estero, a tutto danno degli interessi dell'industria del nord. 
Ora i parlamentari democristiani della nostra regione debbono dirci come mai, nonostante la legge speciale, nonostante i 204  miliardi stanziati, si è verificato questo fenomeno. Sono questi i fatti, onorevole Barbaro, onorevole Militerni, che ci dovete spiegare. Non rievochiamo Pitagora e i grandi della Calabria. Questa è retorica balsa. (Vivaci interruzioni del senatore Barbaro). Dopo che Gioberti ha scritto «Il primato degli italiani», lei scriverà forse «Il primato della  Calabria»! Noi calabresi abbiamo i nostri  guai, le nostre miserie. Non richiamiamoci al passato; ella, senatore Barbaro, la storia non la conosce bene: la regione calabrese un  tempo si sviluppava sulle coste ed aveva i suoi epicentri sullo Jonio. Ma dove sono oggi i centri sulla costa jonica? Oggi la Calabria  è un paese di contadini, un paese disgregato, che vive nell'isolamento. Questa è l'analisi  che bisogna fare della situazione; non bisogna coprire i fatti con la retorica. 
Bisogna respingere il tentativo che hanno  fatto i democristiani di accusare i comunisti di non volere l'Università in Calabria. La maggioranza vuole l'Università come un elemento che dovrebbe far dimenticare alle famiglie calabresi i problemi tragici e profondi della loro vita, le necessità urgenti; soprattutto dovrebbe far dimenticare il fatto  che nei sei anni durante i quali erano previsti dalla legge speciale stanziamenti per  ben 100 miliardi, ne sono stati spesi appena  43 - come dicono l'onorevole Fanfani e il ministro Pastore, mentre noi sappiamo che  ne sono stati spesi 34 -; eppure, gli altri 57 miliardi avrebbero potuto servire per  creare fonti di lavoro per la nostra mano d'opera, che è essenziale per la rinascita e lo sviluppo della regione. Voi non siete stati capaci di servirvi neanche di questo strumento che avevate nelle mani, perché avete fatto una politica profondamente sbagliata. 
Voi cercate di coprire queste responsabilità agitando di fronte all'opinione pubblica calabrese l'affermazione che i comunisti non vogliono l'Università. Voi sapete che in Calabria la Democrazia Cristiana è travagliata da una crisi profonda: a Reggio Calabria, dove ad un certo momento si è realizzata  una Giunta provinciale con qualche democristiano di sinistra e con socialisti e comunisti; a Cosenza, dove la Giunta provinciale è dimissionaria perché non sa uscire  dalla situazione da cui è travagliata; e a Catanzaro, dove è pure in crisi l'amministrazione provinciale. Questa crisi della Democrazia Cristiana, che esiste in tutta Italia, si verifica soprattutto in Calabria perché voi non avete affrontato e risolto i problemi essenziali di sviluppo e di rinascita di una regione che retrocede sempre di più e non guarda più con fiducia all'avvenire. I giovani calabresi oggi non hanno davanti a sé alcuna prospettiva di potere rivolgere le loro fresche energie e la loro capacità di lavoro allo sviluppo e al progresso della loro  regione, che essi si vedono costretti ad abbandonare perché non vi trovano più possibilità di vita per sè e per le proprie famiglie. E non si parli della pressione demografica come causa del male, perché le esperienze  economiche di questi ultimi anni nei diversi Paesi hanno dimostrato l'infondatezza di questa tesi. L'unica prospettiva dei giovani  calabresi è quella di emigrare: emigrare all'estero  o nel nord. Ecco la prospettiva che si dà a questi giovani, ecco la prospettiva che si dovrebbe dare ai nuovi laureati calabresi! 
In che maniera avete inquadrato il problema dell'istituzione di una Università nella grave e reale situazione della Calabria? L'avete fatto nel quadro di un piano di sviluppo  regionale? Questo vi domando, perché quando si parla di cose serie si deve tener conto anche di questi fatti. Nel momento in cui in  Calabria l'arretratezza aumenta, nel momento  in cui l'occupazione della mano d'opera diminuisce, non solo in agricoltura, ma anche  nell'industria, nel momento in cui vi è questo grande esodo, si dovrebbero approntare  gli strumenti adatti per risolvere questi problemi e si dovrebbe dare all'Università  che si vuole istituire un carattere tale che tenga conto di questi problemi, perché una Università non deve essere una sovrastruttura inutile, non deve essere un vestito nuovo su un corpo vecchio e decrepito. Questa è la realtà e così va impostata la questione. 
È per queste ragioni che ci siamo allarmati e ci allarmiamo quando vediamo iniziative di questo tipo; siamo dunque perplessi  e preoccupati, e voi dovete comprendere  il nostro atteggiamento e la nostra opposizione a certe vostre iniziative. Giacchè si è voluta fare una speculazione politica  sulla nostra posizione, siamo stati costretti a dire, come calabresi, in modo  chiaro e deciso la nostra opinione sulla questione e sulla situazione della Calabria in questo momento. E debbo anch'io esprimere  delle lamentele, come le hanno espresse altri colleghi di mia parte, soprattutto i colleghi  settentrionali. Non sono un campanilista, non sono un regionalista nel senso gretto della parola; sono un calabrese il quale ha  fatto le sue prime esperienze politiche quando era giovane studente a Firenze, proprio nella battaglia meridionalista. Ed io mi sono sentito più meridionalista proprio quando ho conosciuto il nord e quando ho potuto studiare e lavorare al nord: allora mi sono reso conto più chiaramente e più compiutamente del problema meridionale. Non è il problema  retorico del primato della Calabria o degli Abruzzi o di Napoli; è un problema nazionale, un problema che interessa tutti gli  italiani, perché tutti gli italiani debbono  sentire e sentono il dovere di modificare certe situazioni che fanno vergogna al nostro Paese e al nostro popolo. E se vogliamo essere  degni di chiamarci italiani, dobbiamo  saper guardare con questa visuale, con questo occhio i problemi del Meridione. E in questo senso noi siamo meridionalisti, e meridionalisti debbono sentirsi tutti gli italiani. Meridionalisti sono gli onorevoli Donini  e Luporini quando parlano come hanno parlato  dei problemi dell'istituzione di una Università in Calabria. Meridionalista è anche  il senatore Macaggi quando imposta in una certa maniera le questioni universitarie. Meridionalista è il Partito a cui ho l'onore di  appartenere perché esso fa della soluzione della questione meridionale una delle battaglie più decisive della sua azione politica. Non è meridionalista il meridionale che dice: noi siamo migliori degli altri. No, noi siamo come gli altri; abbiamo i nostri difetti, le nostre pecche e i nostri guai, come hanno le loro pecche, i loro difetti e i loro guai abitanti di altre regioni. Appunto per questo mi sono sentito veramente mortificato quando si è parlato della necessità di istituire un'Università in Calabria (necessità che tutti hanno riconosciuto) in nome delle nobili tradizioni della Calabria, che vanta Pitagara e tanti altri ingegni. Sono cose che nessuno  ignora e che riconosciamo; ma diventano affermazioni retoriche, che riducono la battaglia meridionalista a pure manifestazioni verbali, quando si cerca con esse di  eludere i gravi problemi della realtà economica e sociale della Calabria e del mezzogiorno in generale. E mi sono sentito ancora  mortificato quando ho assistito alla discussione fra il senatore Barbaro e il senatore  Bellisario a proposito della questione se la Calabria o il Mezzogiorno abbiano dato all’Italia grandi uomini di scienza. 
Ed allora, cosa abbiamo proposto, cosa abbiamo detto a proposito dell'istituzione dell'Università in Calabria? Come vogliamo che sia questa Università? In primo luogo - e questo intendo sottolinearlo come calabrese nella maniera più decisa - riteniamo che debba essere una Università accentrata, e in ciò mi dispiace di non essere d'accordo con il collega Macaggi. Perché vogliamo l'accentramento? Forse per una posizione inconsulta o vacua? No. Io, come calabrese, parto dall'esperienza che ho della mia regione. Si tratta di una regione che non  ha alcun centro intorno a cui si muova la  popolazione calabrese; ha diversi centri, ma nessuno di rilievo in questo senso. È una regione che vive nell'isolamento, una regione di contadini.
Io ritengo che i colleghi abbiano letto il libro di Meyriat: «La Calabrie», nel quale sono indicati proprio questi aspetti di disgregazione della nostra regione. Si tratta di una  regione disgregata, la cui disgregazione si  aggrava sempre di più e diventa degradazione quando si ha l'esodo spaventoso a cui ho fatto riferimento in precedenza. Ed esso non è simile all'esodo dalla terra che avviene anche nel nord e nel centro d'Italia, poichè in tali regioni coloro che emigrano dalla campagna trovano poi lavoro nelle industrie in  centri diversi. Spesso anzi sono i contadini che provengono dalle terre del Meridione a prendere il posto dei contadini del nord e del centro d'Italia che abbandonano le loro  campagne. 
Di fronte a questa situazione di disgregazione e di degradazione è allora necessario creare un centro di aggregazione, e non  vi è occasione migliore di quella dell'istituzione di una Università che, a Catanzaro o a Cosenza o in un'altra qualsiasi città, divenga un centro di cultura, un centro di aggregazione intorno al quale la cultura calabrese si possa muovere. Ecco ciò che noi  vogliamo. 
D'altra parte nella Costituzione è scritto a chiare lettere che dobbiamo andare verso l'ente Regione, che dobbiamo creare l'ente Regione. Ebbene, in una regione nella quale non c'è alcuna unità, dove manca un centro, dove si fanno delle lotte per stabilire quale debba essere il capoluogo, poichè nessun centro può vantare una posizione di preminenza, questa è una buona occasione per creare un centro universitario di aggregazione, ed è anche l'occasione migliore per creare le prospettive necessarie anche al fine di  dare un capoluogo alla regione. Ecco perché noi calabresi siamo preoccupati per il  decentramento dell'Università. 
Onorevole Militerni, lei ha detto delle cose interessanti, ma si tratta di cose semplicemente velleitarie. Ha parlato, e sono d'accordo, delle prospettive che la Calabria può avere come centro di attrazione verso i popoli del mediterraneo. 
MILITERNI. Lei al Consiglio provinciale di Cosenza, quattro anni fa, voleva l'Università statale quando noi parlavamo dell'Università cattolica; e adesso che abbiamo l'Università statale non la vuole più. E’ il colmo! 
DE SIMONE. Per quattro anni lei, senatore Militerni, ha sostenuto che la legge  speciale per la Calabria andava molto bene ed applaudiva il Presidente del Consiglio provinciale di Cosenza, Pisani, membro del Comitato regionale di coordinamento, quando questi diceva che tutto andava bene. Poi, dopo quattro, sei anni, dopo la visita dell'onorevole Fanfani, si è accorto che la legge speciale per la Calabria non andava bene. Non credo di stare parlando contro l'Università statale. (Interruzione del senatore Militerni). Quella che lei fa in questo momento è speculazione politica pura e semplice. Quando noi diciamo di volere un'Università di un certo tipo, allora vi opponete perché non sarebbe consona alle vostre esigenze di carattere elettoralistico, perché per tali esigenze ci vuole una facoltà a Cosenza, una a Reggio, una a Catanzaro. Ebbene, è proprio  contro questa disgregazione che noi comunisti intendiamo reagire, nell'interesse della regione calabrese.
Cosa significano una facoltà a Cosenza, una a Catanzaro e una a Reggio? Ma credete veramente che gli studenti di Reggio Calabria andranno a frequentare la facoltà di agraria a Cosenza? Conoscete le distanze? Poiché Cosenza dista da Reggio Calabria 259 chilometri, mentre da Cosenza a Napoli ce  ne sono 330 e da Cosenza a Bari 316, tanto vale continuare a frequentare l'Università dove si andava prima. Se consultiamo le statistiche, troviamo che su 752 studenti di Reggio Calabria ben 646 si iscrivono a Messina, mentre gli studenti della provincia di Cosenza si iscrivono in gran parte a Roma, Napoli e Bari. Pensate che gli studenti di  Cosenza vadano a frequentare la facoltà di architettura a Reggio Calabria? Faranno più presto ad andare a Napoli dove, visto che si  devono spostare, troverebbero oltre tutto condizioni più favorevoli, una Università che offre maggiori garanzie. Ho chiesto ad alcuni parlamentari democristiani: se avessi un  figlio da iscrivere all'Università, lo iscriveresti in una facoltà che venisse istituita in Calabria? Mi si è risposto che avrebbero  preferito mandare i propri figli a Napoli. 
BOSCO. Ministro della pubblica istruzione. Allora non si deve far niente? 
MILITERNI. Tu hai cambiato idea per l'Università di Calabria come hai cambiato idea per Stalin.   
DE SIMONE. Io voglio dire che l'Università che noi vogliamo non deve essere disgregata, ma accentrata, perché la Calabria ha bisogno di un centro di cultura, ma non farete di Cosenza un centro di cultura ponendovi la facoltà di agraria, nè farete di  Reggio un centro di cultura quando avrà la facoltà di architettura. Ma c'è un'altra e profonda esigenza, secondo me, di cui bisogna tener conto. 
GENCO. Tra Catanzaro, Cosenza e Reggio quale città sceglieresti? 
DE SIMONE. Non è che dobbiamo decidere su queste questioni con un voto di  maggioranza. Voi date al problema un'impostazione capziosa e faziosa, che dimostra che siete vittime del vostro municipalismo, del vostro provincialismo, siete vittime... 
GENCO. Io non sono calabrese, ma tu di quale opinione sei? 
DE SIMONE. Aggiungerò ancora, per quanto riguarda la necessità, da noi giustamente posta, di una Università accentrata, che questo tipo di Università, oltre a  rispondere all'esigenza di reagire a una situazione di disgregazione, creerebbe la premessa per un ulteriore sviluppo dell'Università in Calabria. E a questo proposito voglio  dare una risposta al senatore Militerni. Egli ha rilevato nel suo intervento che  la Calabria, con una Università, oltre tutte le altre possibilità di sviluppo insite nelle condizioni stesse della Calabria, potrebbe costituire anche un centro di attrazione per  i Paesi del Mediterraneo ed assolvere una sua funzione in tal senso: sono d'accordo con lui sul fatto che questa funzione sia possibile, a condizione però che la regione calabrese abbia un determinato sviluppo. 
Ed allora, se vogliamo dare questa funzione e queste prospettive alla Calabria, anche nei confronti dei Paesi del Mediterraneo, a me sembra assurdo creare una Università con facoltà decentrate, e penso che, al contrario, si debba creare un centro di studi universitari verso il quale possano orientarsi con determinate prospettive quei  Paesi.
     Per quanto riguarda le facoltà, consentitemi di dire qualcosa come calabrese. D'accordo sulla facoltà di scienze matematiche e fisiche, perché da una parte servirà a dare uno sviluppo tecnico alla Calabria, e dall'altra a creare quei professori che, con lo sviluppo della scuola, sono necessari per la cultura di base, sia al livello medio inferiore, che al livello medio superiore. Ma io credo che occorra pensare anche ad un'altra funzione che deve avere questa facoltà. Noi riteniamo che nel campo degli insegnanti - e credo che questa sia un'esigenza avvertita - sia necessario, poichè le conoscenze si evolvono rapidamente, fare anche dei corsi di aggiornamento. E con ciò non credo di dire cose non confacenti a quelle che sono  le esigenze della scuola italiana. Io parlo di corsi di aggiornamento, ma potrebbero essere anche altri corsi.
  Per quanto riguarda poi la facoltà di ingegneria, perché siamo favorevoli a tale facoltà? Perché frequentemente si rivolge una  accusa a noi calabresi, accusa che è contenuta anche nel documento che è stato stilato in seguito al viaggio dell'onorevole Fanfani in Calabria, cioè che spesso mancano le progettazioni necessarie per fare determinate opere in Calabria o che non si è  in grado di fare i progetti. Perciò io ritengo che una facoltà di ingegneria risponderebbe ad una esigenza della Calabria, la quale d'altra parte, se non vuole morire, deve mettersi sulla via di uno sviluppo che, partendo  dall'agricoltura, deve assolutamente portare avanti un processo di industrializzazione e di realizzazione di opere di civiltà. 
Non siamo favorevoli - e non farò in  questo senso che ripetere quello che hanno detto altri miei colleghi - alla facoltà di architettura ed ho le mie perplessità per quanto riguarda la facoltà di agraria. Specie nella provincia di Cosenza, abbiamo un elevato numero di tecnici, di periti agrari che  fino a questo momento non hanno trovato alcun impiego nell'agricoltura. Purtroppo la agricoltura calabrese in questo momento non riesce ad assorbire, specie nella provincia di Cosenza, dottori in agraria, a meno  che il dottore in agraria non sia nello stesso  tempo dirigente d'azienda, cioè a dire proprietario d'azienda. Soltanto in quel caso si  può vedere che in aziende anche importanti esiste, non il tecnico, ma il dottore in agraria. D'altra parte si è parlato di una  crisi delle facoltà di agraria in generale per quanto riguarda l'affluenza degli allievi. 
Io vorrei avanzare una proposta, che non considero poi definitiva, - e ne ha parlato  anche l'onorevole Donini - cioè la proposta di istituire una facoltà di lettere in Calabria. Questo potrebbe sembrare in contrasto con quanto fino ad ora abbiamo sostenuto noi comunisti, cioè con l'esigenza di un elevamento del livello tecnico e scientifico in Calabria. Però vi è una realtà che noi dobbiamo tener presente: vi è lo sviluppo  della scuola, lo sviluppo delle frequenze, l'afflusso di sempre nuovi alunni alla scuola. Per citare il caso della provincia di Cosenza, mancano gli insegnanti, e in gran parte si  tratta di insegnanti di materie letterarie. Sono stati assunti come professori ben100  studenti universitari del primo e del secondo o del terzo corso. Indubbiamente nello sviluppo avvenire ci sarà anche in questo campo una sempre maggiore necessità di insegnanti. 
BOSCO, Ministro della pubblica istruzione. A parte il fatto che 100 è un numero  esagerato, lei deve precisare se si tratta di insegnanti di lettere; allora l'argomento sarebbe valido. 
DE SIMONE. Mi hanno detto per 1'80 per cento. 
GRANATA. La carenza maggiore si rileva in quel settore. 
DE SIMONE. C’è un altro aspetto della questione da tener presente, onorevole Ministro. In questo periodo, ripeto, c'è un'esigenza sempre più avvertita di insegnanti nelle scuole medie. Gli studenti calabresi che vanno in cerca dell'impiego immediato, data la situazione particolare della nostra regione, si rivolgerebbero indubbiamente alla facoltà di lettere. Può darsi che questo bisogno di insegnanti non si prolunghi per molti anni, ma oggi come oggi certamente esiste. 
  Comunque, una facoltà di lettere, oltre che  servire a questo scopo, dovrebbe svolgere anche quel compito che io indicavo poco fa per la facoltà di scienze. Noi parliamo  di indirizzo umanistico, ma l'indirizzo umanistico non lo dobbiamo guardare isolatamente. L'indirizzo umanistico oggi non può  prescindere da quello che è l'indirizzo scientifico. Sarebbe assurdo considerare un indirizzo umanistico che non tenesse conto della realtà nella quale si muove oggi il mondo, e a questo fine io riterrei che sarebbe opportuno creare quei corsi di perfezionamento, che costituirebbero un ulteriore centro attorno al quale dovrebbero riunirsi i professori delle scuole medie calabresi, per rinnovare ed aggiornare le loro conoscenze. 
Questi elementi che ho indicato mi confermano ancor più nella convinzione che sia necessaria una Università accentrata. Infine - e, onorevole Militerni, questo dimostra  che noi non siamo contro l'Università in Calabria - noi riteniamo che i finanziamenti per la nuova Università debbano essere aumentati. Il senatore Vaccaro ha detto, in polemica con il senatore De Luca, che quando egli ha rivendicato l'eccedenza dell'addizionale del 5 per cento per la Calabria, i comunisti non sarebbero stati d'accordo. A parte  che questo non è vero, se vogliamo una Università che abbia tutte le caratteristiche necessarie per essere efficiente, io ritengo che i finanziamenti debbano essere aumentati, e a questo scopo, se difficoltà ci fossero, potremmo attingere all'eccedenza dell'addizionale del 5 per cento stabilita dalla legge speciale per la Calabria. 
   Accanto a queste rivendicazioni, per quanto riguarda le attrezzature, sia di carattere edilizio, sia di carattere scientifico e didattico, noi poniamo ancora il fatto che, appunto perché è necessario un certo periodo  di tempo per approntare queste attrezzature, occorre stabilire un dato lasso di tempo per il loro allestimento. Una volta che siano  pronte le attrezzature necessarie, se non per  tutti, almeno per i primi corsi, potranno iniziare i corsi universitari. 
Queste le indicazioni sul carattere che dovrebbe avere una Università per la nostra regione. Ci viene ancora rinfacciato che, quando noi avanziamo queste proposte, intendiamo opporci all'istituzione di una Università in Calabria. Noi siamo troppo dolorosamente scottati dalle delusioni e dagli inganni che sono stati perpetrati e che si continuano a perpetrare ai danni della Calabria. Vi ho parlato della Cassa per il Mezzogiorno e della legge speciale per la Calabria. Il senatore Vaccaro mi attaccava l'altro giorno e voleva sapere da me se volevo o no l'Università in Calabria, affermando che non la volevo. Gli risposi che era un inganno una Università di questo genere, perché noi sappiamo la fine che fanno molte leggi per la nostra regione. Mi risulta che Il senatore Vaccaro, qui in Assemblea, quando si discusse il bilancio dei Lavori pubblici, mosse un attacco violentissimo al Ministro, onorevole Zaccagnini, in ordine alla ferrovia Paola-Cosenza. Ebbene, esiste su quel problema una legge, voluta anche dalla Democrazia Cristiana, che prevede lo stanziamento necessario, legge che però non viene applicata. I lavori della ferrovia Paola-Cosenza non si realizzano, nonostante la legge. 
GENCO. Si deve o non si deve fare il progetto? 
DE SIMONE. Voglio soltanto far  rilevare la fine che fanno le leggi per la Calabria. Per questo abbiamo le nostre preoccupazioni, quando parlate di una Università  di questo tipo. 
GENCO. Per la ferrovia Paola-Cosenza c'è uno stanziamento nel bilancio dei Lavori pubblici. Ma una ferrovia, come una strada o un'autostrada, non si può eseguire  senza il progetto. L'autostrada Napoli-Bari non è ancora incominciata perché il progetto non esiste. Bisogna assolutamente reagire a queste sciocchezze! (Commenti e interruzioni dalla sinistra. Richiami del Presidente). 
DE LUCA LUCA. Vuoi sapere la verità? La ferrovia non si fa perché sono in urto Antoniozzi e Cassiani! (Commenti e rumori). 
DE SIMONE. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, mi avvio alla conclusione. Dicevo che per questo motivo noi siamo preoccupati nei riguardi del presente disegno di legge che istituisce una Università in Calabria; siamo preoccupati del fatto che si incominci male, ed incominciando male, in una regione depressa come la Calabria, indubbiamente i risultati non potranno essere che negativi. Il Presidente del Consiglio, onorevole Fanfani, in seguito al viaggio fatto in Calabria, fece al Consiglio dei ministri delle dichiarazioni che vennero riportate sulla  stampa. Egli affermò a proposito della Calabria e di quello che aveva visto in Calabria: «Non è stato facile risolvere i problemi del Paese proprio perché partimmo male nel 1861». Ebbene noi siamo al 1961 e vorremmo che per l'Università in Calabria non si partisse male, in modo che, non più tra cento anni, ma tra dieci o quindici anni, un nuovo Presidente del Consiglio non possa dire che partimmo male nel 1961. (Applausi dall'estrema sinistra).  

martedì 5 gennaio 2021

Ricordi (da Racconti brevi)


Sfiorò religiosamente alcuni degli oggetti della stanza preferita: la vecchia, modesta chitarra su cui aveva strimpellato mille volte le poche canzoni imparate nell’adolescenza; la costa di alcuni dei libri a lui più cari; la scrivania e lo schienale della sedia su cui sedeva ogni giorno alcune ore; il pianoforte dal quale aveva sentito uscire le più belle note, quelle che le minuscole dita dei suoi figli avevano suonato da bambini. Le cose che non sfiorava con le mani, le carezzava con lo sguardo.
“Mai e poi mai sopporterei di perdere una di queste cose” pensò, “Fra me e loro c’è un rapporto che non è solo quello di proprietà, esse sono una parte della mia vita passata, che a questo punto è sicuramente di più rispetto a quella che ancora mi resta da vivere. Ognuno di questi oggetti mi ricorda qualcosa. Quel vaso di cristallo ce lo regalò una delle più dolci ed intelligenti amiche. Il tavolo lo volemmo rotondo, mia moglie ed io, per paura che un tavolo con gli spigoli potesse far del male ai nostri piccoli. Quella foto davanti ai libri ritrae il papà di mia moglie, e dentro non c’è solo il suo viso, perché di tanto in tanto lui esce sornione dalla foto tutto intero e passeggia per questa stanza con la sua tristezza, la sua allegria, la sua spietata ironia, innanzitutto quella verso se stesso e poi quella verso l’umanità, mai verso la natura, per la quale aveva un rispetto intimo, misterioso… forse solo artistico: vedeva le cose con l’occhio della sua macchina fotografica, più che vedere "inquadrava.”
Aldo era, evidentemente, uno di quegli uomini per i quali ogni evento lascia un segno e, nella sua mente, li aveva archiviati con cura maniacale, tutti gli eventi. L’amore per gli oggetti di casa sua non era che una espressione di alcuni di questi ricordi, quelli dei quali era rimasta una traccia materiale.
Un oggetto vecchio, anche se malridotto, è il più delle volte, migliore di un oggetto nuovo. Con questa filosofia le industrie creatrici del consumismo si trovavano di sicuro a mal partito. Una volta il vecchio assicuratore, rinnovandogli la polizza della sua auto, comprata vent’anni prima, esclamò: “Se tutti facessero come lei, molte case automobilistiche sicuramente fallirebbero!” Ma lui era fatto così e pensò che la sua vita valeva più di una fabbrica di automobili o di qualunque altra cosa e che, mai e poi mai, un imprenditore avrebbe rinunciato al suo profitto per salvare la vita d’un uomo.
Così era lui, anche se la descrizione finora fattane non deve indurre a pensare che non fosse capace di organizzare il futuro. Gli pareva anzi che un ordine preciso delle cose passate e la loro meticolosa manutenzione fossero fattori indispensabili per fare progetti, per il domani e per l’età senile, per sé e per i suoi cari.
Quel giorno, mentre sfiorava le cose con lo sguardo e riviveva altre situazioni con l’aiuto della penombra della sera, uno dei tanti ricordi incominciò ad assumere dimensioni più grandi, forme più precise, colori più decisi. Rivide se stesso mentre, adolescente, saliva i gradini di un vecchio palazzo che ospitava la locale sezione del Partito. All’epoca non c’era bisogno di precisare quale, gli altri essendo considerati semplici gruppi di interesse. Nella prima stanza c’era un biliardo, dove non disdegnava di fare qualche partita all’italiana coi “compagni”, nella seconda c’erano un televisore, un armadietto e diverse sedie, sparse a ridosso delle pareti o ammucchiate in un angolo e da tirar fuori quando c’erano le assemblee. Nella terza stanza, la più piccola, c’erano una vecchia scrivania coperta da una panno rosso, alcune sedie intorno e, in alto, i manifesti colorati del Partito. Lì, aveva visto seduti tante volte i compagni Marco e Stefano, due uomini di grande cultura e intelligenza, di alti valori morali, di impareggiabile generosità, di coerenza assoluta, fino alla morte. Lì, aveva ascoltato i primi discorsi sul popolo, sulla giustizia, sulla solidarietà, sulla pace e sulla vera democrazia. Lì, aveva visto i volti dei compagni che affollavano le frequenti riunioni: tristi, indignati, esasperati, in certi momenti; dubbiosi, riflessivi, meditabondi, in altri; gioiosi, festanti, esaltati, esaltanti in altri ancora.
Andò nella stanza da letto. Tolto il pigiama, infilò camicia, pantaloni e giacca, chiuse la porta di casa, salì sull’automobile, percorse pochi chilometri, parcheggiò, attraversò una piazza, salì per una vecchia gradinata ed entrò. Nella prima stanza, c’era un vecchio biliardo.
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