martedì 22 maggio 2012

Ralph Dahrendorf, “Homo sociologicus”: rilettura di alcune pagine di sociologia

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Le scienze sociali - che nel secolo scorso in tutto il mondo occidentale hanno apportato un notevole progresso nella comprensione del comportamento degli individui, dei gruppi sociali e dei fenomeni di massa - vivono da qualche decennio una fase di stallo. Alcuni politici hanno di volta in volta cercato di appoggiarsi ad esse ma, quando hanno cominciato a temerne una intollerabile intrusione, hanno sempre finito per osteggiarle. D’altro canto l’utilizzo improprio dei media da parte di molti “divulgatori” di queste discipline ne ha ingiustamente ridotto la portata culturale, creando una diffusa sensazione della loro inutilità.
Non pochi sono però gli studiosi che nel passato avevano dato contributi culturali di grande rilievo, frutto di faticose ricerche e di seri tentativi di sistematizzazione. E’ per questo che ravvedo una certa utilità nel proporre sul blog l’esposizione o la rielaborazione di alcuni dei concetti più significativi di queste discipline. Se la sociologia rischia da alcuni decenni di essere banalizzata attraverso alcune improvvisazioni giornalistiche o dalle chiacchiere dei salotti televisivi, forse non sarà inutile rispolverare il contributo di pensatori come Marx, Durkheim, Pareto, Weber, Parsons o Dahrendorf, che ad essa hanno dedicato la vita, e di ricordare come anche in Italia abbiamo avuto studiosi di un certo livello. Fra questi voglio ricordare un uomo di grande stile ed intelligenza, il prof. Franco Ferrarotti, che primo fra tutti dagli anni Cinquanta ha dato e dà dignità a queste discipline, ed un docente universitario ingenerosamente ignorato dal web, il prof. Giorgio Braga, che negli anni Sessanta, in tre piccoli Quaderni dell’Istituto Superiore di Scienze sociali di Trento, era riuscito a compendiare magistralmente tutto ciò che poteva servire ai suoi giovani allievi per innamorarsi della sociologia e portare avanti la ricerca.
Il concetto di “ruolo sociale” qui di seguito riportato è una libera rielaborazione del secondo capitolo del saggio “Homo sociologicus” di Ralph Dahrendorf (1929-2009).
Il testo citato è rintracciabile alla pagina web
Il paradosso del "tavolo della fisica".

I concetti di cui si avvale la scienza sono il più delle volte molto distanti dall’esperienza comune. L’atomo, ad esempio, nessuno l’ha mai visto e nessuno potrebbe mai assicurare che corrisponda esattamente all’immagine che ne danno i libri di fisica. Eppure su questa struttura immaginaria si sono costruite molecole vere, utilizzate poi nell’industria per fabbricare materiali prima sconosciuti.
Per esprimere la distanza fra il concetto scientifico di atomo e la realtà comunemente percepita, Ralph Dahrendorf (1929-2009) usa il paradosso del "tavolo della fisica”: per tutti un tavolo è solo un ripiano sostenuto da tre o più assi di legno che poggiano su una superficie solida, mentre per il fisico esso è anche un oggetto scomponibile in parti infinitesimali, invisibili non solo all’occhio ma anche al microscopio. All’uomo comune questa prospettiva sembra del tutto superflua, ma nella vita quotidiana egli stesso ne utilizza i risultati. Oggetti di plastica, automobili o strumenti elettronici non riempirebbero ora le case e le strade, senza il ricorso all’idea che ci si è fatta delle ‘sostanze ultime’ di cui è composto l’universo.
Il metodo di ricorrere ad una “costruzione ipotetica” (‘supponiamo che sia così e verifichiamo se i risultati ci danno ragione’) per spiegare ed eventualmente modificare il mondo fisico può valere anche per comprendere in una certa misura il comportamento umano: tanto quello individuale quanto quello dei gruppi sociali ristretti (famiglia, scolaresca, azienda) o di un’intera collettività. Il concetto più importante finora raggiunto, in questo campo e a questi scopi, è quello di ‘ruolo sociale’.

Le norme sociali.

Quando un bambino nasce, avverte solo i bisogni più elementari e, fra gli altri, il bisogno di protezione affettuosa da parte degli adulti. Per lui ancora non esistono regole di comportamento, ma gradualmente imparerà ad osservarle: imparerà un certo linguaggio e con quel linguaggio imparerà a comportarsi secondo modalità abbastanza precise: “Saluta lo zio! Non toccare il cibo con le mani! Vestiti in fretta, altrimenti fai tardi a scuola!”. Tutte queste regole non sono state create dagli adulti con cui egli viene a contatto, perché essi a loro volta le hanno imparate dalle generazioni precedenti.
Col tempo le regole subiscono delle modifiche, ma ciò avviene sempre gradualmente e riguardano i dettagli più che i principi fondamentali. Persino dopo le grandi rivoluzioni, magari cambiano i gruppi sociali al potere, ma è difficile che cambino radicalmente i comportamenti più diffusi e radicati nella società.

Il ruolo degli individui nella società.

Il concetto di “ruolo sociale” - non del tutto nuovo perché, come ricorda Dahrendorf, se ne trova traccia anche in termini usati quasi con lo stesso significato da duemila anni (maschera, personaggio, carattere) - parte dalla metafora del mondo sociale come ‘teatro’, in cui ad ogni personaggio corrisponde una serie di comportamenti, complementari o contrapposti a quelli assegnati agli altri personaggi, ma sempre tali da essere compatibili nell’ambito di un’unica trama.
Anche nella società, come nel teatro, i comportamenti non sono completamente liberi. Alcuni sono vincolanti per tutti i membri (osservanza delle norme di diritto), ma poi per ogni ‘tipo’ di individuo esiste una ‘gabbia’ di comportamenti, la cui inosservanza prevede delle punizioni ancora più dolorose di quelle pecuniarie o detentive previste dal diritto: sono l’ ‘emarginazione’ dai gruppi sociali di appartenenza o l’ostracismo da parte dell’intera collettività.
Queste ‘gabbie’ di comportamenti, che forse sarebbe più corretto definire ‘schemi’, non sono relative ad un individuo in quanto tale, ma in relazione alla posizione sociale da lui occupata (‘status’). Il comportamento che ‘ci si aspetta da un bambino’ non è uguale a quello di un uomo adulto o un vecchio; quello di un uomo è ancora diverso da quello di una donna; diverso il comportamento previsto per un maestro da quello dei suoi allievi; diverso quello di un imprenditore e di un lavoratore dipendente.

Molteplicità dei ruoli per ogni individuo.

Come in una commedia un attore recita la parte del figlio e in un’altra quella del padre (e talvolta, con opportuni accorgimenti nei vestiti e nel trucco, un dato attore può nell'ambito della stessa commedia uscire dai panni del figlio per indossare quelli del padre), anche nella società lo stesso individuo ha più ruoli, cioè diversi schemi di comportamento correlati alle sue diverse posizioni. La stessa persona perciò ha atteggiamenti, parole e azioni diverse quando entra in ufficio come ragioniere, quando torna a casa per cenare con la famiglia o quando va al bar con gli amici. Ragioniere, padre e habitué di un locale pubblico sono figure diverse che operano in più ambiti, nei quali sono previsti quei particolari comportamenti ritenuti per lui più appropriati. Entrando in ufficio il ragioniere si dimostrerà rispettoso verso i dirigenti, sedendosi a tavola insegnerà ai figli come usare le posate, recandosi in un locale pubblico con gli amici potrà dare sfogo alle sue passioni sportive. Sarà invece quasi impossibile per lui dare sfogo alle sue passioni in ufficio o insegnare agli amici del bar come si usano le posate o essere sussiegoso anziché autorevole mentre siede a tavola coi figli.
Sono esempi e schemi che nella commedia variano a seconda della trama, mentre nella vita reale variano a seconda dei rapporti sociali nei quali ci si trova inseriti, ma in linea generale non esiste società che possa fare a meno di questi schemi, oppure di schemi alternativi. L’importante è che anche i rapporti sociali, come le commedie, siano organizzati in modo coerente e con ‘parti’ che siano complementari le une con le altre.

Autenticità dei ruoli.

Nonostante le analogie riscontrate fra teatro e società, esiste fra i due ambiti una differenza di fondo. L’attore di teatro non crede, anzi non deve credere, di “essere” il personaggio che sta interpretando. Per contro l’interprete di un ruolo sociale, non può “fingere” di fare il ragioniere o il padre o il membro di un gruppo di amici che si incontrano con regolarità in un locale pubblico.
Per svolgere in modo credibile quei tre diversi ruoli, deve averli interiorizzati fin da bambino, elaborati nella giovinezza e consolidati nell’età adulta. In famiglia non ci si può togliere con leggerezza la ‘maschera’ del padre per comportarsi come un figlio, né in azienda assumere oggi l’atteggiamento tipico di un lavoratore subordinato e domani quello di un dirigente: o si è l’uno o si è l’altro . Finché non mutano gli status, i ruoli non sono intercambiabili: solo quando il ragioniere, stanco del suo lavoro o insoddisfatto della retribuzione, decide di mettere su una sua azienda ed assume degli impiegati, potrà parlare come un dirigente. Insomma, nonostante che il teatro sia metafora della società, mentre nel primo regolarmente si finge, nella seconda bisogna fare sul serio, bisogna ‘essere’ in un certo modo.

Ambiti di discrezionalità nell’attuazione dei ruoli.

Pochi giorni fa ricordavo, nel commento al racconto di un caro amico, la distinzione fatta da G. H. Mead, nell’ambito della coscienza, fra il ‘me’ e l’ ‘io’. Il primo consiste nell’idea che noi ci facciamo di noi stessi in base a ciò che gli altri si aspettano da noi, il secondo impara ad osservare se stesso oltre che gli altri e a prendere decisioni più o meno coerenti con l’idea che si è fatto di sè. Nel fare ciò, l’ ‘io’ cerca di recuperare, in parte o del tutto, quella libertà di decisione che l’assunzione di precisi ruoli sociali sembra negare, ma è un tentativo di cui bisogna saper valutare le difficoltà ed i rischi.
Come genitori possiamo essere tendenzialmente autoritari o tenden-zialmente comprensivi, come ragionieri possiamo essere tendenzialmente zelanti o tendenzialmente pigri, come habitué di un circolo possiamo assillare gli amici coi nostri problemi personali o essere estremamente generosi nell’ascolto. Leggeri scarti lungo questi assi sono compatibili col ruolo assegnatoci, ma bisogna sapere che maggiore è lo scarto e maggiore sarà la probabilità di essere puniti socialmente e maggiore la durezza della sanzione.
Per godere di una completa libertà di azione è in teoria possibile anche un rifiuto totale dei ruoli assegnati, ma in tal caso ci troviamo di fronte a ciò che la sociologia definisce “devianza”. Personalità molto carismatiche a volte riescono anche ad imporre nuove regole agli altri ‘attori’, ma in genere questi non gradiscono, e non permettono, lo stravolgimento delle regole del gioco: c’è chi teme di perdere posizioni di privilegio acquisite nel tempo e chi, in un temporaneo vuoto fra vecchie e nuove regole, teme di non riuscire a ricollocare se stesso nella società ed a ri-orientare il proprio stile di vita. Le innovazioni di ruolo sono possibili, ma vanno costruite in tempi che permettano agli altri attori di adeguarsi senza il timore di subire contraccolpi pesanti e irreversibili.
Cataldo Marino

.* Questo articolo è frutto di una rilettura del II capitolo del libro di Ralph Dahrendorf “Homo sociologicus”, Ed. Armando Armando, 1966, pagg. 39-46.
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giovedì 17 maggio 2012

Filmdarivedere: Pranzo di nozze (Usa,1956)

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Il giorno delle nozze è un po’ dovunque quello più importante e festeggiato. Naturalmente lo è molto di più nei paesi in cui il divorzio è difficile e molto meno in quelli in cui alle prime difficoltà si può tornare indietro. Insomma la prospettiva di durata del matrimonio incide sulla solennità della cerimonia e sulla fastosità dei festeggiamenti, ma comunque, rispetto agli altri eventi speciali della vita, quello delle nozze resta il più importante.
Spesso però, dietro i festeggiamenti, si celano veri e propri drammi familiari. E’ il caso della famiglia di un povero tassista, protagonista del film, il quale lavora da dieci anni alle dipendenze di una agenzia, guadagnando pochi dollari e facendosi i turni di notte. Coi pochi soldi guadagnati ha tirato su una famiglia ed è riuscito a fatica anche a mettere da parte tremila dollari, che vorrebbe utilizzare per migliorare la sua vita. C’è un taxi usato, in vendita a seimila dollari, e lui potrebbe acquistarlo in società con un amico che ha fatto lo stesso percorso lavorativo. E’ un progetto accarezzato per anni, perché è difficile abituarsi a lavorare di notte e dormire di giorno. Ma adesso la sua realizzazione è finalmente a portata di mano.

La sua è una famiglia modesta: lui è un gran lavoratore, la moglie è una brava donna di casa con scarse pretese e la figlia una ragazza senza grilli per la testa. Tutto, fino a un certo punto, è andato secondo le previsioni, ma improvvisamente arriva una novità che sconvolge i piani del tassista: la figlia Jane e il suo fidanzato Ralph hanno deciso di sposarsi nel giro di pochi giorni. Ecco il dialogo in cui lei ne dà notizia ai genitori, Tom e Agnes, in cucina durante la colazione:

Agnes    (aprendo il frigo) Ecco lì… il ghiaccio tutto squagliato.
Tom   No! Niente novità in questa casa, finché non ho comprato un taxi.
Agnes   Non ho detto di comprare un altro frigorifero, io!
Tom   Ahhhh!
Jane   (entra in cucina) Ciao papà
Agnes   Ti ho sentita rientrare tardi ieri sera. Dove sei stata?
Jane   Sono andata con Ralph da padre Murphy.
Agnes   Padre Murphy… adesso.
Jane   Mamma… senti…mamma… Ralph e io ci sposiamo
Agnes   (perplessa) Jane… sono felice
Jane   Beh, ci siamo decisi perché un amico di Ralph trasloca in California. Ma sua moglie ora è incinta, e così ha chiesto a Ralph se c’era qualcuno che gli portasse l’auto fin là, perché lui non può, per via della moglie. E Ralph ha pensato che era l’ideale, per una luna di miele, un viaggio in California. Ralph finisce il corso proprio il 3 novembre, cioè domani, e il corso invernale ricomincia fra tre settimane, e perciò abbiamo pensato di sposarci il 6 novembre. Padre Murphy è d’accordo e domani leggerà le pubblicazioni e ci darà la dispensa. Vi dico subito che non vogliamo feste per il nostro matrimonio. Ci sposiamo, punto e basta.
Tom   Un’ottima idea, Jane.
Jane   Niente ricevimenti né altre storie, perché non vogliamo partire stanchi. Sarà una cerimonia brevissima.
Tom   Proprio un’ottima idea, ti dico.
Jane   Niente pranzo di nozze. Niente.
Tom   Tutte fesserie che fanno buttare un sacco di soldi. Tuo cugino Joe ha detto che ha speso più di 3.000 dollari per le nozze di sua figlia.
Agnes   (delusa) Jane, se è un matrimonio semplice che vuoi, lo avrai.
Tom   Tremila dollari per un pranzo di nozze! C’è da farsi venire un accidente
Agnes   Sei una brava figliola. Comunque, noi ti daremo un assegno di 500 dollari.
Tom   Cinquecento?
Agnes   Oh, santo cielo, Tom. La tua unica figlia si sposa. Altro che questo ti costerebbe, se volesse fare un ricevimento.
Tom   Ma io non dico di no. S’è sempre detto di darle un assegno, ma non si è mai parlato di cifre.
Jane   Vi prego, noi non vogliamo niente, vogliamo solo sposarci. Il 6 novembre in chiesa ci sarete solo voi, il padre e la madre di Ralph e forse Alice, perché io sono stata damigella alle sue nozze. Nessun altro.
Agnes   Dovrai invitare anche lo zio Jack.
Jane   Ma se invito lo zio Jack, devo invitare anche lo zio Henry
Agnes   Però vive qui, insieme con noi.
Jane   Mamma, soltanto voi genitori. Vorrei tanto invitare lo zio, ma poi gli altri si offenderebbero.
Agnes   Si, questo è vero. Se lo dici a uno, devi dirlo a tutti e… allora poi, ci vuole un ricevimento.

La situazione comincia a complicarsi. Anche perché la mamma ha qualche sassolino nella scarpa: ha vissuto male la eccessiva sobrietà del giorno delle proprie nozze e per la figlia desidera qualcosa di più. Un qualcosa che, col passare delle ore e dei giorni, dal momento dell’annuncio della figlia diventa sempre più grande: gradualmente cresce il numero degli invitati, il dono dei genitori, il costo del pranzo e degli abiti.
Dei tremila euro risparmiati per l’acquisto del taxi, cinquecento andrebbero in dono agli sposi e la lista degli invitati si allarga prima allo zio Jack, che convive con loro, e poi di conseguenza, a tanti altri parenti, che altrimenti se la prenderebbero. E poi inizia la compilazione di una lunga lista di amici, ai quali si sommano i parenti e gli amici del fidanzato. Un matrimonio modesto si va trasformando di giorno in giorno in una grande cerimonia, in cui dimostrare a tutti di essere una famiglia agiata e generosa.

Ed è a questo punto che nasce il dramma: il tassista dovrà rinunciare al suo sogno e continuare per tutta la vita a fare i turni di notte? Oppure la mamma dovrà vergognarsi con le amiche per il fatto di non aver saputo dare alla figlia ciò che gli altri genitori normalmente danno? E la figlia, presa tra due fuochi, soffre. Non vorrebbe dare dispiacere a nessuno dei due, ma pare non ci siano soluzioni intermedie che limitino i danni: qualcuno dei due dovrà soffrire e… la colpa è sua.
I film americani di quegli anni finiscono normalmente per appianare le cose e anche in questo caso, se proprio non si può parlare di lieto fine, il dramma si stempera. Vince il buonsenso: la figlia si impone con la madre, il matrimonio si farà come lei aveva progettato inizialmente e al papà rimarrà il denaro sufficiente per comprare il suo taxi e cambiare vita.

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Così si risolvono le cose nei film americani, ma nella realtà attuale, almeno quella italiana, le cose vanno ben diversamente: per un bel pranzo di nozze e una bella cerimonia le famiglie sono ancora pronte a svenarsi.
Io non vado alle feste di nozze, faccio il regalino che mi è possibile fare, ma risparmio sulla tenuta di gala e mi risparmio due ore di benedizioni in chiesa e cinque o sei di esagerate e lente abbuffate al ristorante. L’automobile resta semipulita o semisporca, senza lavaggi d’occasione, e agli strombazzamenti che provocano le infinite imprecazioni dei vicini, non ci penso neppure. Finora, anni sessantatre, ho partecipato alle nozze della sorella maggiore, del fratello minore, di un amico d’infanzia, che è quasi un fratello, e di un nipote che ho avuto l’onore di tenere a battesimo, oltre naturalmente a quelle con la mia fidanzata. Chiuso!
Però, ho ascoltato molto a proposito di queste feste. Ed ecco cosa ho saputo.

Dove vivo io, in media gli invitati sono duecento (cento per i più tirati, trecento per i più spendaccioni o per coloro i quali noblesse obblige), e questo a prescindere dal reddito familiare, anzi mi sa che più si è poveri e più si è costretti a dimostrare di non esserlo!
Il ristorante dev’essere bello (oggi ci sono locali che vivono quasi prevalentemente sui matrimoni) e il menu ricco, variegato e con pietanze non comuni, perciò non te la cavi con meno di centocinquanta euro per posto. A questo punto io, che ho dedicato un bel po’ del mio tempo ad insegnare come si fanno certi conticini, non posso non togliermi lo sfizio di fare una moltiplicazione: 200 persone x 150 noccioline = 30.000 noccioline.
E va bene, hai avuto tempo trent’anni per vedere crescere tua figlia e non hai messo da parte mille noccioline all’anno per farla felice nel giorno più bello della sua vita? Ma che padre saresti?
Il fatto è che - stavo per dimenticare - ci sono altre spesucce. I parenti e gli amici che abitano lontano e fanno un lungo viaggio per partecipare alla vostra gioia, li mandate in albergo? Vergogna! Gli si prenota una bella stanza in hotel. Vediamo: 20 stanze per 100 noccioline = 2.000 noccioline. Va bene anche questo.
Poi ci sono l’abito da sposa, i fiori in chiesa, il servizio fotografico, le bomboniere e il regalino al parroco che assicurerà, lui, l’amore per tutta la vita. Altre 10.000 noccioline ci vorranno.
In famiglia si è in quattro e tutti bisogna presentarsi con abito, camicia, cravatta e scarpe mai usate prima e di buona fattura. C’è chi risparmia di più e chi di meno, ma al di sotto delle 2.000 noccioline in queste cose è difficile scendere.
Fatto il matrimonio, i genitori usano fare un regalino speciale ai ragazzi. Quando non si tratta dell’appartamentino, cosa riservata a pochi eletti, bisogna almeno pensare all’arredamento e assicurare un bel viaggio di nozze. Cinquant’anni fa mia moglie ed io lo abbiamo fatto, tornando da Assisi alla città in cui avremmo vissuto, passando per Perugia, Siena e Livorno (abbiamo visitato il santuario dove si erano sposati i suoi) e poi giù dritti verso casa. Eh, cosa c’è di più bello per due giovani appena sposati?
Ma oggi una cosa del genere sarebbe veramente vergognosa. Si fa una capatina in Scandinavia o a Madrid e, se i genitori non sono tirchi, perché non soddisfare il desiderio di una piccola crociera? Non ho idea di quanto possa costare un viaggio del genere, oggi normalmente di durata non inferiore ai quindici giorni. La butto là: 5.000 noccioline, che si sommano ad altre 10.000 per un arredamento essenziale e sobrio.
Dunque, tirando le somme, mi sa che con meno di 55.000 noccioline non si fanno le cose comme il faut.

A chi finiscono tutte queste noccioline? Ai ‘rastrellatori di noccioline’ naturalmente, i quali tuttavia, se il tutto si limitasse a questo, non potrebbero comunque tirare a campare. E infatti finora non abbiamo tenuto conto di quanto spende la ‘controparte’, gli invitati.
Ne abbiamo supposto 200, ma i ragalini si fanno per nucleo familiare e, ipotizzando nuclei di tre persone, possiamo prevedere settanta regalini, ai quali si aggiungeranno quelli degli invitati per i quali il semplice telegramma sembra inadeguato rispetto ai rapporti di affetto e stima che li legano a qualche familiare degli sposi. Ora, le famiglie che parteciperanno alla marcia nuziale e alla grande bouffe sanno in genere che per loro sono andate via 450 noccioline: possibile fare un regalino di meno di 300? Bene, 100 regalini da 300 noccioline fanno 30.000 noccioline, giusto quanto si è speso per la ristorazione.
C’è però da dire che i negozi di abbigliamento non stanno lì sul corso per non vendere nulla: questi invitati non possono mica presentarsi con la stessa giacca con cui sono stati visti all’ultimo incontro. Ognuno di loro dovrà usare la cortesia di un abbigliamento nuovo ed adeguato alla situazione: 200 persone entreranno dunque, qualche giorno prima, nei negozi per comprare un bel vestito grigio con righine azzurre, una camicia intonata, belle scarpe lucide e strettine, cravatta o papillon, a piacere. Se ognuno ci lascia 300 euro (ed è anche pochino), il famoso mercato della moda made in Italy si arricchirà di 60.000 euro, che si aggiungono ai 30.000 per i regalini.
Un matrimonio come si deve, dunque, porta via circa 55.000 euro (adesso chiamiamoli per quello che sono) agli organizzatori e circa 90.000 agli organizzati, per un totale di 145.000 euro. Se in un anno i matrimoni sono 100.000, si crea un giro di affari di più di 14 miliardi di euro.

Ecco come si dà fiato ad una economia in affanno: si fanno sposare più persone in giovane età.
Monti è un grande economista bocconiano e nelle sue formule dovrebbe tenere conto di questa variabile: i matrimoni sono in grado di incrementare notevolmente l’economia reale e di infliggere un colpo decisivo allo spread.
Ma purtroppo i giovani, da questo orecchio, non ci sentono. Non sarà perché sanno che, anche dopo sposati, è difficile trovare lavoro? E che i risparmi dei genitori si assottigliano giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno. E che il matrimonio darebbe loro il colpo definitivo?

Nota. Per chi si fosse annoiato o rattristato per via dei budget finora esposti, consiglio di vedere o rivedere “Pranzo di nozze”. Vedrete un bravo tassista (Ernest Borgnine, quello di “Marty, vita di un timido”), una madre isterica (Bette Davis) e una dolce e bella fidanzatina (Debbie Reynolds). Al motto di “Divertirsi e poi meditare”.
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