sabato 10 maggio 2014

Fulvio Musso: "Odore d'incenso" (racconto breve)

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A quasi due anni di distanza sono contento di poter pubblicare sul blog un racconto dell’amico Fulvio Musso. Si tratta di riflessioni d’un certo peso, ma che come al solito si leggono speditamente e con piacere. In “Odore d’incenso” però invito il lettore più frettoloso a porre una certa attenzione al collegamento fra il secondo paragrafo (la messa dei bambini) e il quarto (la messa degli anziani). Molte immagini sono simili, quasi identiche, e… non a caso!

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Odore d’incenso



Ci siamo tutti. Le donne anziane sul lato sinistro della navata centrale, come solevano ragazze. Gli uomini più maturi, un po’ arretrati sul lato opposto. I parenti del morto si stringono nei primi banchi cercandosi con lo sguardo in muto appello. Le coppie restano bene unite, coscienti del fatale abbandono che dovranno infliggersi oppure subire.

Improvviso m’avvolge il suono maestoso dell’organo e, per un curioso riverbero, mi ritrovo nella Messa dei bambini.
È odore d’incenso, di candele. È musica d’organo. È la faccia buffa della gente che canta, tanto più buffa perché vista dal basso in alto. La Messa dei bambini è sempre troppo lunga e noiosa. La statura minima non dà modo di guardarsi intorno e gli occhioni vagano sugli affreschi scrostati della cupola, fra angeli dal volo statico e martiri sanguinanti. Tanto sangue che li turba e li affascina al tempo stesso. Mille perché nelle testoline. Sempre uguale la risposta: Ssssst!

Il funerale di oggi è quasi una rimpatriata fra parenti e amici. Del resto, la morte è fra gli eventi più naturali in assoluto e non deve angustiare troppo… se non si è molto vicini al carro.
Peraltro, nessuno vive a lungo come i morti, mentre la maggior parte dei volti incontrati in vita sono già cancellati.
Questa sepoltura riguarda un ottantenne. Intorno, strette di mano, mezzi sorrisi, smorfie di rassegnazione: dita nodose e reticoli di rughe sempre più simili a radici ormai prossime a riconfondersi con la terra.
«Ha preso cappello al momento giusto», dice qualcuno, «del resto, è sempre stato un signore».
Mentre mi auguro di risultare, un giorno, altrettanto gentiluomo, inizia la Messa funebre.

La Messa degli anziani è quella del bambino che abita in loro. È odore d’incenso, di candele. È suono d’organo. È la faccia buffa della gente che canta. La Messa degli anziani è sempre troppo lunga e noiosa. Gli occhi acquosi vagano sugli affreschi scrostati della cupola, fra angeli dal volo statico e martiri sanguinanti. Come anticamera del Cielo, non si direbbe il massimo. Inevasi anche i perché.
Sul catafalco col defunto, una baldoria di fiori. Per il bimbo che abitava in lui, nemmeno un cero.
Forse, perché non muore.

Sono un non credente profondamente religioso (Einstein)

Fulvio Musso

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Alcune considerazioni personali. 
Perché l’esperienza religiosa resiste così a lungo negli individui e nella società? All’autorevole citazione in coda al racconto, ne aggiungerei una di V. Pareto:“Una stessa dottrina può essere derisa sotto l’aspetto sperimentale, e rispettata sotto l’aspetto dell’utilità sociale, e viceversa”. Verità e utilità, insomma, diversamente dall’antica concezione platonica e dal moderno razionalismo, possono anche non coincidere. 
Preso atto che l’esistenza e l’inesistenza di entità metafisiche, come diceva Pareto, sono entrambe indimostrabili col metodo sperimentale, forse è allora opportuno aggiustare il tiro e prenderne in considerazione il secondo elemento: l’utilità. 
La religione fu considerata da Marx uno strumento per indurre subdolamente le classi sfruttate a sublimare il loro naturale istinto di ribellione alle ingiustizie. Senza negare questa tesi, ma rovesciandone la prospettiva, il sentimento religioso può però anche essere considerato l’estrema forma di difesa di chi, a un certo punto, al timore di perdere i beni più cari (la vita, gli affetti, la dignità) ritiene, a torto o a ragione, di non poter più opporre ad esso nulla di reale ed efficace. 
Forse è per questo che ancora oggi un ragionevole ateismo spesso convive con forme di religiosità attualizzate e ‘personalizzate’.
Cataldo Marino