tag:blogger.com,1999:blog-44524969965691298562024-03-13T04:30:44.264+01:00Il seme dell'utopia - Blog Socio...logicodi Cataldo Marinocataldo marinohttp://www.blogger.com/profile/07905623932776128758noreply@blogger.comBlogger161125tag:blogger.com,1999:blog-4452496996569129856.post-44722032410251135082023-01-09T19:19:00.007+01:002023-04-08T15:00:47.085+02:00Dialetto Rossanese - I miei post<p> </p><p><br /></p><p></p><br /><br />15 settembre 2021<br /><br /><b>Articoli </b><br /><br />Sing. masc. = u, nu<br />Sing. femm. = a, na<br />Plur. masc. e femm. = i<br />Davanti a nome che inizia per vocale = l' (sia al sing. che al plur.) <br /><br />L'articolo è molto importante. Poichè i sostantivi e gli aggettivi sia maschili che femminili sia al singolare che al plurale finiscono molto spesso con la schwa (ə), vocale foneticamente neutra, l'articolo permette di determinarne genere e numero.<br /><br /><b>Prep. Semplici </b><br /><br />di = ‘e<br />a = a<br />da = ‘e<br />in = ntra<br />con = ccu<br />su = subba<br />per = ppe<br />tra e fra = ntra<br /><br /><b>Prep. art. </b><br /><br />Spesso la r eufonica collega preposizione e articolo. <br /><br /><div>- eru=del; era=della; eri=dei e delle<br />- aru=al; ara=alla; ari=agli e alle<br />- da - come la preposizione di<br />- ntru=nel; ntra=nella; ntri=negli e nelle<br />- ccuru=col; ccura=con la; ccuri=con gli o con le<br />- subb'u=sul; subb'a=sulla; subb'i=sugli e sulle<br />- pper'u=per il; pper'a=per la; pper'i=per i e per le<br />- ntri=fra gli, fra le, tra gli, tra le <br /><br />* * * * * *<br /><br />28 settembre 2021 <br /><br /><b>Sostantivi e aggettivi: genere e numero <br /></b><br />I nomi maschili finiscono sempre con la schwa, che qui abbiamo deciso di rappresentare graficamente con la lettera dell'alfabeto latino 'e'.<br />Es. u Furne = il forno; u biscotte = il biscotto. (1) <br /><br />I nomi femminili possono invece essere scritti e letti in due modi diversi, secondo le circostanze.<br />In un discorso informale e con una discreta comunicazione il nome termina anche qui col suono schwa.<br />Es.: a segge (la sedia); a case (la casa); a cammise (la camicia).<br />Quando si vuole però rafforzare il senso della parola oppure la persona a cui ci si rivolge è dura di udito, lo stesso nome lo scriviamo e pronunciamo come in italiano con la vocale ‘a’.<br />Es.: a seggia; a casa; a cammisa<div><br />*<br />Poiché il più delle volte i nomi sono indeclinabili sia per genere che per numero, al singolare il genere si deduce dall’articolo<br />Es.: u libre = il libro; a televisione = la televisione. <br /><br />Al plurale, poiché l’articolo è in ogni caso la vocale ‘i’, il genere del nome si può dedurre solo dalla conoscenza del singolare.<br />Es. i cavadde è maschile, perché al singolare fa ‘u cavadde’ (il cavallo); i gaddine è femminile, perché al singolare fa ‘a gaddina’ (la gallina).<br />*<br />Il numero si deduce dall’articolo ma anche dal verbo.<br />Es. a gaddine mangia = la gallina mangia; i gaddine mangine = le galline mangiano.<br />*<br />Davanti ai nomi che iniziano per vocale, l’articolo ‘l’ (con l’apostrofo) non consente di dedurre il genere.<br />Il numero si può invece ricavare dal verbo (l’albere indica l’albero, ma anche gli alberi). Per distinguere occorre far riferimento al verbo<br />Es. l’albere è carriche = l’albero è carico; l’albere sune carriche = gli alberi sono carichi.<br />*<br />Quanto detto per i sostantivi vale anche per gli aggettivi. <br /><br />* Note:<br />1. Nel gruppo sc - seguito da a,o,u - la s si legge come nell'inglese sh, perciò biscotte si leggerà bishcotte.<br /><br />* * * <br /><br /><br />7 ottobre 2021 <br /><br /><b>INDICATIVO DEL VERBO ESSERE </b><br /><br />Oggi una parte forse un po’ noiosetta. So che su fb ci si va per passare il tempo, ma cerchiamo di unire l’utile al dilettevole. <br /><br />- Presente <br /><br />Ije signe<br />tu si<br />Idde è (idda solo quando si vuole rafforzare l’identità di genere)<br />Nuve sime<br />Vuve site<br />Lore sune (forma contratta lore su’) <br /><br />- Imperfetto <br /><br />Ije era<br />tu ere<br />idde era<br />nuve éreme<br />vuve éreve<br />lore érene <br /><br />Su questi due tempi, a parte la diversità dialettale per pronomi e verbi, rispetto all’italiano c’è poco da precisare. Al plurale i tre accenti sono tonici. <br /><br />- Passato prossimo e Trapassato prossimo</div><div><br />Si formano come in italiano aggiungendo al Presente e all’Imperfetto il participio passato di essere, che in rossanese è ‘state’.</div><div><br />- Passato remoto (Io fui…) e Trapassato remoto (Io fui stato)</div><div> <br />Mentre gli amici Siciliani abbondano nell’uso del passato e trapassato remoto, noi Rossanesi non li usiamo proprio e li facciamo rientrare nel passato prossimo (ije signe state…) e nel trapassato prossimo (ije era state…).<br />Ciò che è avvenuto venti anni fa e ciò che è avvenuto appena ieri li distinguiamo con l’uso di un avverbio temporale (più o meno preciso) o lo deduciamo dalle circostanze in cui il fatto o l’azione si svolgono.<br />Es.<br />‘Vinte anne fa’ signe state a fatigare ara Svizzere<br />‘Na vota’ Giuvanne è state ntru vosche e(r) ha bbist na murra ‘e porce servagge (i cinghiali)<br />‘Ajere’ signe state aru cafè e Tagghjaferre e m’aje (o m’e) mangiate na bella granita (Nel Rossanese meno recente però la doppia elle diventa sempre una doppia ‘d’, quindi bedda e non bella, padda e non palla). <br /><br />- Futuro semplice <br /><br />Non esiste!!! Per riferirci a ciò che accadrà nel futuro già la logica ci dice di essere cauti nell’utilizzo di questo tempo. E tuttavia non si può vivere senza fare qualche previsione. Se dunque grammaticalmente un tempo futuro non esiste, ci dev’essere almeno un modo di esprimerlo. Questo a Rossano lo facciamo aggiungendo al presente un riferimento temporale. Esempi:<br />Domani ci sarà la pioggia = Romane chiove<br />Fra due mesi Giovanni sarà a Bologna = Fra ruve mise Giuvanne è a Bologne.</div><div> <br />Per gli altri verbi ci sono anche modi diversi di esprimere il futuro<br />es. io farò una certa cosa = io voglio fare, io devo fare, io ho da fare una certa cosa. Più o meno come succede in inglese (I will, I shall, I have to) <br /><br /><br />* * *<br /><br />14 ottobre 2021<br /><br />I Rioni di Rossano <br /><br />Quando si parla degli abitanti di una città bisogna conoscere la sua struttura urbana. Degli abitanti di 'Rossano sopra' si può dunque parlare solo se si tiene presente che - al di sotto e al di sopra della strada principale, che partiva dalla chiesa di S. Marco e dopo circa un chilometro e mezzo arrivava al Cozzo (S. Stefano) - la città si divideva in Rioni, spesso coincidenti con una chiesa (ce ne sono circa trenta, salvo la Cattedrale oggi quasi tutte chiuse).<br />Ogni rione aveva una piazzetta o un piccolo slargo dal quale si snodavano stradine di varie dimensioni, e i 400-500 abitanti di ognuno di essi si conoscevano tutti fra di loro. In genere collaboravano, a volte si detestavano, in ogni caso si controllavano reciprocamente. Tutti sapevano se uno era tirchio o spendaccione, fedele o traditore, socievole o solitario, amante della sobrietà o del bere, ricco o povero. Difficile dire se ciò fosse un bene o un male: c'erano, come in ogni cosa, i pro e i contro.<br />Oggi le strade cittadine e gli alveari a cinque piani di 'Rossano sotto' hanno diffuso l'amore per la privacy, mentre a Rossano sopra la collettività dominava sugli individui e le famiglie. <br /><br />Nell'immagine qui riportata, si vede 'Rossano sopra' con l'indicazione dei vari rioni. Ne è autore l'amico Paolo De Benedetto, al quale vanno i ringraziamenti miei personali e, credo, di tutto il gruppo.<br /><br />* * *<br /><br />30 ottobre 2021<br /><br />Ricettacolo delle ricette <br /><br />ALICI SCATTIATE <br /><br />Ara pischeria s’ha de accattare a quantità giusta e alice, facenne cunte e quante persune si l’ane e mangiare e d’a rannizza e ri fressure c’avite ara casa (ppe 4 persune ci nni vo’ quase nu chile, pecchì c’è ru scarte e po’ pecchì u pisce sazzia mene era carne).<br />L’alice unn’ane ‘e essere troppe piccule, si no l’ate fare frijere, e po’ vi l’ate ‘e mangiare cc’u ri spine.<br />Prima e ri cocere s’ane e scapare e avite ‘e pulizzare i stentine bellu bellu sutta l’acqua e ru canale.<br />Na vota fatte chisse, si mintene ‘ntra fressura (asciuttata bone) ccu l’ogghije e ru sale e si fane cocere, ccu ru cuverchije e subbra, ppe na recina ‘e minute, seconde a rannizza. A menza cottura s’ane e girare!<br />Quanne ane perse l’acqua lore (cioè si sune asciuttate), si minta n’antìa e pipe russe pisate (ruce o piccante a seconda e come piace), na bella spruzzata e acite e si cummogghine n’atra vota.<br />Facite asciuttare l’acite, stanne accorte ch’un s’attacchene ara fressura.<br />Ppe nu cinque minute si sentene scattiare (scoppiettare) e… l’alice su’ pronte! <br /><br />Prove di scrittura in dialetto. Nel leggere la ricetta, come al solito in quello che scrivo io, non tenete conto della vocale ‘e’ alla fine delle parole con più di una sillaba. <br /><br /><br />* * *<br /><br />9 novembre 2021<br /><br />Mi chiedo chissà quanti amici avranno la pazienza di leggere questo lungo post. Proviamo! <br /><br />* Note per la lettura di un racconto in rossanese:<br /><br />Nel leggere questo racconto breve di Anton Cechov, tradotto in modo approssimativo dall’italiano al rossanese, faccio notare tre cose:</div><div>1) Il racconto originale è scritto al passato remoto, ma in rossanese questo tempo del modo indicativo non esiste. Al suo posto usiamo il passato prossimo o il presente storico.</div><div>2) La S seguita da consonante.<br />La consonante S, quando è seguita dalle consonanti b,c,f,g,m,p,q,v e poi una vocale, si pronuncia sempre come una s seguita dalla c dolce, come in sci e sce.<br />Es. Nelle parole sbattere, scola, sfuttere, sguaiate, smaniare, spina, squartare e svitate, la S non si legge come in italiano, ma con un suono simile all’inglese ‘sh’ o al tedesco ‘sch’. Le parole precedenti si possono perciò leggere shbattere, shcola, shfuttere, shguaiate, shmaniare, shpina, shquartare, shvitare.<br />La S si pronuncia invece come in italiano se seguita dalle consonanti d,l,n,r,t. Es. sderenate (con le reni rotte), sloggiare (mandare via), sniffare (aspirare tabacco), sraricate (sradicato), stùpere (stupido).<br />3) Il gruppo di consonanti ‘str’.<br />Anche in questo gruppo la S si legge come in inglese sh. Però la consonante t viene assorbita dalla r e quasi non si sente. Quindi - in questo racconto e solo in questo racconto - ho scritto srata (per strada), srega (per strega), sritte (per stretto), sroliche (per cervellotico), srusce (per rumore). La ‘r’ in questi casi ha un suono sibilante, quasi simile a un fischio. <br /><br />* * * <br /><br />A morte ‘e l’impiegate<br />Racconto breve di Anton Cechov <br /><br />Na bella sira Giuvanne Ciciricò, l’usciere e ru tribunale, era jute aru teatre, s’era assettate ‘ntra na poltrona ‘e ra secunna fila e guardaja cu ru cannocchjale u spettacule “I campane a festa”. Era tante belle ca, mentre guardaia, si scialaja eri rise. Ma tutt’annavota… (scrivenne i fattaredde, si trova spesse su “tutt’annavota”, e chidde chi scrivine tenene raggiune, pecchì a vita è chjina e cose c’un t’aspette)… tutt’annavota a faccia sua s’è sracangiata, ha fatte l’occhje ‘e torte, ha perse u jate, ha alluntanate u cannocchjale e l’occhje e… ‘Accìùuu!’, ha fatte nu belle sternute! A tutte i cristiane capita de fare nu sternute: i foritane, i polizziotte e ‘ncerte vote pure l’avucate; i sternute i ffane tutte!<br />Ciciricò un s’è preoccupate troppe e chidde ch’era successe. S’è pulizzate a vucca e ru nase ccu ru fazzolette e, siccome era na persuna educata, ha guardate a destra e a manca pper essere sicure c’un avia runate fastirie a nessune. Ma, guardanne guardanne, s’accorgia c’avija cuminate nu bellu guaje. Nu vecchiaredde ch’era serute avante a idde, a na poltrona era prima filerata, ccu nu guante si stapìa asciuttanne u codde e ra cozza munnata, e parraia ma un si capiscìa nnent. Ciciricò s’è accorte ca chidde era u Generale Giacinto Potenza. Nu pezze rosse!<br /><<L’haje mpuse a capa>> ha pensate Ciciricò. <<A ru Tribunale un signe probije sutte ar’idde, comunque unn’è na cosa bella chidde ch’è successe. M’aje e fare perdunare>>.<br />Ciciricò ha fatte a mossa e tussare, po’ s’è chjicate vicine a ricchija e ru generale e, chiane chiane, ha ditte:<br /><<Eccellenze, m’ate e perdunare. V’aje ‘mpuse… ull’è fatte apposte…>><br /><<Un fa nente, un fa nente…>><br /><<Pper’amure e ddije, m’ate e perdunare. Vi giure ca ije un bolìa...>><br /><<Lassa stare, mò! Famme sèntere a cummedia>><br />Ciciricò, menze abbabbate, s’è calmate e s’è mise a guardare n’atra vota a cummedia. Però… un si sentìa probbrie tranquille. Fra nu tempe e l’avitre eru spettacule, s’è abbicinate a ru generale, l’ha ntraguliate n’antia e finalmente ha trovate u coragge e rire chianu chiane n’atra vota:<br /><<Eccellenze… v’aje ‘mpuse a capa…M’ate e perdunare… Ije.. Ije… un pensaja ca…>><br /><<E mò basta, mò. Ije minn’era già scordate e tu, dàlle e dàlle, sempre a stessa cosa!>> ha risposte u generale storcenne u labbre e perdenne a pacenza.<br /><<Ricia ca si nn’è scordate ma intante, e ra faccia chi tena, un mi para>>, pensaia Ciciricò guardanne u generale. e unn’era convinte. <<U bbò manche parrare. L’aje e spiegare ca veramente io un l’è fatte apposte… c’u sternute è nu fatte naturale, si no si pensa ca li volìa sputare subbr’u codde. >>.<br />Quanne s’è ricote ara casa, Ciciricò ha cuntate tutte chidde chidde ch’era successe. A mugghjera, dà ppe dà, n’antia s’era spagnata però po’, appena ha sapute ca u generale unn’era u cape e l’ufficije eru marite, s’era calmata.<br /><<Comunque>> ha ditte <<forse è megghije a ci jire e a cercare scusa. Chidde po’ pure pensare ca tu un sa stare aru poste tuve quanne si’ mmenze i gente>><br /><<L’aije cercate perdune, ma idde m’è parute srane. Un m’ha ditte manche na parola. Va bbone ca un c’era manche u tempe e parrare>><br />U jurne e roppe Ciciricò s’e mise nu belle vestite, s’è fatte na bella pettinata er è jute ara casa er u generale ppe ci parrare.<br /><<Ajere, aru teatre… forse vi ricordate, Eccellenze, ije è fatte nu sternute e… senza volire v’aje ‘mpuse a capa. M’avite e perdunare...>><br /><<Lassa stare, su’ cose e fisserie!>> ha ditte u generale.<br /><<U bbo parrare ccu mia! Ha de essere arraggiate…>>, pensaja Ciciricò.<br />Quanne u generale si nni stapia jenne, Ciciricò l’è jute appresse ricenne chianu chiane: <<Eccellenze! mi staje permetenne e vi rare fastirije pecchì chidde ch’e fatte m’u sente subbra a cuscenza>>.<br />U generale ha fatte a faccia quasi schifata e, ccu ra mane, l’ha fatte signe e ra finire.<br /><<Ma tu sta scherzanne?>> ha ditte, sinn’è jute e ha chiuse a porta.<br /><<Ma quale scherze?>> ha pensate Ciciricò, <<E’ nu generale eppure un capiscia nente! Quann’è de sa manera, un li vogghije cchiù cercare scusa, a su stùpere. Magare li scrive na littira, ma cca un ci vegne cchiù.>> e s’è ncaminat ppe jire ara casa sua.<br />Però po’ a ra casa, pensa ca ti pensa, chidda littira un rescìa a ra fare. E ru jurn’ e roppe va n’atra vota adduve u generale.<br /><<Aiere signe venute cca… per cercare perdune, pecchì ccu nu sternute v’aje mpuse a capa. >> ha ncuminciate a dire n’atra vota, cacagghianne.<br />Ma a chiddu punte u generale, ccu ru sangue all’occhije e ri mane ca li tremajene e ra raggia, l’ha guardate ‘ntri padd’ e l’occhije, ha ditte:<br /><<Fore e sa casa. Vattinne!>><br /><<Come avite ritte?>> ha addimmannate Ciciricò ccu ra vucia chi li tremaja.<br /><<Vattinne ‘e cca!>> ha ripetute u generale sbattènne i pere.<br />Ciciricò s’è sentute nu lorure ari stentine. Un ci virìa cchiù e l’occhje e un ci sentija cchiù eri ricchije. E’ jute arrete finn’ a porta e, senza sinn’accorgere, s’è trovate mmenz’ a via. Rascinianne i pere s’è mise a caminare a srata srata e, senza sapire come, s’è trovate ara casa sua.<br />Senza si cacciare u vestite, s’è curcate subbre u divane… er’è morte.<br /><br />* * *<br /><br />7 dicembre 2021<br /><br />Ho provato a scrivere in rossanese un post da me pubblicato giorni fa su fb. Ringrazio in anticipo gli amici che mi daranno consigli utili per parole o frasi sbagliate o scritte male. <br /><br />U cusiture <br /><br />Subbr'a via chi port'aru Cozze, probbije mpacce aru Monumente, c'era mastre Gabriele Granata, une eri tante cusiture ch’era mattina ara sira cusijine ccu santa pacenza gonne, giacchette e cozune.<br />Quann’ije era piccule, i vestiticchje e ri cozunedde curte m’i cusìa mammà ara machina Singer era nonna, chi po’ è passata a idda pecchi ormaje ci avìa ru jusse.<br />Quanne però si trattaja de nu vestiticchje ppe ra festa, s’avìa de jire adduve mastre Gabriele.<br />Ije un ci volìa jire, pecchì, ppe na bona menzura, avia de stare ferme co’ nu manichìne. “Catà, statte ferme. Tene u vrazze eccussì. Mò allarghe tutte e duve i vrazze. Virime a longhizza eri gamme. Un ti movere!>. A ogne cosa chi facia e a ogne parola, u mastre mpizzaja na spingula e pijaja ru signe.<br />Pe fare carire bone u vestite, adduve u mastre ci avija ‘e jire una, ruve o tre vote. Tutte chisse, e roppe ca mammà avia accattate a stoffa adduv’a signora Rizze, e roppe nu bellu tiremmolla subbru prezze.<br />Subbra a stessa via, verse u 1960, Franche Mannarine, na persuna chi ci capiscìa e sempre educate, apra na potiga cu ri vestiti era Lebole e avitre fraviche eru nord. Adduve r’idd un c’era bisogne né d’u metre né d’i spingule. Franche ti facija subite na squatrata, ‘e quante na persuna era ravite e d’a corporatura idde capiscìa aru vule si tu ere na persuna e vinte, cinquanta o centemila lire e po’, senza ci pensare tante, ti facia birre nu vestite belleffatte, era tagghja giusta, e longhizza e de larghizza. Bastaja a ni provare ruve o tre, scegghjere a stoffa e ru culure, pagare e ppo ti potia ricogghjere ara casa ccu nna bella busta.<br />Eh, un si po’ jire cuntre u progresse, i cose hane ‘e jire come hane ‘e jire, e ntra na vintina e anne Russane s’è inchjute e potighe ppe mascule, fimmene e picciulidde.<br />Ma com’’è finita ppe chidde tanti cusiture come mastre Gabriele o Celeste chi passajene a jurnata a cusere? E ppe ri patigare come a Rizze chi avija de sciorvicare recine e balle 'e stoffe subbr’u bancune? E ppe chidde chi vinnijene i nastre e ri buttune, come i due frate Scazziotte? Su’ sparite tutte quante? No, ncune c’è rimaste, ma quante? Poche. Un ci su’ cchiù cusiture, né potigare chi vinnine stoffe, buttune e machine ‘e cusere Singer.<br />E i sorde chi arrivajene a tutte si persune, cchi strata hane pijate ‘e roppe chidda rivoluzione?<br />Finne u ruvemila sune jute edduve e nuve verse u nord. E roppe u ruvemila na parte resta sempre aru nord ‘e l’Italia e n’atra parte pija ra via era Cina comunista, chi mò ni mpara a nuve come si fatiga e come si vinna.<br />Mastre Gabriele, a signora Rizze e i Scazziotte un hane lassate erede. Ripose e refrische a lore. I misteri lore un ci sune cchiù. <br /><br />* * *<br /><br />16 dicembre 2021 <br /><br /><br />Riflettendo in dialetto sul nostro dialetto. <br /><br />L'articule russanise sune quattro:<br />- U (ppe ri nume maschile e na sula cosa);<br />es. u cane<br />- A (ppe ri nume fimminile e na sula cosa);<br />es. a capa<br />- I (ppe ri nume maschile e fimminile 'e tante cose); esempije:<br />i pinnule (masch.), i paddotte (femm.)<br />- L' (ppe ri nume, masch. e fimm., 'e na cosa sula o 'e tante cose, quanne ncumincine ccu na vocale; esempije:<br />l'occhje (masch., po' essere une sule oppure ruve),<br />l'ugne (femm., po' essere una sula oppure tutte quante). <br /><br />U cchjù eri vote u nume russanise è maschile o fimminile era stessa manera 'e l'italiane, ma ncerte vote è aru contrarie; esempije:<br />'pillola' è fimminile, mentre 'u pinnule' è maschile; 'cocomero' è maschile, mentre 'a paddotta' è fimminile. <br /><br />✓ Per farmi perdonare, tre espressioni rossanesi:<br />Aje passate nu brutte pinnule!<br />Sutta l'ugne c'è ru sangue.<br />Ammazzeme e jettime ntri miji. <br /><br /><br />* * *<br /><br />20 dicembre 2021<br /><br />Nello scrivere in rossanese bisogna dividere la parole come in italiano. <br /><br />Esempio: non si può scrivere "minnajejire", ma "mi nn'aji e jire" (me ne devo andare) <br /><br /><br />* * * <br /><br /><br />21 dicembre 2021<br /><br />L'apostrofo <br /><br />In italiano diciamo ad esempio "Cala la pasta, prepara il sugo e riempi i piatti". Come si vede non ci sono elisioni quando due vocali si susseguono.<br />Nel nostro dialetto le elisioni sono invece molto frequenti. La stessa frase suonerebbe così: "Cal'a pasta, prepar'u suche e inchj'i piatte".<br />Il più delle volte la forte frequenza delle elisioni dipende dal fatto che tre dei quattro articoli sono delle vocali (u, a, i), di fronte alle quali il verbo che le precede viene regolarmente... accorciato!</div><div><br /></div><div>* * *<br /> <br /><br />28 dicembre 2021<br /><br />Il superlativo assoluto dimostra come il nostro dialetto abbia notevoli affinità col dialetto napoletano, ma non sia proprio uguale. <br /><br /><< In napoletano il superlativo assoluto non si forma come in italiano, cioè aggiungendo agli aggettivi il suffisso -issimo (bello → bell-issimo, ecc.) oppure facendovi precedere un avverbio (molto, tanto, troppo bello, ecc.) o un prefisso rafforzativo (arci, stra, super bello, ecc.). In napoletano si forma semplicemente ripetendo l’aggettivo due volte. <br />Es.<br />lunghissimo → luongo luongo<br />cortissimo→ curto curto</div><div>magrissimo → sicco sicco</div><div>grassissimo → chiatto chiatto>><br />(Enzo Carro, "Ortografia napoletana") <br /><br />In rossanese però, oltre a questo, abbiamo anche un altro modo: premettere all'aggettivo l'avverbio 'probbije' (proprio). Esempi:<br />Tommaso è intelligentissimo = Tumase è probbije sperte.<br />Pasquale è stupidissimo = Pascale è probbije ciote.<br />Milano è lontanissima = Milane è luntana luntana = Milane è probbije luntana. <br /><br /><br />* * *<br /><br />31 dicembre 2021<br /><br />U jate (il fiato)<br />U jestire (l'asse su cui impastare e lavorare la farina)<br />U jìrite (il dito)<br />A jocca (la chioccia)<br />U juramente (il giuramento) <br /><br />In tutte queste parole la vocale 'i' seguita da un'altra vocale, all'inizio della parola si trasforma nella consonante 'j'.<br />Che si tratti di consonante e non di vocale è dimostrato dal fatto che usiamo gli articoli 'u' ed 'a' e non l'articolo elle con l'apostrofo (L') come si fa normalmente davanti a tutti i nomi che iniziano per vocale. <br /><br />La 'i' a inizio parola, quando non è seguita da altra vocale, viene invece completamente eliminata (es. mpastare = impastare). <br /><br />La trasformazione della i in j, oltre che all'inizio, può verificarsi anche nel corpo della parola, ma questo non accade sempre. Succede ad esempio in 'peje' (peggio) o pija (prendi), ma non in ciote (stupido). <br /><br />Controverso il nome importante di Maria, che, per come lo pronunciamo, mi sentirei di scrivere anche Marija, come in molte lingue slave. <br /><br />La j in rossanese non si pronuncia con una una 'g' dolce, come in francese o in inglese, ma come una 'i' aspirata, o meglio... soffiata! Come quando pronunciamo il nome del nostro mare: Jonio! <br /><br /><br />* * * <br /><br /><br />3 gennaio 2022<br /><br />Stapìtiv'accòrte, quanne ncerte politiche vi fane i cicirammodde, u bbi crirìte ca' vi stane a sèntere, pecchì ogne mumènte chidde pènsine ari cazze lore.<br />Ntra si jurne staje scrivenne com'a pense e sa fusione ntra Russane e Crogghjane. Però ije legge chidde ca' scrìvene lore, ma lore u lléggene o fane a mossa e u sséntere chidde chi rìch'ije. E d'eccussì, continuàne a fare chidde chi rìcine lore. <br /><br />Ije pense ca, si ruve paìse s'accùcchjene, ane avìre tante cose nseme: i stesse uffice, i strate ppe jire e na parte all'atra, e magàre pure a stessa squadra e pallone, si no a chi serva a s'essere accucchjàte?<br />Tante valìa allùra a ffare u contràrije! Nu sìnneche a Russane subbra, n'ávitre ara Stanzione 'e Russane, n'avitre a Crogghjane subbr'a, n'ávitre ara Stanzione 'e Crogghjane e n'ávitre ara Scavunia. O no? <br /><br />* In quanto ho scritto non c'è da parte mia nessuna partigianeria politica e prego gli amici del Gruppo di fare altrettanto negli eventuali commenti. Ho solo parlato di un problema locale per il gusto di farlo nel nostro dialetto.<br />La politica... in altra sede! Perché è fonte di controversie che qui non vogliamo. Qua vogliamo solo divertirci <br /><br /><br />* * *<br /><br />6 gennaio 2022<br /><br />Le nostre parole. 2 <br /><br />Dopo <abbà, abbabbàte, abbaccagghjare, abbaddatùre e abbalìre>, altri dizionari riportano <abballare o abbaddare (ballare), abbampatìzze (paonazzo) e abbannunare (abbandonare)>, ma il Dizionario del Prof. Rizzo continua con il termine <abbarrucare>. <br /><br />Diciamo che una persona <s'è abbarrucata> quando si trascura nell'aspetto fisico (igiene e abbigliamento) e diventa poco socievole.<br />Spesso si tratta di una persona caduta in depressione per gravi eventi personali (impoverimento, malattia, perdita di una persona cara) o per predisposizione caratteriale. Rifiuta i rapporti sociali e viene a sua volta lentamente emarginato da parenti e amici.<br />Insomma, una parola che provoca tristezza. <br /><br /><br />* * *<br /><br />13 gennaio 2022<br /><br />Molte delle parole che in italiano cominciano con la lettera D, nel dialetto rossanese cominciano con la lettera 'R'. </div><div>Esempi:<br />Datemi diventa Runàtime<br />Dimmi diventa Rìcime<br />Dentiera diventa Rentèra<br />Dannato diventa Rannàte<br />Digiuno diventa Riùne <br /><br />* La e finale si scrive ma non si legge o si legge nel modo particolare spiegato nel video che trovate nella sezione "In evidenza". <br /><br /><br />* * *<br /><br />17 gennaio 2022<br /><br />I verbi: passato, presente e futuro + Verbo essere<br />* Ringrazio in anticipo gli amici che vorranno darmi consigli o correggermi <br /><br />* * * <br /><br />Nel dialetto rossanese il tempo in cui accadono gli eventi o vengono compiute le azioni è espresso in modo differente rispetto alla lingua italiana. <br /><br />Le differenze principali consistono: <br /><br />1) nel fatto che non ci sono modi diversi per esprimere ciò che è accaduto in tempi relativamente recenti (io sono stato, io sono andato, io sono caduto) e ciò che è accaduto in tempi molto lontani (Io fui, io andai, io caddi).<br />In entrambi i casi noi usiamo il passato prossimo (ije signe state, signe jute, signe carùte).<br />Questo fatto farebbe pensare che noi siamo meno precisi di un toscano o un piemontese, ma non è così, anzi è esattamente il contrario. Infatti possiamo sapere quando una cosa è accaduta in due modi:<br />a) il momento si deduce in modo inequivocabile dal contesto ("Compà, e dduve sì bbenute? Signe venute era casa". È evidente che chi risponde è venuto da pochissimo);<br />b) precisiamo il tempo lontano con una data o un avverbio di tempo (Rece anne fa a jumara ha allagate i case; na vota nu lupe s'è mangiat'i pecure). <br /><br />2) per indicare un evento che accadrà in futuro usiamo gli stessi verbi che usiamo per esprimere ciò che accade nel presente. Come facciamo allora a distinguere?<br />a) se usiamo solo il verbo al presente, vuol dire che quella cosa sta accadendo adesso o comunque in tempi ravvicinati (es. fazze na fotografia, appicce u foche).<br />b) se l'evento dovrà accadere in futuro, risolviamo il problema aggiungendo un avverbio di tempo, che indicherà con la maggiore precisione possibile quando prevediamo che esso accadrà (u prossime anne cangia ru guverne) o quando abbiamo intenzione di fare una certa cosa (fra na recìn'e e anne vinn'a casa a Milane e mi trasferisce). <br /><br />Senza un modo specifico per distinguere il passato prossimo da quello remoto e il presente dal futuro, i tempi del modo indicativo non saranno 8 come in italiano, ma solo 4: Presente (ije signe), Imperfetto (ije era), Passato prossimo (ije signe state) e Trapassato prossimo (ije era state)<br />Vediamo adesso come si coniuga il verbo essere nelle tre persone, al singolare e al plurale. (Per buon augurio facciamo seguire il verbo da aggettivi... positivi!)<br /><br />INDICATIVO<br /><br />- Presente: <br /><br />Ije signe cuntente<br />Tu sì cuntente<br />Idd è cuntente<br />Nuve sime cuntente<br />Vuve site cuntente<br />Lore sune cuntente<br /><br />- Imperfetto: <br /><br />Ije era allegre<br />Tu ere allegre<br />Idd era allegre<br />Nuve éreme allegre<br />Vuve éreve allegre<br />Lore érene allegr<br /><br />- Passato prossimo: <br /><br />Come in italiano, basta aggiungere al presente il participio passato 'state'. Quindi avremo:<br />Ije signe state soddisfatte ecc.<br /><br />- Trapassato prossimo: <br /><br />Basta aggiungere all'imperfetto il participio passato. Quindi avremo:<br />Ije era state felice ecc.<br /><br />CONGIUNTIVO <br /><br />- Presente: <br /><br />Coincide con il presente indicativo <br />Ije pense ca tu sì sperte = penso che tu sia intelligente<br /><br />- Imperfetto: <br /><br />Ije fussa tranquille<br />Tu fusse tranquille<br />Idd fussa tranquille<br />Nuve fùsseme tranquille<br />Vuve fùsseve tranquille<br />Lore fùssene tranquille<br /><br />-Passato: <br /><br />Al presente si aggiunge il participio passato <br />(Ti pense ca' ije signe state a jocare?)<br /><br />- Trapassato: <br /><br />All'imperfetto si aggiunge il participio passato <br />(Era mmeghhje ca mi nni fussa state ara casa)<br /><br />CONDIZIONALE <br /><br />Adesso anche per il condizionale si usa il congiuntivo imperfetto (u guagnune fussa quete si tu unn'u sputtisse), ma in un linguaggio ormai desueto avevamo: <br /><br />Ije fòrra quete<br />Tu fòrre quete<br />Idd fòrra quete<br />Nuve fòrreme quete<br />Vuve fòrreve quete<br />Lore fòrrene quete<br /><br />IMPERATIVO <br /><br />Si usa l'infinito preceduto dal presente indicativo del verbo dovere, che si può esprimere, come in inglese, anche con 'avere da'. Es. <br />Tu è essere forte = tu devi essere forte = sii forte<br />Vuve avite 'e jire ara scola = voi avete da andare a scuola = andate a scuola<br /><br />PARTICIPIO PASSATO <br /><br />State = Stato<br /><br />INFINITO <br /><br />Éssere = Essere <br /><br />GERUNDIO <br /><br />Essènne = Essendo <br /><br /><br />* * * <br /><br /><br />19 gennaio 2022<br /><br />In rossanese una breve poesia di Eduardo De Filippo, che spiega perché poi fra suocere e nuore spesso non scorre buon sangue <br /><br />U ragù <br /><br />U ragù ca mi piàcia a mija<br />m'u facìja sule mammà,<br />mò chi m'aje spusat'a tija<br />ni parràme ppe nni parrare.<br />Ije un fazze u cavidduse,<br />mò finiscìmila sa cosa.<br />Sì, va' bbone, come vò tu,<br />ni cci'avissim'e scerrare?<br />Tu cchi ddice, chiss'è rragù?<br />E ije m'u mange ppe m'u mangiare!<br />M'a fa rìre na parola?<br />Chiss'è carne ccu pummalore. <br /><br /><br />* * *<br /><br />25 gennaio 2022<br /><br />Visto che è piaciuta la prima, propongo una seconda poesia del grande Eduardo De Filippo nel nostro dialetto: <br /><br />"Si t'o sapesse dicere" <br /><br />Si ti potissa ddire<br />chidde c'u core rìcia,<br />come fussa cuntente,<br />si t'u sapissa ddire!<br />E si potissa sèntere<br />chidde c'u core sénta,<br />ricìssa ca ppe sempre<br />vogghji stare ccu tije!<br />Ma u core sa scrìvere?<br />U core è analfabete,<br />è come nu poete<br />ca un sa cantare.<br />Si mmbrogghja, sposta ri virgule,<br />i punte esclamative,<br />minta nu congiuntive<br />adduve probbije un ci va.<br />E tu, chi stà aru sèntere,<br />ti ci mmrògghje 'e appresse,<br />come succèra spesse,<br />e addìje felicità! <br /><br /><br />* * * <br /><br /><br />27 gennaio 2022<br /><br />Una poesia di Eduardo dedicata alla moglie Isabella (Sabedda) <br /><br />Signe cca<br />Signe cca, Sabbè, signe cca...<br />Cchir'é, u mmi vire?<br />E già, u mmi po' virre...<br />Ma ije signe cca,<br />mmenze i libre, signe,<br />mmenze i carte vecchje<br />chi sune ntru tirette eru cummò.<br />Mi trove cca quann' u sule trasa,<br />si mpizza dde tagghje<br />e appiccia i cornice eri quatre,<br />ndorate e nnargentate<br />... 'e ligname bbone,<br />chi pàrene finestre e finestredde<br />aperte subbr'u munne...<br />Mi trove cca quann' u sule si fa fridde,<br />prime ca' si nni cala arrete a muntagna<br />pittanne i fogghje 'e l'albere,<br />e si mpizza mmenz'i rame<br />ppe ssi fare guardare.<br />Si no mi po' trovare ntra cucina,<br />ntra nottata,<br />pper'arrangiare ncuna cosa:<br />nu stozzaredde e case... na nsalata...<br />ncuna cosa ppe t'appuntare u stomeche,<br />e po' ti curche n'atra vota.<br />Prima ca si fa jurne, po'<br />mi trove aru tavuline,<br />ccu ra pinna mmenze i jirite<br />e l'occhje vers'u cele,<br />pensanne a chidde chi t'aje cuntate<br />e ca' però un t'aje scritte.<br />E chin'u sa s'unn'è state megghje<br />ca' si sune perse si penzère,<br />ca s'érene stancate<br />e essere pensàte<br />e chi mò vùlene ntra l'aria, nseme a mije.<br />E si guarde ntra l'aria<br />po' succèrere<br />ca', si cci sune i nuvule,<br />mi trove.<br />U vente strazza ri nuvule,<br />e co' vena bbena!<br />E po' trovare cert'occhje<br />ca ti guárdene,<br />sutta na frunta larga larga<br />e longa,<br />e dduve fosse scavate...<br />i pò trovare. <br /><br />*** <br /><br />Traduzione in italiano ripresa su internet.<br />Anche l'originale in napoletano si trova facilmente con Google. <br /><br />Sono qui Isabella, sono qui<br />Non mi vedi?<br />Già non mi puoi vedere ma sono qui.<br />Sono tra i libri, tra le carte antiche, dentro i cassetti del comò.<br />Mi trovi quando il sole entra e accende le cornici dorate d’argento, grandi piccole di legno pregiato,noce aceto mogano e palissandro, sembrano finestrelle aperte sul mondo.<br />Mi trovi quando il sole diventa rosso e prima di tramontare indora i rami degli alberi e si inserisce tra le foglie per farsi guardare.<br />Altrimenti mi puoi trovare, quando si fa sera, in cucina mentre mi preparo qualcosa per riempire lo stomaco, un pizzico di formaggio e un po’ di insalata prima di addormentarmi.<br />Poi mi trovi all Alba, seduto a tavolino con la penna tra le dita e gli occhi verso il cielo pensando a ciò che t ho raccontato e non ho scritto<br />E chissà se non sia stato un bene che si siano persi questi pensieri distratti che stanchi d esser pensati vagano per l aria insieme a me<br />E se guardi per l aria può succedere che mi trovi tra le nuvole e che il vento strappi le nuvole e tra esse tu trovi due occhi che ti guardano… <br /><br /><br />* * *<br /><br />28 gennaio 2022<br /><br />In questi tre mesi di vita di Dialetto Rossanese, ho continuato a scrivere sempre i nomi maschili e i verbi mettendo alla fine della parola la vocale 'e', che non si pronuncia proprio come una normale 'e' ma con un suono che ci rassomiglia, e a volte addirittura non si pronuncia. Questo suono è stato definito dai linguisti 'scevà' e si può conoscere la sua origine digitando questo nome su Google. <br /><br />Molti amici del gruppo sostengono che in rossanese le parole non hanno la vocale finale e continuano a scriverle così.<br />Liberissimi di farlo! Ma io vorrei che sapessero che la scelta della 'e' finale non l'ho inventata io. È sostenuta da veri studiosi delle lingue ed è anche seguita dai due Dizionari di Dialetto rossanese esistenti: quello di Scorza e quello curato da De Benedetto.<br />Per dare una ulteriore prova, riporto qui di seguito parte di un interessante articolo trovato su internet.<br />Da tenere presente che il rossanese fa parte del gruppo linguistico napoletano e quindi ci sono notevoli affinità. <br /><br />*** <br /><br />< La lingua napoletana, rispetto alle altre italiche, ha avuto almeno due marce in più che l’hanno resa più popolare e attrattiva nel mondo: la prima è la canzone, la seconda è la forza di seduzione del suo suono, della sua fonia che, una volta conosciuta, non ti lascia più. Devo confessare che all’inizio della mia carriera, non riuscivo a capire l’interesse di un giapponese o di un cinese, di un tedesco o di un finlandese per la mia lingua di provenienza. Tutto mi fu assolutamente chiaro quando fui invitato dal direttore di dipartimento di italianistica dell’Università di Turku ad organizzare e svolgere un corso semestrale di cultura napoletana per studenti scandinavi che si rivelò, con mio grande stupore, l’esperienza forse più coinvolgente ed interessante della mia vita di insegnante. All’inizio di ogni lezione scrivevo un proverbio o un detto napoletano alla lavagna, e dopo averlo letto lo facevo ripetere agli studenti, sicché, mi veniva da sorridere quando li incrociavo nei corridoi o per strada e mi salutavano dicendomi:..”Ogne scarrafone è bell’ a mamma soja.” Cosa vuol dire? Ogni scarafaggio sembra bello alla propria madre, cioè: l’amore di una mamma per i propri figli è immenso.<br />– E che cosa ti piace così tanto in questa lingua? – chiedevo io.<br />– La fonia, la musicalità, – mi sentivo rispondere.<br />– Ma anche la lingua italiana è musicale…<br />- Però non è la stessa cosa.<br />- Che cosa vuoi dire?<br />– Nella lingua italiana manca lo 'shevà'<br />(Lo scevà è un suono vocalico neutro, non arrotondato, senza accento o tono, di scarsa sonorità)<br />-E’ vero dicevo io, è una giustissima osservazione… That makes the difference!… Lo shevà non è naturalmente tutto, ma è certamente un collante fonico che la lingua italiana non possiede.<br />- Poi la vocalizzazione è molto diversa<br />– Certamente.<br />Ecco, la scuola è proprio un do ut des. Non solo gli studenti imparano dagli insegnanti, ma spesso, anche gli insegnanti dai loro studenti.<br /><br />* * *<br /><br />3 febbraio 2022<br /><br />Oggi teatro. Dalla commedia di De Filippo "Non ti pago", da me diretta in una scuola media nel 1973. <br /><br />Personaggi: Don Ferdinando e la moglie Concetta; Margherita, la domestica; Aglietiello, un collaboratore di Don Ferdinando; i figli del notaio Frungillo, Luigi e Vittorio. <br /><br />MARGHERITA Signo', ane bussate ara porta i figghji eru notare, chidde chi sta de casa vicin' a nnuve. <br /><br />CUNCETTA E cchi bbone 'e mije? I canuscime ammalapena. Quase quase un ni manche salùtene quann' i scontàme i scale scale. Tènene chidda tigna. <br /><br />MARGHERITA. Vone parrare ccu Don Ferdinande. Tènene na brutta faccia però. <br /><br />CUNCETTA E falle tràsere. <br /><br />MARGHERITA Trasìte. <br /><br />LUIGI Bongiorno. <br /><br />VITTORIO Bongiorno. <br /><br />CUNCETTA Trasìte. E cchi si tratta? <br /><br />LUIGI Nuve volìme parrare ccu Don Ferdinande, pecchì sulamente idde ni po' spiegare na cosa. <br /><br />CUNCETTA Ferdinande ntra su mumènte sta facenne certe cose ntra cucina; sta mintènne i mmuddagghj' e sughere ari bottigghj' e pummalore ppe ru verne. I bbo fare ccu ri mane suve, rice ca come i chijura idde unni cchijura nessune. Potìte parrate ccu mije. <br /><br />VITTORIO Donna Cuncé, u cane nostre é morte. <br /><br />LUIGI Eru chjame cane? Chidde era co' na persuna 'e famigghja. Nuve, ara tavula, mintìjime prime u poste suve e po' u nostre. L'ame trovate subbr' a terrazza ccu ra trippa unchjata, tante, e ccu na schiuma virda chi l'escìja era vucca e d'u nase. <br /><br />VITTORIO No, chidda ch'escija eru nase era giadda. <br /><br />LUIGI (si corrèggia) Giadda. <br /><br />VITTORIO U nonne è cchjù morte ca' vive... Chidde è becchje. Eru rispiacìre finisce ca ci mora pur'idde. <br /><br />LUIGI Ah, chidde è sicure, u nonne mora appresse a Masanedde. <br /><br />CUNCETTA Assè, a mije mi rispiacia, però unn'è capite pecchì u venite a cuntare a nuve. <br /><br />LUIGI Donna Cuncé, u cane l'ha ammazzate Don Ferdinande, u marìte vostre. <br /><br />VITTORIO L'ane jettate u valène. <br /><br />CUNCETTA Chisse ull'ate e rìre manche ppe fissijare. Ferdinande vò bene a tutte l'animale, unn'è capace 'e fare male manche a na musca. <br /><br />LUIGI L'è sentùte bone ije, quann'idde parràja a bùcia ávita. Unn'u sapìja idde ca, mentre era ntra cammira mija chi jetta subbr'a terrazza, ije sentįja tutte: < Prist-fo', Prist-fo', cane e munnizza! Mi sta nguajànne tutt'i raste. Mera cchi tti riche: s'i patrùne tuve un ti tènene attaccate, ti jette u valene e ti fazze morire! >. <br /><br />VITTORIO Er'ha mantenùt'a parola. L'aje viste cull'occhje mije, donna Cuncé, si no avissa d'e ncecare ntra su mumènte; l'è viste ije 'e arrète a finestredda era cammira mija, parecchie notte, idde e Aglietielle, u vastàse suve, chi s'appostàjine subbr'u tette. <br /><br />LUIGI Ccur'a malìntenzione. Cchi cattivèrija! Aglietiello, po', ha dde fare i cunte ccu mije. Pur'idde unn'u potìja birre, pecchì na vota ntri scale l'ha azziccàte ara gamma, l'ha date nu muzzicune c'ancora s'u ricorda. <br /><br />CUNCETTA Ma chidde, subbr'u tette, ci jane ppe trovare i numeri c'ane e jocare aru lotte. Cchi nni sacce... i nuvule... u fume... <br /><br />(vìrine arrivare a Ferdinande, e arrete ar'idde c'è Aglietelle) <br /><br />Ah, è arrivate marìtime, u vi', parrate ccu idde. <br /><br />FERDINANDO Aglieté, chjane chjane... chisse pìsine. Mò i sistemàme bellu belle ntra cristallèra. <br /><br />CUNCETTA Aspetta, vira cchi bbone cca si ruve persune. Unn'è capite... u nonne... Masanedde... <br /><br />FERDINANDO Cchi c'è? <br /><br />LUIGI E già, vuve un sapìte nente. U fatte ca sime venute ccà un bi rìcia nente... pecchì site innocente. Aglieté, manche tu ni sa nente, anò? <br /><br />AGLIETIELLO E cchi? <br /><br />(Cuncetta ncumincia a mìntere i bottigghj'e ntra cristallèra) <br /><br />FERDINANDO Cuncé, lassa stare. Chisse l'aje e fare ije. <br /><br />CUNCETTA E fa tu, Ferdinà. Ije mò mi nni vaje. A prossima vota, ppe mmìntire i bottigghje ntra cristallera chjamàme u ncegnère (e si nni va). <br /><br />FERDINANDO Mah, avissa d'e essere cchjù calme... specialmente quanne ci sune persune stràjine (po' a chidde ruve) Allura? Ije u bbì capisce... innocente... un ni sapìte nente... Parrate 'e na manèra... <br /><br />LUIGI U cane era famigghja nostra è morte! <br /><br />FERDINANDO Ahah, è mort'u cane! <br /><br />LUIGI Come? E buvi rirìte? <br /><br />FERDINANDO Beh, a mije mi rispiacia ppe buve, però, e n'atra menzina, u ringrazziate a Dije? Vi siete liberate e chiddu fastìrije e de chidda puzza e ntra casa. <br /><br />VITTORIO Ma pecchì, u fastìrije u runája a buve? <br /><br />LUIGI A puzza a sentijive vuve? <br /><br />FERDINANDO Eh, a sentija pur'ije, a puzza, pecchì u cane s'era abituate a tràsere ntru palazze mije, facìja i còmmere suve, ranne e piccule, e po' si nni jija. <br /><br />LUIGI E buve ppe chisse l'avìte ammazzate? <br /><br />FERDINANDO Ma chine l'ha ammazzate? Aje pregate a Maronna e Pompeje c'u facissa crepare, chisse sì. Anze, viste ca' m'ha fatte a grazzia, romane manne ara cchjesa u pacch'e cannile chi l'avìja prumise. Però ije ull'aje toccate probbije. <br /><br />LUIGI Vuve no, ma l'avìte fatte avvelenare e su vastàse (facenne nzigne ar'Aglietelle). <br /><br />AGLIETIELLO Oh, ma sit'esciùte pacce? Ije, quanne scontaja ru cane vostre, mi fermaja ssempre... idde mi facìja ccu ra cura eccussì... ije pure... <br /><br />FERDINANDO Movij'a cura pure tu? <br /><br />AGLIETIELLO Vogghje rìre ch'era ccuntente pur'ije. Ma po' m'ha muzzicate a tradimento - chidde, era birbante a bonanima eru cane vostre - e d'e chidda vota u nni sime salutate cchjù... <br /><br />LUIGI E vva bbo', vuve ricite ca' u nni sapìte nente? <br /><br />FERDINANDO Probbije eccussì, u nni sapime nente. <br /><br />LUIGI E allura cchi jate a ffare a notte subbr'u tette? <br /><br />FERDINANDO Chisse sune affare ca' u bbi riguardene. Nuve a notta jam'e subbr'u tette pecchì... volume pijare na ntia e aria frisca. <br /><br />VITTORIO Ma ije ti l'avia dditte ch'era megghje a un ci venire cca. <br /><br />LUIGI (a Ferdinande) Sentìte, vuve mi site state sempre antipatiche. Quanne site venute a stare vicine a nuve, ari parente li l'aje ritte "Chidda persuna u mmi piacia". <br /><br />FERDINANDO Arivère? <br /><br />LUIGI Probbije eccussì. Ma mò, e roppe ch'è morte u povere Masanedde, ccu tutte i suspette ca tegne subbr'e buve, mi facìte veramente schife. <br /><br />FERDINANDO (ar'Aglietelle) Guarda come li spacche sa bottigghja ntra faccia. <br /><br />LUIGI Seh, seh... provàtice, site ara casa bostra, provàtice. Cchi bi pozze rìre? Ate e fare a stessa fine c'avìte fatte fare aru cane mije: na trippa tanta, a schiuma virda era vucca e ra schiuma giadda eru nase. Jaminìnne, Vittò! <br /><br />(i ruve frate si nni jane) <br /><br />FERDINANDO Ma guarda na ntija cchi si passa. Une sta ntra casa ssuva... <br /><br />AGLIETIELLO Un ci pensate. Chidde sune na famigghja e pacce. <br /><br />FERDINANDO Mah, rùneme na mana ccu ssi bottigghje, Aglieté. <br /><br />* Notare come spesso le parole che cominciano con la consonante v, quando sono precedute da una parola che finisce per vocale, cambiano la v in b oppure in una doppia b. "Ara casa vostra" diventa ad esempio "Ara casa bbostra" <br /><br /><br />* * *<br /><br />7 febbraio 2022<br /><br />Storie di malcostume<br />di Giovanna Nobile <br /><br />Martino <br /><br />Era de n'anne chi jija e bbenija edduve l'Onorevele, tante c'avìa ri vrazze rutte, 'e tutt'i dolce e de tutt'i cascette e frutta chi l'avìa portate. Idde ricìa ca un c'era bisogno, ma ije capiscìja ca li facìa piacire, pecchi ricìa sempre "Com'è bbone chisse! Com'è bbone chiss'atre!".<br />Finalmente, na romìmica ch'èreme mmenz'a gghjazza, m'ha abbrazzate avant'e tutte e m'ha dditte ca pper'avìre u poste un c'èrene cchjù probleme. E a mije ppe ra cuntentizza mi cci stapìja pijanne n'infarte.<br />Quann'è bbenute u tempe 'e votare ppe ru sìnneche, m'ha addimmannate quante vote li potìa portare, e ije l'è ritte "mille". Allura m'ha dditte ca tutte l'amice mije avijìne e votare co' ricìa idde, ccu ri nùmire mise in fila, si no si mrogghjàjine i carte.<br />Allura signe jute adduve tutt'i parente e ri persune ca' canuscìa e l'è pregate e mi far'u piacire, ricenne ca' tante ppe lore, o nu partite o n'ávitre, u lli canciàia nnente. E invece... u vote all'Onorevele potìja sempre sèrvere.<br />Quanne su' finit'i votazione, a mije u mm'èrene rimaste né jate né scarpe, e tante c'avìa caminate. Però a romìnica matìna l'Onorevole m'ha pijat'e sutt'u vrazze e ha ditte a tutti chidde ch'èrene ccur'idde "U virìte su cristiane? È na persuna 'e parola... m'avìa dditte mille vote e mi nna fatte pijare pur'e cchjù. E mmò u facime jire a ffatigare ara Post'e Palermo.<br />Ije l'è ritte c'avìja ra patente e idde ha risposte ca, siccome na persuna fine co'e mmije un si potìja mìntere a carricare e scarricare pacche, allura mi facìja ffare l'autista.<br />Ara Posta cci signe trasùte ccu ru vestìte eru matrimonije e mi signe presentate co' nu figurine, tante ca' tutte mi guardàjine, e une è arrivat'a si crìrire ca' ije era u capuffice nove. L'aje ritte ca' no, ca' dda però mi cci'avìja mannate l'Onorevole. E d'e tanne tutte m'ane trattate ccu ri guante gialle.<br />Mò tegne nu belle stipendije e fazze a vita eru signore, pecchi mi paghine pur'i trasferte e ru straordinarie era notta. Ma... parràmene chijare, si cose unn'i fazze maje, firme come s'i facissa, ma po' mi nni vaje ara casa e mmi ffazze... ntru lette mije!<br />All'inizzije u direttore volìa fare u forte e m'ha ditte ca ije un potìja firmare e po' jire ara casa. Ma ije l'è fatte capire c'avìa dde stare aru poste suve, si no u ricìa all'Onorevole... er'idde ha capite. Eccussì mò mi lassa mpace, pecchì si no, u sa c'u fazze trasferire.<br /><br />* Racconto fortemente contestato dai lettori della pagina fb.<br />Ho precisato che l’autrice siciliana vuole evidenziare il malcostume diffuso in alcune fasace della nostra società. E’ un ‘racconto denuncia’! <br /><br /><br />* * *<br /><br />19 febbraio 2022<br /><br />Un esperimento di scrittura: <br /><br />(L'uso della vocale 'ə', ormai introdotta anche nelle tastiere dei computer e dei cellulari. Tuttavia, se scriverla è problematico, vederla scritta in un testo lungo dà un certo fastidio. Per questo è forse preferibile la vocale ‘e’. Il testo che segue dovrebbe esserne una buona dimostrazione)<br /><br />A STANZIONE<br /><br />U 1963 a Russanə c'érenə nu 20.000 persunə e ara Stanzione a malapena nu migghjarə. N'atrə e 3.000, cchjù o menə, stapìjinə ar'Amica, i Prainettə, u Tuscanə, Santa Maria, Foreddə e ntri campagnə.<br />Pecchì parrə probbijə e chidd'annə? Pecchì u 1963 ccu ra famigghja mia - ijə tenìja 15 annə - simə venutə a starə a unə eri primə palazzə, fattə ara Stanzionə 'e mastre Lucianə Stasə, chidde adduvə c'è ancora mo' a pasticceria e Pippə.<br />Mpaccə c'era na casicedda a dduvə pianə, e arret'a chissə a segheria e Malagarìja. 'E dda, finn'a stanzionə 'e servizijə e donn'Arturə Grazzianə, un c'era nent'avitrə, forse sule u palazzə virdə, adduvə c'è mo' a traversa eri Giuseppinə. A destra e a manca e ra strata - edduvə passajinə tutt'i machinə e ri càmmiji chi vénijinə 'e Reggə o e Tarəntə, pecchì ancora a supestrata un c'era - c'érənə i cunettə ccu l'erva.<br />E roppə a stanzionə 'e servizijə, a destra c'era u palazzə era Cassə 'e risparmijə e po' na casicedda, ccu l'edicula e ra signora Grazzianə, chi mò s'è trasferitə a a Port'e Ferrə; a sinistra c'era nu palazzə e quattrə pianə e po' 'u mulinə', nu fravicatə vecchjə, chi po' è statə scioddatə ppe ci fare u palazzə adduvə mò c'è a banca Unicredit. Praticamentə subbra Via Nazionale un c'era quasə nentə.<br />A Stanzionə si redducìja a Via Margherita. A destra, scinnennə versə u passaggə a livellə, e a sinistra nchjanannə versə Port'e Ferrə, c'érenə parecchjə casiceddə vascə. Arrivate Aru passaggə a livellə, girannə a destra s'arrivaja ara staziona ferroviaria.<br />Via Sibari è stata fatta ruve o tre anne e roppə, Via De Rosis ntru 75 e a piazza ntra l'annə 80. <br /><br /><br />* * *<br /><br />19 febbraio 2022<br /><br />In rossanese, due strofe di una poesia<br />di E. De Filippo <br /><br />STATTE ATTENTE <br /><br />Quanne l'amùre trasa<br />ccu ra risata e ra paccìa,<br />ca cumìncia ccur' a buscìa,<br />tanne, un ti lassa cchjù.<br />Statte attente ari parole chi rìce,<br />pecchì u core sènta ra vùce,<br />e po' ti ddìcia, ruce ruce,<br />quanne tu un ci penze cchjù. <br /><br /><br />* * *<br /><br />21 febbraio 2022<br /><br />Le poche 'i' a inizio parola. <br /><br />Nei 4 dizionari rossanesi (Rizzo, Scorza, De Paola e Sitongia-Mingrone) le parole che cominciano con la lettera 'i' non sono più di dieci, cioè pochissime: idde (lui), intra (dentro) e poche altre. Per quale ragione? <br /><br />1) quando la 'i' è seguita da un'altra vocale, assume il suono di 'j': es. jame aru mare, jetta sa cosa, mi fa male nu jìrite, chidde è nu jogàle, cca ci vò nu pipe juschènte. (In molti casi la j sostituisce anche la consonante 'g'; es. a jumènta è ntra stadda) <br /><br />2) nelle parole che cominciano con 'imp' la 'i' iniziale si perde: es. mparàte (imparato), mpermère (infermiere), mpilèra (in fila), mpizzàre (infilzare), mprasticàte (imbrattato), mpùnnere (bagnare). <br /><br /><br />* * *<br /><br />2 maggio 2022 <br /><br />U bbaje spesse ara cchiesa, però ognettante legge u Vangele, e oje vogghje scrivere ara russanise na parte eru capitəle numere 6 eru Vangele 'e Mattè. <br /><br />A limosina, a preghiera e u riùne.<br /><br />< Quanne facìte na cosa bona, unn'a facìte avante a tutte ppe fare virre ca site brave.<br />Quanne aiutate a ncune un sonate a trumma. Quanne runate ncuna cosa a chine ni tena bisogne, a mana sinistra unn'ha de sapìre chidde chi fa a mana restra. Sulamente u Patreterne ha de virre, e po' idde aiuta a buve.<br />Quanne ricite i preghiere, u ffacite come chidde gente faveze chi stàne all'impere ntra cchjesa ppe si fare virre 'e l'avitre cristiane. Quanne pregate, mmece, trasite ntra cammaredda vostra e chjurit'a porta, ca u Patreterne vi vira e si nni preja. E ulli ricìte troppe cose, ca' idde già sa chidde chi v'abbisogna.<br />Quanne facìte u riùne, u ffacìte a faccia eri mortacigne ppe fare virre a tutte ca' sìte brave. Lavativ'a faccia e facitive na bella pettinata. U Patreterne u sa ca avite fatte u sacrifici pper' idde, er'è idde chi v'a dde premiare. ><br />(Na ntija aje tagghjate, unn'è complete; mmenze c'è pure a preghiera eru Patrennostre) <br /><br /><br />* * *<br /><br />29 maggio 2022<br /><br />A nuvula (fiaba) <br /><br /> Nu jardine vrusciate eru càvire ha addimmannate aiute a na nuvula.<br />- Regàleme na ntia 'e acqua, signurinedda eru cele! I fiore mije si stane ammuscianne, l'erva riventa giadda e sicca e all'albəre, ppe ra risperazione, li sta pijanne a malatija.<br /> A nuvula si nn'è strafricate era preghiera eru jardine, è fujuta subbr' u mare e ha scarricate dda l'acqua chi portaja. U mare, come si potia pensare, unn'ha manche ringrazziate, e ra nuvula c'è rimasta malamente. Allura è juta subbra a muntagna e l'ha ditte ch'era offesa.<br />- E come potia crìrire c'u mare s'entusiasmaja ppe na ntia 'e acqua? - ha dditte a muntagna - Chiddə è tutt'acqua, e u regalicchje tuve u fa sulamente rìrere. Avij'e essere generosa ccu ru jardine siccate, ccu ri fiore, ccu l'erva, ccu l'albere chi mòrene mentre cerchene nu squiccil' e acqua. U regale tuve allura fussa state nu geste e bontà, e n'avisse avute ringraziamente e benarizione.<br /> A nuvula allur' ha capite ca, quanne nu regale un porta né conforte e né cuntentizza... u bbala nnente! <br /><br />(da Fiabe e Leggende della Russia, a cura di Marina Spano, ed. G. Principato 1949) <br /><br /><br />* * *<br /><br />11 giugno 2022<br /><br />La sillaba tonica. <br /><br />In base alla sillaba su cui cade l'accento tonico le parole si dividono in:<br />- tronche, quando l'accento cade sull'ultima sillaba, es. fermò<br />- piane quando cade sulla penultima, es. verdùra<br />- sdrucciole quando cade sulla terzultima, es. triàngolo<br />- bisdrucciole quando cade sulla quartultima, es. telèfonami. <br /><br />La cosa curiosa è che le parole che in italiano sono bisdrucciole (quasi sempre si tratta di verbi) in rossanese in genere diventano piane.<br />Esempi:<br />- telèfonami diventa telefonàme;<br />- intràppolano diventa ntrappolàne;<br />- fàbbricano diventa fravicàne;<br />- lasciàtemeli diventa lassatimìle;<br />- còmpramelo diventa accattamìle. <br /><br />Altra curiosità: la stessa parola può cambiare significato spostando l'accento tonico. Es., se accattamìle significa compramelo, accattàmile significa compriamolo <br /><br /><br />* * *<br /><br />1 luglio 2022<br /><br />Curiosità sul presente indicativo del verbo avere. <br /><br />Scrivendo in rossanese, mi sono accorto di come riusciamo a ridurre al minimo le voci del presente indicativo del verbo avere usato come ausiliare:<br />- Io ho = < ije aje > (es. Ije aje fatte...) diventa < ije e > (es. Ije e fatte...)<br />- Tu hai = < tu ha > (già una sola sillaba!)<br />- Egli ha = < idd ha > (come sopra)<br />- Noi abbiamo = < nuve avìme > (es. nuve avime fatte...) diventa < nuve àme > (es. nuve àme fatte.. ) o addirittura < nuve o > (es. nuve o fatte...)<br />- Voi avete = < vuve avìte > (es. vuve avite fatte...) diventa < vuve àte > (es. vuve àte fatte...)<br />Essi hanno = < lore àne > (già molto breve, resta com'è).<br /><br />In italiano il verbo avere, oltre che fungere da ausiliare per i tempi composti di altri verbi, indica anche la proprietà di beni materiali o l'attribuzione di pregi e difetti personali. In rossanese, nel secondo caso, al posto del verbo avere si usa il verbo 'tenère', in rossanese 'tènere' o 'tenìre'.<br />Esempi:<br />Ije tègne na machina vecchia <br />Tu tène na bella faccia tosta! <br />Idd tena nu bellu carattere <br />Nuve avime/tenìme coragge <br />Vuve avìte/tenìte pacènza <br />Lore tènene nu belle jardine <br /><br />* * *<br /><br />27 agosto 2022 <br /><br /><br />Il più recente dei simpatici 'siparietti' del caro amico Enzo Manera , tradotto in rossanese dal dialetto di Roseto Capo Spulico. <br /><br />È carùte o s' è jettate? <br /><br />Angialuzze (e subbranume 'Guarducele sinocare'), mentre caminaja subbr' a spiaggia, tutt'annavota cara longu longhe ncodd' a nna bella signora chi, trippa all'aria, s'arrustìja aru sule.<br />U marite era signora, ch'era dda bbicine, li rìcia: ma chi ffa?<br />< Signe attroppicate er' 'e perse l'equilibrije, m'ate e scusare. ><br />T' 'e visto ca si' attroppicate ccu nu pere, ma po' ccu ri ruve mane ti si' abbrancicate a mugghjerma! Mmece e ti jettare subbrə idda, ti potìja jettar' e l'atra menzina, subbr' i cocule eru mare.<br />< E m'avìa de rumper' a faccia? > <br /><br />In rosetano e poi in italiano: <br /><br />Ghangeguenùzze ( suprènnumenète Guàrghe ngìghe se no chèghe), mèntre camenàvede supre a spiagge, tutt' a nnavòte, càdede lunghe lunghe ncùlle a na bèlle segnora, chè, vèntre-appítte, pigliàvede u sogue.<br />U mèrìte vicine : che fàise?<br /><< Hègge sdrùmmeguète: chiedo scusa><br />T' hègge viste, hèie ntrùppechète cu nu pède, ma cu duie mène t' hèie èbbrèngichète. Invèce i te iìttè supre a meglière mèie, putìse chedì dell' àte u guète, supre i pètere.<br /><< E chè?... me vìie strafèccè ?>> <br /><br />Angelino (soprannominato Guardo in cielo se no cado), mentre camminava sulla spiaggia, improvvisamente, cade lungo lungo addosso ad una bella signora, che ventre in alto, prendeva il sole.<br />Il marito vicino: che fai?<br /><< Sono inciampato, perdendo l'equilibrio: chiedo scusa>><br />Ti ho visto, sei inciampato con un piede, ma con due mani ti sei avvinghiato. Invece di buttarti sopra mia moglie, potevi cadere dall' altro lato, sopra le pietre.<br /><<E che?... mi dovevo rompere la faccia?>> <br /><br /><br />* * * * * *</div><div><br /></div><div>Data da rintracciare<br /><br />"Chi c'intra na poesia napulitane ccu ru dialette russanise?", ricite vuve. Provate ara cangiare e b'accorgite ca' nu dialette vena de l'avitre! <br /><br /> <br /><br />In Napoletano <br /><br />'A foglia<br />quanno cade 'a copp'a l'albero<br />nun cade pecchè è morta<br />cade<br />pecchè l'autunno<br />se presenta c' 'o viento<br />e 'o viento<br />è cumme fosse<br />pe' sti ffoglie<br />'a frischezza d' 'a vita<br />ca te dice:<br />"Lass' 'a famiglia<br />lasse mamma e ppate<br />e vattènne p' 'o munno!"<br />'O viento<br />scioscia sempe a ccapa soia<br />tanta ragiunamento nunn 'e ffà,<br />ragione nun ne sente:<br />te piglia p' 'o culletto,<br />p' 'e capille,<br />te fa scennere nterra<br />e te porta cu isso<br />e sultant'isso sceglie<br />e trov' 'a terra<br />addò 'e ffoglie<br />se fann' 'o lietto<br />e scialano<br />pe'na jurnata sana...<br />'a jurnata cchiù bella 'e tutta 'a vita!<br />Scialano 'e notte<br />'e juorno<br />e a matutino,<br />si chiove o nce sta 'o sole...<br />Lassàtele sta'nterra chesti fferz' 'e tappete,<br />guardate cumme càgneno culore.<br />Càdeno meze gialle e meze verde<br />o sulamente verde<br />o verde scuro<br />o verde sculurito<br />po' se fanno russagne<br />e 'o sango scorre pe'dint'a chelli vvene<br />ca se fanno paunazze<br />mentre 'a pelle s'arriccia<br />e s'accartoccia,<br />cumme fanno 'e cannol' 'a siciliana<br />primma ca 'o pasticciere<br />nce ha mettuto<br />chella crem' 'e velluto,<br />fatte 'e ricotta,<br />'a rinto.<br />Nun 'e ttuccate 'e ffoglie appena càdeno:<br />nun 'e vedite?<br />Songo vive ancora.<br />Lassàtele sta' nterra chesti fferz' 'e tappete.<br />Vierno vène pe' nnuie<br />ma nun se scorda<br />'e sperdere p' 'o munno chesti ffoglie<br />quanno nun so' cchiù foglie.<br />Nce penza 'o maletiempo<br />'o viento<br />ll'acqua...<br />Che nce trasimmo nuie<br />cu ll'acqua e 'o viento?<br />Che ne sapimmo nuie<br />si chesti ffoglie<br />songo vive o so' morte<br />quanno 'o viento<br />corre ramo pe' ramo<br />e nn' 'e fa scènnere 'e preputenza<br />'a copp'a l'albero? <br /><br />Poesia di Eduardo De Filippo <br /><br /> <br /><br />In Rossanese <br /><br />A fogghja,<br />quannə cara e subbra l'albere,<br />un cara pecchì è morta,<br />cara pecchì l'autunne<br />si presenta ccu ru vente,<br />e u vente<br />è come fussa,<br />ppe si fogghje,<br />a frischezz era vita<br />ca ti rìcia:<br />"Lass a famigghjia,<br />lassa mamma e patre<br />e battìnn u munn munne".<br />U vente juscia sempre 'e capa sua,<br />tanti ragiunamente u nni ffa,<br />raggiune u nni senta:<br />ti pija d'u collette,<br />eri capidde,<br />ti fa scinnire nterra<br />e ti porta ccur' idd,<br />e sul idd scegghja,<br />e trova ra terra<br />adduv' i fogghje<br />si fàne u lette<br />e si scialane<br />ppe na jurnata sana,<br />a jurnata cchjù bella 'e tutt' a vita!<br />Si scialane 'e notte<br />'e jurne<br />e de matìna,<br />si chjiova o c'è ru sule. <br /><br />.......... <br /><br />.......... <br /><br />Ate vist com'è facile?</div><div><br /></div><div>* * *</div><div><br /></div><div> Chi ccazze cci fa (quanne cci vo' cci vo'! 😀) na posta eru 1950 mmenze a tante palazze eru 1800?<div>Caru sìnniche, u sacce ca un si' state tu aru fravicàre, ma un si potissa scioddare e mìntere l'uffice a n'atra banna?</div><div>Co' ricia ra Bibbia, "...c'è nu tempe ppe scioddare e nu tempe ppe fravicare" 😂 (Ecclesiaste 3.3)</div><div><br /></div><div><br /></div><div>* * * </div><div><br /></div><div>23 gennaio 2023</div><div><br /></div><div>Si guardate i palazze vecchie 'e Russane, virìte ca' cci sune tantə buche (come ntra fotografia).</div><div>Mò dda cci fàne u nire l'ocedde, ma un su' state fatte ppe chisse, quanne l'ane fravicate.</div><div>Tanne servijìne ppe cci mìntire i pale pper i nnaite (i tavulune) ppe quanne s'avìja de fare na riparazione o s'avìjine e pittare i mure.</div><div>Si buche si chjamàine "rup' e nnaite". Ma, mò ch'i case si cònzene muntanne i tube 'e ferre (a mpalcatùra), i tamarre - ma ncerte vote pure i signurini! - ccu ssu nume ci chjàmine i fimmine belle chi, caminànne, si nazzichìjine. 😂</div><div><br /></div><div>* * *</div><div><br /></div><div>31 gennaio 2023</div><div><br /></div><div>Nchjananne a Russane, mò para ca' cci sune cchjù machine ca' cristiane.</div><div>Na vota subbr'a sa strata, mmece, 'e machine ni passaja una sula, e sulamente a matina preste e ra sira, chidda 'e Don Giuvanne eri Farche'. Na Mercedes guidata sempre 'e Ferdinande, u scioffèr.</div><div>Date ca ntru reste era jurnata passaja sule ncunu ciucce, su pezze 'e strata... era d'i guagnune. Cci jocajime aru pallone (a strata era longa na vintìna e metre e larga na recìna!), a mazze e pizze, a nnuce e tante avitre joche.</div><div>Fra si joche cci nn'era une na ntia pericolose: chidde eri frecce, l'arma e l'indiane chi virijime ntri film western aru Ferrine.</div><div>I frecce si facijìne ccu dduve ferre 'e nu paràcche vecchje e nu lazze. Chjicànne nu ferre e liganne i ruve cape si facìja l'arche. All'atru ferre si facìja ra punta stricànnele subbr'a na petra, e chidde riventaja a freccia. Ma adduve si mpizzajine i frecce? Aru portune eru garace e Don Giuvanne, chi tutt'u jurne restaja cchjuse.</div><div>Subbr'a u portune, ccu ru gesse, si facijìne i circhje com'u tirassegne e po' 'e cinque o sei metre minajime a turne ppe ffare a gara. Si, unzamnaje, ppe sbagghje a freccia pijàja a ncunu guagnune, u ruvinaja. Ma ppe furtuna unn'è mai successe. </div><div>Ntra secunna fotografia si vita u portune virde chi Ferdinande apria ogne matina e chiurìa ogne ssira.</div><div>* Cliccare sulla seconda foto per vedere il portone.</div><div><br /></div><div><br /></div><div><br /></div><div>7 aprile 2023</div><div><br /></div><div><div>Osservazioni sul nostro dialetto: perché a volte è necessario raddoppiare la consonante iniziale di una parola.</div><div><br /></div><div>Esempio. </div><div>- M'ha fatte fare na fisserìa! (tu mi hai fatto fare una sciocchezza!);</div><div>- M'ha ffatte fare na fisserìa! (lui mi ha fatto fare una sciocchezza!).</div><div>Chiedo conferma a Gennaro Mercogliano 👋</div></div> <br /><br /> <br /><br /> <br /><br /> <br /><br /> <br /><br /> <br /><br /> <br /><br /> <br /><br /> <br /><br /> <br /><br /> <br /><br /> <p></p></div></div>cataldo marinohttp://www.blogger.com/profile/07905623932776128758noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-4452496996569129856.post-35649372293421463572022-09-19T11:00:00.005+02:002022-09-19T15:09:35.214+02:00Enrico Letta, l'inutile idiota<div><br /></div><div> Se l'Idiota di Fedor Dostoevskij è un uomo incapace di vedere il male negli altri e opera sempre a fin di bene, l'idiota di cui parliamo qui oggi è un uomo che vede il male in tutti gli altri e non sa far altro che danni a chi gli sta vicino. </div><div>* * * </div><div> Se dopo il voto Enrico Letta andrà via dal PD, lo decideranno ovviamente gli elettori e i dirigenti del suo partito. Io non posso che limitarmi a fare qui alcune, purtroppo ininfluenti, considerazioni. </div><div> Quando Mattarella ha indetto le nuove elezioni, il quadro politico era abbastanza chiaro a qualunque uomo di intelligenza media, e forse anche medio-bassa. </div><div> I tre partiti di destra, consapevoli della legge elettorale, che assegna un terzo dei seggi alla "coalizione" che ottiene anche un solo voto in più, decidono - ovviamente - di presentarsi uniti. Non hanno programmi identici, ma con ogni probabilità si accaparreranno, in via preliminare, quasi tutti i 74/196 seggi al Senato e quasi tutti i 147/392 seggi alla Camera, pari al 37,2% (cui si aggiungeranno poi i voti ripartiti proporzionalmente)... Dopo di che si vedrà!</div><div><br /></div><div> Al capo di un partito concorrente, pur se di intelligenza medio-bassa, non restava che una contromossa: formare una coalizione con tutti gli altri partiti. E... dopo si sarebbe visto! </div><div> Ma il Prof. Letta non è un uomo di intelligenza medio-bassa. Nonostante il titolo accademico di cui non so quanto meritatamente possa fregiarsi, è nei fatti più semplicemente... un idiota, perché il campo politico che doveva coalizzare lo ha invece diviso in mille rivoli.
Il 20% del PD, il 15% dei 5Stelle e il 10% dei cinque o sei partitini che stanno un po' a destra e un po' a sinistra dei due partiti maggiori, messi insieme potevano assommare a un 45%, il che avrebbe consentito di competere con la destra. Ma Letta comincia inspiegabilmente a 'dire no' ad alcuni di essi (il M5S, con cui aveva felicemente governato prima di Draghi) e a 'farsi dire no' dagli altri. Il 'divide et impera', che i saggi romani applicavano agli avversari, egli lo applica masochisticamente ai suoi potenziali alleati! Non si accorge, l'idiota, che combattendo separatamente, nessuno di essi ha la minima probabilità teorica di avere un voto in più rispetto all'altra coalizione e che in tal modo... la sconfitta è certa! </div><div><br /></div><div> Cosa accadeva in genere si comandanti militari che portavano le loro truppe alla sconfitta? Se andava loro bene dovevano dimettersi, ma nei tempi andati - e in certi popoli anche oggi - dovevano cercare di sottrarsi all'ira popolare. </div><div> Per fortuna oggi in Italia siamo clementi sia coi malvagi che coi fessi e per il 27 settembre ci limiteremo perciò a chiedere al nostro 'idiota' solo di fare... le valige. La Francia non è poi così lontana! </div><div> Messo che lì, nonostante tutto, non si accorgano della sua imbecillità e lo rispediscano a Pisa, dove, con il dovuto rispetto per quel mestiere, potrà sempre fare il ciabattino. </div><div> Ma non per fare le scarpe alla Meloni!</div>cataldo marinohttp://www.blogger.com/profile/07905623932776128758noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4452496996569129856.post-45059834696218460622022-05-13T17:56:00.000+02:002022-05-13T17:56:14.436+02:00Dall'Atlantico agli Urali<p> <span style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;">Spero di ricordare bene. Quando facevo le scuole elementari negli anni 50, mi pare di aver imparato che il continente europeo, ad est ed ovest, avesse questi confini geografici. Crescendo mi sono gradualmente fatto la convinzione che però questi confini non fossero solo geografici ma anche culturali: colpa - o merito? - di qualche nozione storica, di qualche ozio letterario o artistico e di alcune persone di etnia russa che ho avuto il piacere di conoscere personalmente e di apprezzare negli anni 2000.</span></p><div dir="auto" style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;">Per questo oggi rimango sbalordito della artificiosa contrapposizione fra Russia ed Europa, di cui si riempiono la bocca i politici della UE e di cui riempiono gli articoli i loro amici giornalisti.</div><div dir="auto" style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;">Non credo che Pietroburgo e Mosca siano asiatiche più di quanto Palermo e Siviglia non siano arabe. Se consideriamo europee le seconde non possiamo non considerare europee le prime.</div><div dir="auto" style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;">Vedo che nei grandi romanzi russi dell'Ottocento era frequente l'uso della lingua francese nell'aristocrazia zarista, che le signore russe seguivano la moda delle grandi capitali europee e che al Bolshoj si eseguivano musiche e danze non meno raffinate di quelle della Scala di Milano. Da cosa deriva allora l'assurda e ridicola contrapposizione di cui si parlava?</div><div dir="auto" style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;"><br /></div><div dir="auto" style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;">L'origine è da riscontrare nella svolta politica del 1917. La grande rivoluzione comunista metteva in seria discussione il sistema economico capitalistico degli... altri Paesi europei, e soprattutto quelli del 'Nuovo mondo', il paese dei cow boy! </div><div dir="auto" style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;">Questo spiega tutto fino al 1992, cioè fino a quando la Russia mantiene un sistema economico che ha al centro lo Stato anziché l'impresa privata. Ma non ne spiega il motivo dopo quella data, cioè dopo che la Russia - preso a calci in culo Gorbacev - diventa più capitalista dell'UE. Ci dev'essere dunque un motivo nuovo, ma... altrettanto serio.</div><div dir="auto" style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;"><br /></div><div dir="auto" style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;">La Russia non poteva in due o tre decenni costruire un nuovo sistema produttivo capace di diventare un pericoloso concorrente economico. Aveva, ed ha, però delle enormi risorse energetiche e di materie prime che vende ai Paesi confinanti a prezzo di mercato. </div><div dir="auto" style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;">Sì tratta di prezzi non esosi, ma... perché pagarli se si potessero avere quei beni da una colonia? Ecco l'idea, e dietro l'idea una strategia. Se con una guerra - prima economica e poi militare - si riesce a decomporre quel vasto impero in tanti inermi staterelli, si possono ottenere gas, petrolio e materie prime agli stessi prezzi con cui da secoli si depreda il continente africano.</div><div dir="auto" style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;">Basterebbe questo per spiegare la guerra ucraina? Si dice di no, perché è stata la Russia ad invadere lo Stato ormai cliente di Usa e GB. Ma io dico di sì, se è vero quanto dicono diverse fonti attendibili degli stessi Usa e GB, e cioè che questa guerra è stata da essi voluta e preparata fra il 2015 e il 2022 fornendo all'Ucraina grossi quantitativi di armi, addestrando il suo esercito e fornendo assistenza nella logistica e nel sistema informativo.</div><div dir="auto" style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;"><br /></div><div dir="auto" style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;">Da ragazzo ricordo un gioco praticato dagli scugnizzi miei coetanei. Per far fare a botte due ragazzini, si diceva a uno dei due "Se hai coraggio, toccagli il naso". Di per sé la cosa non avrebbe dovuto dare grande fastidio all'altro, ma il fatto è che in questo gioco, per convenzione, farsi toccare il naso senza reagire era considerato un segno di vigliaccheria, e perciò la persona sfidata era in obbligo di reagire.</div><div dir="auto" style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;">Beh, a mio ad vviso, negli ultimi anni gli Usa e la GB - con una variante del gioco: i missili sul confine - hanno istigato gli Ucraini a sfidare il grande orso russo. E se l'operazione riesce, avranno a disposizione nuove colonie. "L'imperialismo, fase suprema del capitalismo", scriveva Lenin!</div>cataldo marinohttp://www.blogger.com/profile/07905623932776128758noreply@blogger.com0HMG6+MV Rossano CS, Italia39.5766863 16.662221239.470787693052344 16.5248920984375 39.682584906947653 16.7995503015625tag:blogger.com,1999:blog-4452496996569129856.post-8539253233647123702022-05-09T00:54:00.008+02:002022-05-13T17:57:41.510+02:00Pubblicazioni - Download<p> I post pubblicati su questo blog fra il 2010 e il 2018 sono stati raccolti in ordine sistematico in tre volumi, scaricabili gratuitamente insieme a "Il disagio degli insegnanti" e '"Racconti brevi".</p><p>Per effettuare il download di una o più delle pubblicazioni, basta </p><p>1) cliccare sul link sottostante; </p><p>2) selezionare il libro; </p><p>3) far scorrere la pagina web fino in fondo ed effettuare il download in formato PDF.</p><p><a href="https://archive.org/details/@cataldo_marino">https://archive.org/details/@cataldo_marino</a></p>cataldo marinohttp://www.blogger.com/profile/07905623932776128758noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4452496996569129856.post-89583412730539136572022-02-07T11:20:00.002+01:002022-02-07T11:29:08.962+01:00Femminismo e lotta di classe<p><span style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;"><br /></span></p><p>I<span style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;">l c.d. femminismo l'ho visto nascere nella primavera del '67 mentre frequentavo l'università. Fino a quel momento sapevo bene che nella società i ruoli storicamente determinati dei due sessi erano ben diversi, in parte complementari e in parte conflittuali, ma non li avevo mai percepiti alla stregua dell'aspra lotta fra la classe dei padroni e quella dei lavoratori dipendenti.</span></p><div dir="auto" style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;"><div dir="auto">Mi accorsi di questa nuova, per me impensata contrapposizione sociale, per via della mia infatuazione giovanile per Cina.</div><div dir="auto"><br /></div><div dir="auto">No, non si trattava della grande nazione di Mao, ma più semplicemente di una ragazza, figlia della proprietaria del bar sotto casa. Si era presentata così ed io non ebbi mai la curiosità di chiederle di quale nome fosse il diminutivo. Era molto bella, gentile e intelligente, e questo bastava e avanzava per uno che ogni mattina sgranava gli occhi nel vederla. </div><div dir="auto">Ogni mattina scendevo al bar da un alberghetto, tanto modesto da costare quanto una camera in affitto, e seduti a un tavolino prendevamo il caffè chiacchierando. Ho già detto che era bella, ma mi apparve ancora più bella quando mi disse che anche a lei piaceva il bel concerto di Grieg.</div><div dir="auto"><br /></div><div dir="auto">Non ricordo se la cosa sia andata avanti per due o tre mesi, ma è certo che a partire da un certo giorno non la trovai più lì. Pensai che fosse andata in qualche città per motivi di studio, e me ne feci, infelicemente, una ragione.</div><div dir="auto">Ma non era così, e lo scoprii una mattina, quando la vidi in Piazza Duomo insieme a tante altre ragazze dislocate in ordine sparso ma unite da vestiti e atteggiamenti comuni: jeans e maglietta, e un camminare deciso, quasi maschile. La sua bella femminilità si perdeva nell'aria aperta di quella piazza.</div><div dir="auto">- Ma che fai tu qua? Credevo fossi andata in qualche altra città.</div><div dir="auto">- Sono qui per una manifestazione femminista - disse alzando le spalle e sorridendo compiaciuta.</div><div dir="auto"><br /></div><div dir="auto">Non sapevo ancora che cazzo potesse essere una manifestazione... femminista! Subodorai però che non potesse esserci nulla di buono. Fino a quel momento maschi e femmine avevamo partecipato insieme ad assemblee studentesche e cortei operai, con gli stessi striscioni contro la guerra in Vietnam e lo sfruttamento nelle fabbriche, adesso perché le femmine facevano gruppo a sé? E poi, se oltre a fare gruppo a sé si denominavano 'femministe', voleva dire che non ce l'avevano più contro i padroni delle fabbriche. Contro chi allora? Non rimaneva che una risposta: contro i maschi. Mi crollò il mondo addosso: in un minuto si perdeva nella folla la bella Cina e si profilava la sconfitta della classe operaia. Il consumismo imposto dai padroni la spaccava in due, la classe operaia, e metteva le due fazioni una contro l'altra. La determinazione quasi maschile di quelle donne sparse nella piazza, mi impedì di fare un minimo tentativo di dissuasione verso Cina, la bella. I suoi occhi erano stati molto eloquenti, inequivocabili. La salutai affettuosamente e presi la mia strada.</div><div dir="auto"><br /></div><div dir="auto">Faccio un salto di mezzo secolo e passa e mi ritrovo davanti a un computer e a uno smartphone con dentro i nomi di tre amiche virtuali, le migliori fra esse per intelligenza e sensibilità: Ida, Marisa e Rossana. I frutti maturi di ciò che in Piazza Duomo erano stati seminati da Cina. Sono in gamba 'ste tre donne; hanno grande intuito, forza d'animo, e anche gentilezza, ma... Con loro devi stare attento come si sta attenti in trincea in una lunga guerra di posizionamento.</div><div dir="auto">Nessuna di loro, come quasi tutte le donne, conosce più la lotta di classe, e infatti non esistono più partiti socialisti o comunisti. Quella lotta ormai è di altra natura, femmine contro maschi, e altri luoghi di scontro, le mura domestiche.</div><div dir="auto"><br /></div><div dir="auto">Cui prodest? A chi giova tutto ciò?</div><div dir="auto">La risposta la trovate in un mondo spaccato in quattro o più parti: quelli con lo yacht e l'attico ai Parioli, quelli col suv e una casa signorile, quelli con la Fiat economica e la casa in periferia e infine quelli che non hanno un euro per comprare nulla, perché senza lavoro e senza beni di proprietà. </div><div dir="auto">Fra loro, molti giovani. Maschi e... femministe!</div></div>cataldo marinohttp://www.blogger.com/profile/07905623932776128758noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-4452496996569129856.post-19796863191523795802022-01-22T23:59:00.001+01:002022-01-24T00:50:37.218+01:00Film e canzoni<div style="text-align: left;"> Stasera ho guardato metà di un film e, quando è terminato, mi sono detto: "L'80% dei film e il 95% delle canzoni hanno per oggetto una storia d'amore fra un uomo e una donna".</div><div style="text-align: left;">Fino ai 60/70 anni le persone dedicano 7/8 ore al giorno al riposo, 7/8 al lavoro, 4/5 per fare spese, mangiare e pulizie, 2/3 ai rapporti con gli amici e ai divertimenti (tv, computer ecc.), in pratica passiamo il 90% della giornata in tutte queste attività e poi, nei film e nelle canzoni, sembra che il rapporto si capovolga. </div><div style="text-align: left;">Non siamo stufi di vedere ogni sera uomini e donne che si corteggiano e poi si ignorano, litigano e poi fanno pace, si baciano e poi si menano, si tradiscono e poi si riprendono, si lasciano e poi si ritrovano?</div><div style="text-align: left;">A me magari nemmeno piacevano, ma una volta si vedevano anche i pastori che guidavano le mandrie, i soldati che guerreggiavano, i contadini che affondavano i piedi nei campi, le mogli che stendevano i panni, gli uomini che tornavano stanchi dal lavoro, i bambini che andavano a scuola e poi giocavano. C'era, sì, anche la storia romantica d'amore, ma occupava il 40% dei film, non il 90!</div><div style="text-align: left;">Qualcuno che è andato un po' più di me fuori dall'Italia (ci vuol poco!), osserva: "Siamo noi mediterranei che, anche quando facciamo altro, pensiamo sempre all'amore e al sesso. Nel resto d'Europa a queste cose le persone non riservano più del 20% dei propri pensieri". </div><div style="text-align: left;"><br style="font-family: sans-serif; font-size: large;" /></div>cataldo marinohttp://www.blogger.com/profile/07905623932776128758noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4452496996569129856.post-7345594009373753222022-01-02T11:53:00.002+01:002022-01-02T12:52:59.671+01:00Il tafano e il cavallo<div><br /></div><div><p class="MsoNormal" style="line-height: 115%;"><span style="line-height: 115%;"><<…non troverete facilmente un altro come me, posto a
fianco della città come di fianco a un cavallo grande e di razza, ma per la sua
grandezza piuttosto lento e bisognoso di un tafano per essere stimolato>> (</span><i><span style="line-height: 115%;">Platone, Apologia di Socrate, XVIII)</span></i></p>Chi mi conosce sa che, nonostante io abbia come chiunque tanti difetti, sono persona umile. Il richiamo a Socrate non può essere dunque relativo alle sue virtù intellettuali e morali, ma alla sua metafora del tafano, animaletto certamente poco nobile, ma utile a risvegliare un cavallo pigro. <br />Qual è il cavallo pigro che intendo stimolare? E’ l’apparato politico che, dopo la fusione fra Corigliano e Rossano, continua ad amministrare i nuclei urbani di cui la nuova città si compone come entità separate. <br />Questa separatezza viene perpetuata a due livelli: <br />- a livello urbanistico, in cui non si è capaci di tracciare vie di collegamento urbane, utili a traffici commerciali e scambi culturali; <br />- a livello di simboli di aggregazione sociale. <br /><br />Nel 2016, due anni prima del referendum sulla fusione, pubblicai un lungo articolo in cui auspicavo l’avvicinamento fisico e culturale delle due comunità originarie, ma sembra che esso non sia stato di alcuna utilità per… orecchie che non vogliono sentire ed occhi che non vogliono vedere. [<a href="http://ilsemedellutopia.blogspot.com/2016/05/rossano-corigliano-dal-campanilismo.html">http://ilsemedellutopia.blogspot.com/2016/05/rossano-corigliano-dal-campanilismo.html</a>] <br />Ma, come un tafano, ripropongo e riproporrò con caparbietà, le linee guida di quella proposta, semplificandola affinchè... gli occhi chiusi si riaprano. <br />Lo faccio oggi con i due schemi esplicativi che qui seguono.</div><div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEg2JXHMWCUmzy9f6nOLRBBUz2M3nrCBEiABYX597flt8UiWPflfdCgQIz4vu4PxbI59SpySaFBPV7edQd7LL0T3ZtzJe2qB46lcugXHaEa2K0rpKeXPc9Q-1uDMBtQF6MKO__hNTt-0DyUZwYtSVwmNrHg_QrKYeJ9TgIWPe4Gojm67n0szjgfPCddjUQ=s653" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="653" data-original-width="603" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEg2JXHMWCUmzy9f6nOLRBBUz2M3nrCBEiABYX597flt8UiWPflfdCgQIz4vu4PxbI59SpySaFBPV7edQd7LL0T3ZtzJe2qB46lcugXHaEa2K0rpKeXPc9Q-1uDMBtQF6MKO__hNTt-0DyUZwYtSVwmNrHg_QrKYeJ9TgIWPe4Gojm67n0szjgfPCddjUQ=w369-h400" width="369" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgBvXgS_vmePs3Bp9uJsCYp5PV4meN5lnKVt7KrjIjzqokdLLOLzrt8NdUUPE9tRbaLWy4VkfdoAfzkj6UfDV-gowrhiEYRlF4ZntCaNP49lqsGro6L3HNMZpDv-cVjvS4DcV06O01F8KAHcduThvFdmaHfoDEKT6OJsCHL24rczVNv1-nO4Ju4HX50Sg=s602" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="602" data-original-width="294" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgBvXgS_vmePs3Bp9uJsCYp5PV4meN5lnKVt7KrjIjzqokdLLOLzrt8NdUUPE9tRbaLWy4VkfdoAfzkj6UfDV-gowrhiEYRlF4ZntCaNP49lqsGro6L3HNMZpDv-cVjvS4DcV06O01F8KAHcduThvFdmaHfoDEKT6OJsCHL24rczVNv1-nO4Ju4HX50Sg=w195-h400" width="195" /></a></div><br /><p></p>
<br />
<br /></div>cataldo marinohttp://www.blogger.com/profile/07905623932776128758noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4452496996569129856.post-24452076637521028372021-12-26T09:53:00.000+01:002021-12-26T09:53:23.994+01:00Franco Abate, "Il ceppo di Natale"<p> STAMATTINA vedendo questo Post pubblicato da un mio amico (IL CEPPO di NATALE, antichissima tradizione natalizia , che ha anche un significato simbolico: il legno che arde è il simbolo del passato, e nel nuovo bruciare si configura un anelito di purificazione) ho rivissuto quei momenti in cui mio nonno, ogni anno, lo ripeteva da sempre seguendo un vero e proprio rituale. Sceglieva il ceppo molto tempo prima; lo teneva da parte facendolo così diventare per tutti " U zippone i Nèthèghe". La gestualità che seguiva da quel momento sino alla sera della Vigilia spaziava tra il sacro e il profano-(mia nonna)--"Tataranne mo vède a pigliè u zippone nda stalla"--"(mia madre)--Guagnù: mittìteve nturne u fucuguère"--(il nonno a mia nonna)--"Pippì, aiùtame allu mitte ndu fuche"--(mio padre)--"Non ridete e sbàttiti i mane"--(Noi tutti, battendo le mani)--"Evviva evviva: Buon Natale a tutti quanti!!!-- Quello che però più interessava a noi fanciulli, non era tanto il prima quanto il dopo acchè il ceppo finisse sul fuoco in quanto c'era la lettura della Letterina con la quale nell'occasione "purificavamo" le nostre marachelle, pattuendo improbabili promesse che non avremmo mantenuto, ma che ci sarebbero state parimenti "perdonate" il Natale venturo con lo stesso "rituale" che il nonno, come da sempre, poi chiudeva porgendo a ciascuno, a seconda dell'età di noi penitenti, 5, 10, 20 lire!</p>cataldo marinohttp://www.blogger.com/profile/07905623932776128758noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4452496996569129856.post-57577858646296373902021-12-21T19:08:00.000+01:002021-12-21T19:08:23.231+01:00Scienza: l'assoluto e il relativo<p> <span style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;">Non pensavo di dover rispolverare alcuni concetti base di statistica studiacchiati in età giovanile, ma alcune problematiche attuali, d'un certo rilievo sociale, me lo impongono.</span></p><div dir="auto" style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;">Parlo del concetto di probabilità, che se ben ricordo è misurabile come il rapporto fra i casi favorevoli e i casi possibili. Es. Gettando un dado (notoriamente con i primi sei numeri), la probabilità che esca il 3 è di 1/6; estraendo una carta dal mazzo del poker (13 per ogni seme+il jolly), la probabilità è di 1/14. In entrambi i casi, essendo il numeratore inferiore al denominatore, il risultato sarà compreso fra lo zero ed uno, cioè uno zero virgola qualcosa, che possiamo trasformare nella misura percentuale, più comprensibile per tutti, moltiplicando il risultato per 100 (nel caso del dado 1/6 = 0,167 = 16,7%).</div><div dir="auto" style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;"> </div><div dir="auto" style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;">Un risultato compreso fra zero e uno significa che esso non può coincidere né con zero (gettare un dado sperando che esca il 7 è assurdo, perché il 7 non c'è: probabilità 0/6) né con 1 (dire che lo si fa, sperando che esca un numero qualunque fra quelli presenti sul dado, è sciocco perché l'evento copre tutte le possibilità: probabilità 6/6). </div><div dir="auto" style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;"><br /></div><div dir="auto" style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;">A cosa serve il richiamo a questi concetti elementari della statistica? Nel balbettio generale che oggi invade la tv e i social, serve a dare una risposta a coloro i quali mettono in discussione l'efficacia del vaccino antivirus con l'affermazione che esso non garantisce l'immunità.</div><div dir="auto" style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;">Nessuno, e in nessun campo, può garantire un qualcosa al cento per cento. Neppure la fisica, la scienza in cui gli esperimenti hanno per oggetto la materia non vivente... figuriamoci la medicina, disciplina in cui ogni variabile dipendente ha innumerevoli variabili indipendenti, di natura psichica oltre che somatica.</div><div dir="auto" style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;"><br /></div><div dir="auto" style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;">Ma non avere certezze non equivale al non sapere nulla. Se abbiamo l'emicrania e prendiamo un antidolorifico, nessun medico ci assicura che staremo meglio. Allora perché il medico ce lo prescrive? I motivi sono due: 1) perché dagli studi teorici risulta che la sostanza contenuta nel farmaco inibisce una particolare zona del cervello, quella deputata a recepire gli stimoli del dolore; 2) perché nel corso della sua attività professionale ha sperimentato che in un consistente numero di casi quell'antidolorifico ha avuto l'effetto sperato. Questo il motivo per cui tendiamo a fidarci del medico con maggiore esperienza rispetto al pivello che ha appena terminato gli studi.</div><div dir="auto" style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;"><br /></div><div dir="auto" style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;">Vaccinarsi, dunque, non garantisce l'immunità. Tuttavia, la conoscenza del rapporto fra il 'numero dei sopravvissuti' e il totale dei 'soggetti vaccinati' ci fornisce una prima indicazione sulla probabilità statistica di sopravvivenza delle persone vaccinate. Se tale rapporto è, per ipotesi, di 98/100 (98%), vuol dire che il vaccino è abbastanza efficace.</div><div dir="auto" style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;">Questo dato diventa ancora più significativo se raffrontato con un altro: il rapporto fra il numero dei sopravvissuti e il totale dei 'soggetti non vaccinati'. Se tale rapporto è, per ipotesi, di 70/100 (70%) vuol dire che, anche senza vaccino, la maggioranza delle persone si salva - grazie alle proprie predisposizioni genetiche e/o alle terapie mediche - e tuttavia 28 persone su 100 muoiono per non aver fatto il vaccino. Sembra poco avere conoscenza di questi dati?</div><div dir="auto" style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;"><br /></div><div dir="auto" style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;">I dati statistici possono aiutarci a chiarire anche un altro problema, quello dei pericoli connessi alla vaccinazione.</div><div dir="auto" style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;">Si sono verificati dei casi di reazioni avverse, alcune delle quali letali, che hanno allarmato non poco i media e, tramite essi, la popolazione.</div><div dir="auto" style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;">Anche in questo caso, per giudicare l'indice di pericolosità del vaccino', dobbiamo ricorrere alla probabilità statistica. Per poter giudicare il pericolo dobbiamo confrontare il numero di episodi letali dovuti al vaccino con quello degli episodi letali dovuti ad altri farmaci. Se tale rapporto non è decisamente superiore a 1, dobbiamo attribuire al vaccino un indice di sicurezza accettabile.</div><div dir="auto" style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;"><br /></div><div dir="auto" style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;">Questo è ciò che si può dire sulla vaccinazione dal punto di vista strettamente sanitario e in modo rispettoso delle conoscenze acquisite. Altre argomentazioni, relative allo sfruttamento economico dei brevetti, alla presunta violazione della privacy mediante green pass ecc. sono pertinenti alla politica e non soggette a misurazioni probabilistiche. Esse vengono usate in modo strumentale a fini politici, estranei al problema sanitario.</div><div dir="auto" style="font-family: sans-serif; font-size: 12.8px;">cm</div>cataldo marinohttp://www.blogger.com/profile/07905623932776128758noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4452496996569129856.post-13169219843886550202021-12-08T12:43:00.003+01:002021-12-08T12:43:57.504+01:00Covid: politica e psichiatria<p> </p>I dati statistici sulla pandemia da covid si vanno man mano consolidando: in tutti i paesi c'è una forte correlazione fra percentuale di non vaccinati e percentuale di morti per covid. Chi, invece di parlare di incidenza percentuale parla di numeri assoluti, o ignora l'analisi statistica o imbroglia. <div>Di fronte a questa evidenza, perché resiste ancora una minoranza rumorosa e pericolosa di persone che, non solo hanno deciso di non vaccinarsi, ma sono diventati 'attivi propagandisti' contro la vaccinazione? </div><div>Io alla paura di vaccinarsi non ci credo. Gli Italiani sono forti consumatori di farmaci. Tutti i farmaci hanno delle controindicazioni che, a leggere i bugiardini, fanno venire i brividi, ma noi ne consumiamo il doppio dei Tedeschi. Dunque escludiamo la paura. </div><div>Rimangono in piedi due ipotesi: la strumentalizzazione politica e i disturbi psichici, cause che in alcuni casi operano in modo indipendente e in altri casi si intrecciano e si sommano. </div><div>1. La strumentalizzazione politica è resa evidente dal posizionamento di alcuni partiti in relazione al problema. I partiti che si ispirano alle teorie liberiste in ambito economico, e a quelle darwiniste in ambito filosofico, vedono nella libertà di non vaccinarsi il riconoscimento e il trionfo della superiorità genetica e caratteriale di alcuni individui rispetto ad altri. </div><div>2. Le patologie psichiche sono rilevabili nelle argomentazioni complottistiche.
Le personalità paranoidi (forma attenuata di quelle paranoiche) sono fenomeni individuali, che talvolta possono però diventare collettivi attraverso il contagio sociale. </div><div> La paranoia è paura degli altri, timore che gli altri vogliano costantemente farci del male. Da questi pericoli il paranoide si difende solitamente isolandosi, ma in certi momenti storici si creano le condizioni per l'aggregazione sociale fra soggetti malati. In questi casi la percezione di pericoli da parte di tutto il mondo circostante si trasforma in un pericolo, o meglio un nemico, ben preciso. </div><div> Ciò avvenne nella Germania nazista verso gli Ebrei e, più recentemente, nella Padania, prima verso gli Italiani del sud e poi verso gli immigrati extraeuropei.
Questo passaggio dalla paranoia individuale a quella collettiva è quasi sempre fomentata, strumentalmente, da alcune forze politiche.
</div>cataldo marinohttp://www.blogger.com/profile/07905623932776128758noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4452496996569129856.post-59944593510347877002021-12-08T12:32:00.009+01:002021-12-08T12:36:09.427+01:00Corigliano Rossano - La città radiale idealizzata<p> </p>Proposta di schema urbanistico. <div>Tutto è perfettibile con le dovute modifiche, ma questa è a mio avviso la direzione giusta se non si vuol fare fallire la fusione fra Corigliano e Rossano.
Poi sull'operato dell'amministrazione ognuno dà il proprio giudizio.<div><br /><div class="separator" style="clear: both;"><br /><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjB3ouNQPuqsxHKFDLxadjOtXPhCu9cDPMTew6h3JSM-Vp_VaFnf8lVEbtRx68SOPFUTM1Uy5h0jZ6M887d0b9Ijd4toSr_0ssGwm7yqKPCIK8p_v4qRnDTCBY0JlamUeZ6pMJYEv_Pbx-n/s920/Citt%25C3%25A0+rad.+ideal.zata+4+-+Copia.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="692" data-original-width="920" height="241" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjB3ouNQPuqsxHKFDLxadjOtXPhCu9cDPMTew6h3JSM-Vp_VaFnf8lVEbtRx68SOPFUTM1Uy5h0jZ6M887d0b9Ijd4toSr_0ssGwm7yqKPCIK8p_v4qRnDTCBY0JlamUeZ6pMJYEv_Pbx-n/s320/Citt%25C3%25A0+rad.+ideal.zata+4+-+Copia.jpg" width="320" /></a></div><br /></div></div>cataldo marinohttp://www.blogger.com/profile/07905623932776128758noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4452496996569129856.post-37165708582197538752021-11-28T11:44:00.000+01:002021-12-08T12:37:17.416+01:00Lavori perduti. Il sarto<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEin-zvQbIFeTNSjy3gfb5r74o6oAqV_fKrkq4iAFOmpHcG2J3ViJZJ4gyxO-msVDX7pB19bP7TnpkRpcG2CBahTtfWH3jo2cAfjTzcWvZzs7GMHjMxRDLholr8qouGETb6LnF55Bxmbsbop/s327/sarto.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="154" data-original-width="327" height="151" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEin-zvQbIFeTNSjy3gfb5r74o6oAqV_fKrkq4iAFOmpHcG2J3ViJZJ4gyxO-msVDX7pB19bP7TnpkRpcG2CBahTtfWH3jo2cAfjTzcWvZzs7GMHjMxRDLholr8qouGETb6LnF55Bxmbsbop/s320/sarto.jpg" width="320" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /><br /><div style="text-align: justify;">Su Via Vittorio Emanuele, proprio di fronte al Monumento ai Caduti della Prima Guerra Mondiale, c'era la sartoria di Gabriele Granata, uno dei tanti sarti e delle tante sarte che cucivano pazientemente gonne, giacche e pantaloni dalla mattina alla sera.</div><div style="text-align: justify;">Da piccolo spesso i pagliaccetti e i pantaloncini corti me li cuciva mia madre alla vecchia Singer della nonna, poi passata a lei per... usucapione. Ma se si trattava del completino elegante per le occasioni, bisognava andare da mastro Gabriele.</div><div style="text-align: justify;">Io ci andavo controvoglia perché per più di mezza ora dovevo fare il... manichino. "Cata', stai fermo. Tieni il braccio così, adesso allargale tutte e due le braccia, vediamo la lunghezza delle gambe. Non ti muovere!". A ogni gesto e ogni parola, uno spillo fissava le... idee del mastro.</div><div style="text-align: justify;">Bisognava tornarci una, due, tre volte, quanto necessario perché tutto cascasse a pennello. Tutto questo avveniva dopo che mia madre aveva comprato la stoffa dalla signora Rizzo, dopo lunghe trattative di stile orientale.</div><div style="text-align: justify;">Sempre sulla stessa via, nei primi anni Sessanta, Franco Mandarini, persona competente e dai modi sempre garbati, apriva il negozio coi vestiti della Lebole ed altre fabbriche del nord. Lì, niente più metro e spilli, Franco dava una squadrata alla tua altezza e alla tipologia in cui rientrava il tuo corpo, capiva al volo se eri uno da venti, cinquanta o centomila, e poi con estrema decisione ti proponeva un vestito 'bello e fatto' di taglia x e drop y. Non restava che provarne due o tre, scegliere la stoffa e il colore, pagare e tornare a casa con una grande busta.</div><div style="text-align: justify;">Andare contro il progresso non si può, era giusto che le cose andassero così, e nel giro di due decenni la città fu piena di negozi per uomini, donne e bambini.</div><div style="text-align: justify;">Ma... che ne fu dei tanti mastro Granata e delle tante Celeste che passavano le giornate a cucire? E delle signore Rizzo che srotolavano decine di stoffe sul loro banco? E dei signori Scazziota che ti vendevano nastri e bottoni? Spariti tutti? No qualcuno resta, ma quanti? Pochi. Niente più sarti né venditori di stoffe, di bottoni e di... macchine Singer.</div><div style="text-align: justify;">E il denaro che arrivava a questi signori che strada ha preso da quel momento in poi?</div><div style="text-align: justify;">Fino al Duemila ha percorso la penisola da sud a nord. Dal Duemila in poi una parte resta al nord e un'altra parte prende la via della seta, la Cina comunista, che dà lezioni di pro-dut-ti-vi-ta' al sistema capitalistico. I signori Granata, Rizzo e Scazziota non hanno avuto figli d'arte. Rip! Anche i loro mestieri sono perduti.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi7WrHnxDcsAQKUufVjS-10tE6YNCKpfwVXjzUyoI6Zz6wWSsTcRHFTftZh0RmgdqKMcx7WNMlPPMjHMMuKb0crxYNiCIxcMs3YF1kH0t1saehWYZQmWpBPOvJl45qTXEkRjHVXlusdlCrW/s266/la+fine+del+lavoro.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="266" data-original-width="153" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi7WrHnxDcsAQKUufVjS-10tE6YNCKpfwVXjzUyoI6Zz6wWSsTcRHFTftZh0RmgdqKMcx7WNMlPPMjHMMuKb0crxYNiCIxcMs3YF1kH0t1saehWYZQmWpBPOvJl45qTXEkRjHVXlusdlCrW/s0/la+fine+del+lavoro.jpg" width="153" /></a></div><br /><div style="text-align: justify;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /><div dir="auto" style="animation-name: none !important; background-color: white; color: #050505; font-family: "Segoe UI Historic", "Segoe UI", Helvetica, Arial, sans-serif; font-size: 15px; transition-property: none !important; white-space: pre-wrap;"><br /></div>cataldo marinohttp://www.blogger.com/profile/07905623932776128758noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4452496996569129856.post-43324376204215409922021-11-27T01:12:00.011+01:002021-12-08T12:37:45.341+01:00Lavori perduti. Il barbiere<div style="text-align: left;"><span style="font-family: times;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEinwT2qfmV_dF-63YD0VtYrWiLyxEBme6n-lRaTtgVLz1Ts6U6MUfztDrPmxXSJ7KN3Jgz-ldgFv349l8QGpGzo3_QNR7AvoAsalZWlSX8O89wtkD4OukjGwlkeiEAXwFf0wbO-KiFydX-I/s225/barbiere.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="225" data-original-width="225" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEinwT2qfmV_dF-63YD0VtYrWiLyxEBme6n-lRaTtgVLz1Ts6U6MUfztDrPmxXSJ7KN3Jgz-ldgFv349l8QGpGzo3_QNR7AvoAsalZWlSX8O89wtkD4OukjGwlkeiEAXwFf0wbO-KiFydX-I/s0/barbiere.jpg" width="225" /></a></div><br /><span face="sans-serif"><br /></span></span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: times;"><span face="sans-serif"><br /></span></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: times;"><span face="sans-serif">La mia prima esperienza di taglio dei capelli, senza essere accompagnato, fu tragicomica. Nella saletta del barbiere c'erano una decina di persone e io ero fra gli ultimi. Seduto, composto e in silenzio, attesi forse per due ore il mio turno. Sembrava che per una barba il 'mastro' impiegasse un anno e per un taglio di capelli un secolo. Li avete osservati nella loro lentezza? Vanno alla fine a scovare i peluzzi sfuggiti alle forbici uno per uno.</span></span></div><div style="text-align: justify;">D<span style="font-family: times;">unque quando arrivò finalmente il mio turno mi sedetti. Dopo circa dieci minuti metà dei capelli era per terra. L'artista, mastro Nicola, era a metà dell'opera, forse dopo altri 15 o 20 minuti sarei stato... liberooo!</span></div><div style="text-align: justify;">M<span style="font-family: times;">a non andò così. Entra un signore di un paesino vicino Rossano e dice: "Ho il pullman che sta per partire, possiamo fare la barba?". </span>L'<span style="font-family: times;">artista mi fa scendere dalla poltroncina e mi prega di aspettare. Io scendo, ma... non aspetto. Corro verso casa con mezza testa tosata e mezza testa coi capelli lunghetti. A casa mi aspettavano risate beffarde: il danno e la beffa!</span></div><div style="text-align: justify;">D<span style="font-family: times;">i tosatori d'uomini all'epoca, 1955, quando io avevo circa 7 anni, ce n'erano forse 20 o 30 e i loro saloni erano quasi sempre affollati. Ci andavano tutte le categorie sociali. Professionisti e commercianti spesso, contadini e operai forse una volta la settimana. Su 12.000 uomini del paese pochi si radevano in casa (non c'erano ancora i rasoietti bic) e nessuno era capace di farsi i capelli da sé. Fare il barbiere non faceva diventare ricchi, ma consentiva di vivere in dignitosamente. Per questo in ogni salone c'era un giovanissimo apprendista (spesso un bambino delle medie) che porgeva il pennello e le forbici adatte e durante la 'tosatura' allontanava dai piedi dell'artista... la lana umana!</span></div><div style="text-align: justify;">Le cose erano però destinate a cambiare: prima arrivarono i pennelli, la crema da barba in barattolo e il rasoietto bic, poi la schiuma, poi il rasoio elettrico e infine il... tagliacapelli! Ora i saloni non sono più 25 o 30, forse neppure la metà, e i pochi rimasti sono per lo più... deserti. Un altro mestiere è perduto!</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjd-SwFPvkcAq1AIgWEY_tiKKpasP24LIfjLv9Ecbhb0NBGBjya2IewnfuQPy7diLGPyE7PpDKmhyphenhypheng124UFmJwiuWOwqUevoLzr4GLcpIKk764L8opUHEk3vt_lqgNjWM_itQP2JNnoTji7/s266/la+fine+del+lavoro.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="266" data-original-width="153" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjd-SwFPvkcAq1AIgWEY_tiKKpasP24LIfjLv9Ecbhb0NBGBjya2IewnfuQPy7diLGPyE7PpDKmhyphenhypheng124UFmJwiuWOwqUevoLzr4GLcpIKk764L8opUHEk3vt_lqgNjWM_itQP2JNnoTji7/s0/la+fine+del+lavoro.jpg" width="153" /></a></div><br /><div style="text-align: justify;"><br /></div>cataldo marinohttp://www.blogger.com/profile/07905623932776128758noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4452496996569129856.post-9285179543134412092021-05-08T13:20:00.001+02:002021-05-08T13:20:55.322+02:00I sibariti<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><i style="text-align: left;">A Sibari non ci sono più 'sibariti'.
La loro ricchezza e raffinatezza si è trasferita si è trasferita in Via
Montenapoleone. Speriamo che lì abbiano un destino migliore.</i></div>
<p class="MsoNormal">* * *</p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">“Fra le più rigogliose colonie che fiorirono in quegli anni
dall'ottavo al sesto secolo avanti Cristo, ci furono quelle della Magna Grecia
sulle coste dell'Italia meridionale. I greci vi giunsero per mare, sbarcarono a
Brindisi e a Taranto, e fondarono parecchie città, fra le quali Sibari e
Crotone furono presto le più popolose e progredite.<o:p></o:p></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">La prima, che a un certo punto ebbe - dicono - trecentomila abitanti,
è rimasta talmente celebre per i suoi lussi che dal suo nome è stato coniato un
aggettivo, <i>sibarita, </i>sinonimo di «raffinato». Vi lavoravano soltanto gli schiavi, ma anche ad essi erano interdette
tutte quelle attività - di fabbro o di carpentiere, per esempio - che potevano
coi loro rumori disturbare le «pennichelle» pomeridiane dei cittadini. Costoro
si occupavano solo di cucina, di moda e di sport. Alcistene si era fatto
confezionare un vestito che poi Dionigi di Siracusa rivendette per mezzo
miliardo di lire, e Smindride si faceva regolarmente accompagnare nei suoi
viaggi da mille servitori. I cuochi avevano diritto di brevettare i loro
piatti, per un anno ne serbavano il monopolio, e con ciò accumulavano un
patrimonio che gli bastava a campar di rendita per il resto della vita. Il servizio militare era
sconosciuto.</p><p class="MsoNormal"><o:p></o:p></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
</p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;">Purtroppo, sulla fine del<i> </i>sesto secolo, questa felice
città, oltre al piacere e al comodo, volle anche l'egemonia politica, che con
essi male si accorda, e perciò si mise in contrasto con Crotone, meno ricca, ma
più seria. E con un enorme esercito le mosse contro. I crotonesi - raccontano -
lo attesero armati di flauti. Quando si misero a suonarli, i cavalli di Sibari
abituati, come quelli di Lipizza, più all'arena del Circo che al campo di
battaglia, cominciarono a danzare. E i rozzi crotonesi massacrarono
allegramente i cavalieri rimasti in balìa dei loro quadrupedi. Sibari fu rasa al
suolo con tanta coscienza che, meno di un secolo dopo, Erodoto, venuto a
cercarne i resti, non riuscì a trovare nemmeno quelli. E Crotone, distrutto il
nemico, s'infettò, come al solito, dei suoi microbi e si ammalò a sua volta di
sibaritismo.”<o:p></o:p></p>
<p class="MsoNormal"><o:p> </o:p><i>Indro Montanelli,
Storia dei Greci, Ed. BUR 1989, pagg. 61,62</i> </p><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-YR1nRNGzVAYHzIUswfLY9Tg6sHzsTPx4uOtiKqcH2R_SXk9dnD4sX_O4Tj6l1mN_ZJM-gR4b0-Bu16mATKPRkhiPpdWmsojDXI-BeRqmu8urM2DVIf4GgK_9B75vo8Rp_ZvVzCWsm4QW/s1000/Scavi+Sibari.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="667" data-original-width="1000" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-YR1nRNGzVAYHzIUswfLY9Tg6sHzsTPx4uOtiKqcH2R_SXk9dnD4sX_O4Tj6l1mN_ZJM-gR4b0-Bu16mATKPRkhiPpdWmsojDXI-BeRqmu8urM2DVIf4GgK_9B75vo8Rp_ZvVzCWsm4QW/s320/Scavi+Sibari.jpg" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><i>Scavi di Sibari</i></td></tr></tbody></table><br />cataldo marinohttp://www.blogger.com/profile/07905623932776128758noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4452496996569129856.post-42875365741808969782021-05-02T12:43:00.003+02:002021-05-06T20:28:56.044+02:00Intervento del Sen. Marco De Simone per l’Università della Calabria (1961)<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgJ9TGUfkmqlkhCrROawtPrfCAytCXPb-5oTq9BkqU-q2EpJhwC1Ys8-hg2IUVpXcR05hOb9C2mdyEq9c0H02R1M0QoE4CZTI6DjI_4paQGUL-oTEz5gJ6vRgfUnOlxS71Dsp77fOFqgBVY/s688/epson665.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="644" data-original-width="688" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgJ9TGUfkmqlkhCrROawtPrfCAytCXPb-5oTq9BkqU-q2EpJhwC1Ys8-hg2IUVpXcR05hOb9C2mdyEq9c0H02R1M0QoE4CZTI6DjI_4paQGUL-oTEz5gJ6vRgfUnOlxS71Dsp77fOFqgBVY/s320/epson665.jpg" width="320" /></a></div><p><br /></p><div style="text-align: left;">Conobbi il Senatore Salvatore Marco De Simone nel 1963; io, appena
quindicenne, iscritto alla Giovanile Comunista e lui, quasi cinquantenne,
maggiore esponente della sezione locale del PCI. In quell’anno lui terminava il
suo mandato parlamentare e si apprestava a una nuova campagna elettorale. Aveva
fiducia nei giovani e discuteva con loro senza mai far pesare la sua lunga esperienza,
maturata prima come partigiano e poi come dirigente politico e uomo di cultura. <br />In virtù di tale fiducia in quello stesso anno mi consegnò
due libri, affidandomi il compito di analizzare i dati sulla emigrazione dalla
Calabria. Ricordo di averlo fatto col massimo impegno, riportando poi su grandi
tabelloni le statistiche relative ai flussi migratori e la quantificazione
approssimativa del costo sostenuto dalla nostra Regione per fornire forza lavoro
alle imprese del settentrione e del resto d’Europa. Serbo tuttora gratitudine
per quella esperienza, forse anticipatrice delle mie future scelte di studio.<br />Fra il ‘63 e il ’66, anno in cui partii per l’università,
partecipai con assiduità alle riunioni del Partito ed ebbi dal senatore De
Simone il testo di un suo importante intervento sull’istituzione
dell’università in Calabria. Copia di tale intervento è reperibile anche fra i
resoconti stenografici del Senato all’indirizzo <a href="http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/434138.pdf">http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/434138.pdf</a>, ma lo ripropongo anche qui di
seguito per una più facile reperibilità sul web, rinviando al futuro le tante
riflessioni cui esso può tuttora dare adito.</div><div style="text-align: left;"><br /></div><div style="text-align: left;">* * *</div><div style="text-align: left;"><br /></div><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><b><span style="font-size: 12pt;">Sen. Salvatore Marco De Simone, 1961</span></b></p>
<div style="text-align: justify;">PRESIDENTE.
È iscritto a parlare il senatore De Simone. Ne ha facoltà. <br /> DE
SIMONE. Onorevole Presidente, onorevole Ministro, onorevoli colleghi, nel
prendere per la prima volta la parola in quest'alta Assemblea mi sia consentito
di rivolgere un deferente saluto al Presidente ed ai colleghi tutti. Di questo
saluto sento imprescindibile il dovere perché esso vuol significare il mio
profondo omaggio al nuovo Parlamento italiano nato dalla Resistenza e dalla
lotta di Liberazione. E se solo oggi prendo la parola, questo è dovuto al fatto
che solo recentemente sono entrato in
questa solenne Assemblea, in seguito a
un fatto molto doloroso - la morte del senatore Primerano, a cui va il mio
deferente e commosso pensiero in questo momento - e in secondo luogo alla mia naturale ritrosia o timidezza,
quando si tratta di parlare in pubblico e soprattutto in questa alta Assemblea.
Per questa seconda ragione, credetemi, mi sento sgomento nel parlare a voi, a
lei, onorevole Presidente, e a lei, onorevole Ministro, che è stato mio
professore.<br /> Ebbene,
parlerò da calabrese e da comunista calabrese, perché mi pare che in questa
Assemblea si vogliano mettere sotto accusa i comunisti e in modo particolare i
parlamentari comunisti calabresi. Consentitemi di dire che io una cosa non
capisco: ho sentito dei discorsi nei quali si è fatto, secondo me, la caccia
alle streghe quando ci si è rivolti contro dei parlamentari, contro dei
rappresentanti del popolo italiano, i quali non vorrebbero e farebbero di tutto
per impedire che sorga in Calabria l'Università. <br /> GENCO.
Allora voterete a favore! <br /> DE
SIMONE. Noi parliamo dell'istituzione della Università in Calabria. Una
questione è l'istituzione dell'Università, un’altra è la maniera in cui si
realizza. L'istituzione dell'Università in Calabria l'abbiamo già votata in
Commissione quando abbiamo votato l'emendamento secondo il quale a decorrere
dall'esercizio finanziario 1961-62 è Istituita l'Università per la Calabria.<br /> Bisogna
sbarazzare il terreno da una stortura, da una menzogna, perché qui, onorevoli
colleghi, quel che prende rilievo soprattutto sono le accuse che ci vengono
lanciate dai senatori calabresi
democristiani, i quali del resto sono gli unici senatori della maggioranza che
finora hanno preso la parola nel dibattito in corso. Noi parlamentari comunisti
calabresi siamo stati sfidati a dire la<i> </i>nostra parola, a dire se
vogliamo l'Università in Calabria. <br /> Non
è su questa questione che è avvenuto l'urto, il conflitto tra la maggioranza e
noi comunisti. La questione da noi posta, anche in Commissione, è stata se i
corsi dovessero iniziare dal 1961-62 oppure se si dovesse fare in modo che
questi corsi iniziassero allorquando ci fossero state tutte le garanzie
necessarie perché una Università potesse funzionare. Se si fosse accettato il
nostro punto di vista, se si fosse accettato cioè il punto di vista di non
iniziare per quest'anno accademico i corsi universitari, è chiaro che noi
avremmo potuto continuare a dibattere la questione in sede deliberante in
Commissione, e naturalmente avremmo detto in quella sede tutte le cose che
diciamo qui. D'altra parte, onorevoli colleghi, credo che non sia stata poi cosa da riprovare il fatto che
il disegno di legge sia stato portato in
Assemblea perché qui si chiariscono meglio le proprie posizioni ed è più
difficile arrivare a portare a buon punto speculazioni politiche, che non fanno
onore al partito o ai partiti che le tentano. <br />
BOSCO.
<i>Ministro della pubblica Istruzione </i>Ma i suoi colleghi, onorevoli
Luporini e Donini, hanno chiesto un rinvio almeno di due anni, se non di tre
anni. Quindi non si tratta del 1961-62. <br /> DE
SIMONE. Noi abbiamo chiesto in Commissione che i corsi non iniziassero dal
1961-1962. Avevamo presentato questa proposta, senza stabilire un termine, e
non ci eravamo impegnati sugli ulteriori termini di inizio. Si sarebbe potuto,
in questo quadro, continuare a discutere e allora avreste potuto metterci anche
in difficoltà, in relazione alla questione se l'inizio dei corsi dovesse aver
luogo nell'anno successivo o meno. Ma che sia stato chiesto - ed è vero - che i
corsi iniziassero tra due anni, ha la sua importanza. Questo, direi, esprime la
serietà della nostra posizione nei confronti dell'istituzione dell'Università
in Calabria. Ed è su questa posizione di serietà che noi vogliamo qui
richiamare l'attenzione dell'Assemblea. Ed allora ecco che vengono meno tutti
quelli che sono stati i tentativi di
distorsione, tutta quella che è stata l'azione propagandistica svolta
soprattutto in Calabria dal partito della Democrazia Cristiana. Onorevoli colleghi
non calabresi, voi non avete avuto i riflessi, le ripercussioni di quella che è
stata l'azione di propaganda insidiosa, menzognera, condotta dalla stampa
governativa nei confronti della nostra posizione. Si sono additati i comunisti come i nemici
dell'istituzione dell'Università in Calabria, come coloro che non volevano
l'Università in Calabria. Ecco quello
che è stato detto e scritto da deputati,
da parlamentari democristiani in Calabria. Ed allora noi, come parlamentari comunisti calabresi, dobbiamo
domandarci se ciò corrispondesse appunto ad un tentativo, ad un preciso fine di
propaganda politica e se, attraverso questa impostazione, non si sia voluto
dare all'istituzione dell'Università in Calabria un carattere politico, un
carattere elettoralistico, aggiunge il collega De Luca, che non avrebbe dovuto
avere. <br /> Ma
se la questione viene posta su questo
terreno, allora noi dobbiamo dire che al fondo ci sono motivi ben più
profondi che noi dobbiamo richiamare all'attenzione dell'Assemblea. Ebbene,
onorevoli colleghi, qual è stato il
momento in cui l'istituzione dell'Università in Calabria è divenuta una realtà
legislativa, una concreta proposta di legge? Il momento in cui l'onorevole
Fanfani ha fatto il suo viaggio in Calabria e si è trovato di fronte ad una
certa situazione, ad una situazione veramente grave e allarmante. Non sono cose
che abbiamo denunciato noi; sono constatazioni fatte dall'onorevole Presidente
del Consiglio, ed anche dai parlamentari democristiani. E non è a caso che
l'onorevole Fanfani ha fatto il viaggio in Calabria immediatamente dopo
l'inaugurazione della Fiera di Milano. Lo stesso dicasi per la visita, effettuata qualche settimana
fa in Calabria, dalla Commissione di industriali lombardi guidata dall'onorevole
Cassiani, del Comitato promotore per lo sviluppo della Calabria. Non vi dirò
cosa è stato scritto a questo proposito, sulle velleità di industrializzazione
della Calabria, da parte di giornalisti del nord al seguito della
Commissione. <br /> Voi,
colleghi democristiani calabresi, avete tentato di mettere sotto accusa i
comunisti, avete voluto fare una speculazione politica sulla questione
dell'Università in Calabria. Allora è necessario dire chiaramente come stanno le cose. <br /> Che
cosa è avvenuto in Calabria? C'è stata la politica meridionalistica della
Democrazia Cristiana, c'è stata la Cassa del Mezzogiorno, c'è stato ancor prima
lo stralcio di riforma agraria, c'è
stata successivamente la legge speciale per la Calabria, che tante speranze aveva fatto sorgere anche in noi,
e lo diciamo con tutta franchezza.
Ebbene, a che cosa sono serviti questi
provvedimenti, se ad un certo momento il Presidente del Consiglio, il
Governo democristiano, soprattutto i parlamentari calabresi si sono trovati di
fronte ad un fenomeno preoccupante, e cioè all'esplosione dell'emigrazione
della nostra regione all'estero? <br /> All'inizio
la Democrazia Cristiana accolse
favorevolmente l'emigrazione. Ma arrivò il momento in cui questa
emigrazione mise in pericolo la stessa vita della regione calabrese e ci si
accorse - ho qui i documenti - che aveva ripercussioni dannose anche per il
nord, in quanto pregiudicava la stabilità
dei salari, perché alle industrie del nord veniva meno quella massa di
manovra che fino allora era stata rappresentata dalla mano d'opera meridionale
e in particolare calabrese. <br />Io
ho qui gli articoli de «Il Globo», in cui si manifestano preoccupazioni per la
deficienza di mano d'opera che si è venuta a
creare in Italia, attraverso l'emigrazione all'estero, a tutto danno
degli interessi dell'industria del nord. <br />
Ora
i parlamentari democristiani della nostra regione debbono dirci come mai,
nonostante la legge speciale, nonostante i 204
miliardi stanziati, si è verificato questo fenomeno. Sono questi i
fatti, onorevole Barbaro, onorevole Militerni, che ci dovete spiegare. Non rievochiamo
Pitagora e i grandi della Calabria. Questa è retorica balsa. <i>(Vivaci
interruzioni del senatore Barbaro). </i>Dopo che Gioberti ha scritto «Il
primato degli italiani», lei scriverà forse «Il primato della Calabria»! Noi calabresi abbiamo i
nostri guai, le nostre miserie. Non
richiamiamoci al passato; ella, senatore Barbaro, la storia non la conosce
bene: la regione calabrese un tempo si
sviluppava sulle coste ed aveva i suoi epicentri sullo Jonio. Ma dove sono oggi
i centri sulla costa jonica? Oggi la Calabria
è un paese di contadini, un paese disgregato, che vive nell'isolamento.
Questa è l'analisi che bisogna fare
della situazione; non bisogna coprire i fatti con la retorica. <br /> Bisogna
respingere il tentativo che hanno fatto
i democristiani di accusare i comunisti di non volere l'Università in Calabria.
La maggioranza vuole l'Università come un elemento che dovrebbe far dimenticare
alle famiglie calabresi i problemi tragici e profondi della loro vita, le
necessità urgenti; soprattutto dovrebbe far dimenticare il fatto che nei sei anni durante i quali erano
previsti dalla legge speciale stanziamenti per
ben 100 miliardi, ne sono stati spesi appena 43 - come dicono l'onorevole Fanfani e il
ministro Pastore, mentre noi sappiamo che
ne sono stati spesi 34 -; eppure, gli altri 57 miliardi avrebbero potuto
servire per creare fonti di lavoro per
la nostra mano d'opera, che è essenziale per la rinascita e lo sviluppo della
regione. Voi non siete stati capaci di servirvi neanche di questo strumento che
avevate nelle mani, perché avete fatto una politica profondamente
sbagliata. <br /> Voi
cercate di coprire queste responsabilità agitando di fronte all'opinione
pubblica calabrese l'affermazione che i comunisti non vogliono l'Università. Voi
sapete che in Calabria la Democrazia Cristiana è travagliata da una crisi
profonda: a Reggio Calabria, dove ad un certo momento si è realizzata una Giunta provinciale con qualche
democristiano di sinistra e con socialisti e comunisti; a Cosenza, dove la
Giunta provinciale è dimissionaria perché non sa uscire dalla situazione da cui è travagliata; e a
Catanzaro, dove è pure in crisi l'amministrazione provinciale. Questa crisi
della Democrazia Cristiana, che esiste in tutta Italia, si verifica soprattutto
in Calabria perché voi non avete affrontato e risolto i problemi essenziali di
sviluppo e di rinascita di una regione che retrocede sempre di più e non guarda
più con fiducia all'avvenire. I giovani calabresi oggi non hanno davanti a sé
alcuna prospettiva di potere rivolgere le loro fresche energie e la loro
capacità di lavoro allo sviluppo e al progresso della loro regione, che essi si vedono costretti ad
abbandonare perché non vi trovano più possibilità di vita per sè e per le
proprie famiglie. E non si parli della pressione demografica come causa del
male, perché le esperienze economiche di
questi ultimi anni nei diversi Paesi hanno dimostrato l'infondatezza di questa
tesi. L'unica prospettiva dei giovani
calabresi è quella di emigrare: emigrare all'estero o nel nord. Ecco la prospettiva che si dà a
questi giovani, ecco la prospettiva che si dovrebbe dare ai nuovi laureati
calabresi! <br /> In
che maniera avete inquadrato il problema dell'istituzione di una Università
nella grave e reale situazione della Calabria? L'avete fatto nel quadro di un
piano di sviluppo regionale? Questo vi
domando, perché quando si parla di cose serie si deve tener conto anche di
questi fatti. Nel momento in cui in
Calabria l'arretratezza aumenta, nel momento in cui l'occupazione della mano d'opera diminuisce,
non solo in agricoltura, ma anche
nell'industria, nel momento in cui vi è questo grande esodo, si
dovrebbero approntare gli strumenti
adatti per risolvere questi problemi e si dovrebbe dare all'Università che si vuole istituire un carattere tale che
tenga conto di questi problemi, perché una Università non deve essere una
sovrastruttura inutile, non deve essere un vestito nuovo su un corpo vecchio e
decrepito. Questa è la realtà e così va impostata la questione. <br /> È
per queste ragioni che ci siamo allarmati e ci allarmiamo quando vediamo
iniziative di questo tipo; siamo dunque perplessi e preoccupati, e voi dovete comprendere il nostro atteggiamento e la nostra
opposizione a certe vostre iniziative. Giacchè si è voluta fare una
speculazione politica sulla nostra
posizione, siamo stati costretti a dire, come calabresi, in modo chiaro e deciso la nostra opinione sulla
questione e sulla situazione della Calabria in questo momento. E debbo anch'io
esprimere delle lamentele, come le hanno
espresse altri colleghi di mia parte, soprattutto i colleghi settentrionali. Non sono un campanilista, non
sono un regionalista nel senso gretto della parola; sono un calabrese il quale
ha fatto le sue prime esperienze
politiche quando era giovane studente a Firenze, proprio nella battaglia
meridionalista. Ed io mi sono sentito più meridionalista proprio quando ho
conosciuto il nord e quando ho potuto studiare e lavorare al nord: allora mi
sono reso conto più chiaramente e più compiutamente del problema meridionale.
Non è il problema retorico del primato
della Calabria o degli Abruzzi o di Napoli; è un problema nazionale, un
problema che interessa tutti gli
italiani, perché tutti gli italiani debbono sentire e sentono il dovere di modificare
certe situazioni che fanno vergogna al nostro Paese e al nostro popolo. E se
vogliamo essere degni di chiamarci
italiani, dobbiamo saper guardare con
questa visuale, con questo occhio i problemi del Meridione. E in questo senso
noi siamo meridionalisti, e meridionalisti debbono sentirsi tutti gli italiani.
Meridionalisti sono gli onorevoli Donini e Luporini quando parlano come hanno
parlato dei problemi dell'istituzione di
una Università in Calabria. Meridionalista è anche il senatore Macaggi quando imposta in una
certa maniera le questioni universitarie. Meridionalista è il Partito a cui ho
l'onore di appartenere perché esso fa
della soluzione della questione meridionale una delle battaglie più decisive
della sua azione politica. Non è meridionalista il meridionale che dice: noi
siamo migliori degli altri. No, noi siamo come gli altri; abbiamo i nostri
difetti, le nostre pecche e i nostri guai, come hanno le loro pecche, i loro
difetti e i loro guai abitanti di altre regioni. Appunto per questo mi sono
sentito veramente mortificato quando si è parlato della necessità di istituire
un'Università in Calabria (necessità che tutti hanno riconosciuto) in nome
delle nobili tradizioni della Calabria, che vanta Pitagara e tanti altri
ingegni. Sono cose che nessuno ignora e
che riconosciamo; ma diventano affermazioni retoriche, che riducono la
battaglia meridionalista a pure manifestazioni verbali, quando si cerca con
esse di eludere i gravi problemi della
realtà economica e sociale della Calabria e del mezzogiorno in generale. E mi
sono sentito ancora mortificato quando
ho assistito alla discussione fra il senatore Barbaro e il senatore Bellisario a proposito della questione se la
Calabria o il Mezzogiorno abbiano dato all’Italia grandi uomini di
scienza. <br /> Ed
allora, cosa abbiamo proposto, cosa abbiamo detto a proposito dell'istituzione
dell'Università in Calabria? Come vogliamo che sia questa Università? In primo
luogo - e questo intendo sottolinearlo come calabrese nella maniera più decisa
- riteniamo che debba essere una Università accentrata, e in ciò mi dispiace di
non essere d'accordo con il collega Macaggi. Perché vogliamo l'accentramento?
Forse per una posizione inconsulta o vacua? No. Io, come calabrese, parto
dall'esperienza che ho della mia regione. Si tratta di una regione che non ha alcun centro intorno a cui si muova la popolazione calabrese; ha diversi centri, ma
nessuno di rilievo in questo senso. È una regione che vive nell'isolamento, una
regione di contadini.<br /> Io
ritengo che i colleghi abbiano letto il libro di Meyriat: «La Calabrie», nel
quale sono indicati proprio questi aspetti di disgregazione della nostra
regione. Si tratta di una regione
disgregata, la cui disgregazione si
aggrava sempre di più e diventa degradazione quando si ha l'esodo
spaventoso a cui ho fatto riferimento in precedenza. Ed esso non è simile
all'esodo dalla terra che avviene anche nel nord e nel centro d'Italia, poichè
in tali regioni coloro che emigrano dalla campagna trovano poi lavoro nelle
industrie in centri diversi. Spesso anzi
sono i contadini che provengono dalle terre del Meridione a prendere il posto
dei contadini del nord e del centro d'Italia che abbandonano le loro campagne. <br />
Di
fronte a questa situazione di disgregazione e di degradazione è allora
necessario creare un centro di aggregazione, e non vi è occasione migliore di quella
dell'istituzione di una Università che, a Catanzaro o a Cosenza o in un'altra
qualsiasi città, divenga un centro di cultura, un centro di aggregazione
intorno al quale la cultura calabrese si possa muovere. Ecco ciò che noi vogliamo. <br />
D'altra
parte nella Costituzione è scritto a chiare lettere che dobbiamo andare verso
l'ente Regione, che dobbiamo creare l'ente Regione. Ebbene, in una regione
nella quale non c'è alcuna unità, dove manca un centro, dove si fanno delle
lotte per stabilire quale debba essere il capoluogo, poichè nessun centro può
vantare una posizione di preminenza, questa è una buona occasione per creare un
centro universitario di aggregazione, ed è anche l'occasione migliore per
creare le prospettive necessarie anche al fine di dare un capoluogo alla regione. Ecco perché
noi calabresi siamo preoccupati per il
decentramento dell'Università. <br /> Onorevole
Militerni, lei ha detto delle cose interessanti, ma si tratta di cose
semplicemente velleitarie. Ha parlato, e sono d'accordo, delle prospettive che
la Calabria può avere come centro di attrazione verso i popoli del
mediterraneo. <br /> MILITERNI.
Lei al Consiglio provinciale di Cosenza, quattro anni fa, voleva l'Università
statale quando noi parlavamo dell'Università cattolica; e adesso che abbiamo
l'Università statale non la vuole più. E’ il colmo! <br /> DE
SIMONE. Per quattro anni lei, senatore Militerni, ha sostenuto che la
legge speciale per la Calabria andava
molto bene ed applaudiva il Presidente del Consiglio provinciale di Cosenza,
Pisani, membro del Comitato regionale di coordinamento, quando questi diceva
che tutto andava bene. Poi, dopo quattro, sei anni, dopo la visita
dell'onorevole Fanfani, si è accorto che la legge speciale per la Calabria non
andava bene. Non credo di stare parlando contro l'Università statale. <i>(Interruzione
del senatore Militerni). </i>Quella che lei fa in questo momento è speculazione
politica pura e semplice. Quando noi diciamo di volere un'Università di un
certo tipo, allora vi opponete perché non sarebbe consona alle vostre esigenze
di carattere elettoralistico, perché per tali esigenze ci vuole una facoltà a
Cosenza, una a Reggio, una a Catanzaro. Ebbene, è proprio contro questa disgregazione che noi comunisti
intendiamo reagire, nell'interesse della regione calabrese.<br /> Cosa
significano una facoltà a Cosenza, una a Catanzaro e una a Reggio? Ma credete
veramente che gli studenti di Reggio Calabria andranno a frequentare la facoltà
di agraria a Cosenza? Conoscete le distanze? Poiché Cosenza dista da Reggio
Calabria 259 chilometri, mentre da Cosenza a Napoli ce ne sono 330 e da Cosenza a Bari 316, tanto
vale continuare a frequentare l'Università dove si andava prima. Se consultiamo
le statistiche, troviamo che su 752 studenti di Reggio Calabria ben 646 si
iscrivono a Messina, mentre gli studenti della provincia di Cosenza si
iscrivono in gran parte a Roma, Napoli e Bari. Pensate che gli studenti di Cosenza vadano a frequentare la facoltà di
architettura a Reggio Calabria? Faranno più presto ad andare a Napoli dove,
visto che si devono spostare,
troverebbero oltre tutto condizioni più favorevoli, una Università che offre
maggiori garanzie. Ho chiesto ad alcuni parlamentari democristiani: se avessi
un figlio da iscrivere all'Università,
lo iscriveresti in una facoltà che venisse istituita in Calabria? Mi si è
risposto che avrebbero preferito mandare
i propri figli a Napoli. <br /> BOSCO.
<i>Ministro della pubblica istruzione. </i>Allora non si deve far niente? <br /> MILITERNI.
Tu hai cambiato idea per l'Università di Calabria come hai cambiato idea per
Stalin. <br /> DE
SIMONE. Io voglio dire che l'Università che noi vogliamo non deve essere
disgregata, ma accentrata, perché la Calabria ha bisogno di un centro di
cultura, ma non farete di Cosenza un centro di cultura ponendovi la facoltà di
agraria, nè farete di Reggio un centro
di cultura quando avrà la facoltà di architettura. Ma c'è un'altra e profonda
esigenza, secondo me, di cui bisogna tener conto. <br /> GENCO.
Tra Catanzaro, Cosenza e Reggio quale città sceglieresti? <br /> DE
SIMONE. Non è che dobbiamo decidere su queste questioni con un voto di maggioranza. Voi date al problema
un'impostazione capziosa e faziosa, che dimostra che siete vittime del vostro
municipalismo, del vostro provincialismo, siete vittime... <br /> GENCO.
Io non sono calabrese, ma tu di quale opinione sei? <br /> DE
SIMONE. Aggiungerò ancora, per quanto riguarda la necessità, da noi giustamente
posta, di una Università accentrata, che questo tipo di Università, oltre
a rispondere all'esigenza di reagire a
una situazione di disgregazione, creerebbe la premessa per un ulteriore
sviluppo dell'Università in Calabria. E a questo proposito voglio dare una risposta al senatore Militerni. Egli
ha rilevato nel suo intervento che la
Calabria, con una Università, oltre tutte le altre possibilità di sviluppo
insite nelle condizioni stesse della Calabria, potrebbe costituire anche un
centro di attrazione per i Paesi del
Mediterraneo ed assolvere una sua funzione in tal senso: sono d'accordo con lui
sul fatto che questa funzione sia possibile, a condizione però che la regione
calabrese abbia un determinato sviluppo. <br />
Ed
allora, se vogliamo dare questa funzione e queste prospettive alla Calabria,
anche nei confronti dei Paesi del Mediterraneo, a me sembra assurdo creare una
Università con facoltà decentrate, e penso che, al contrario, si debba creare un
centro di studi universitari verso il quale possano orientarsi con determinate
prospettive quei Paesi.<br /> Per
quanto riguarda le facoltà, consentitemi di dire qualcosa come calabrese.
D'accordo sulla facoltà di scienze matematiche e fisiche, perché da una parte
servirà a dare uno sviluppo tecnico alla Calabria, e dall'altra a creare quei
professori che, con lo sviluppo della scuola, sono necessari per la cultura di
base, sia al livello medio inferiore, che al livello medio superiore. Ma io
credo che occorra pensare anche ad un'altra funzione che deve avere questa
facoltà. Noi riteniamo che nel campo degli insegnanti - e credo che questa sia
un'esigenza avvertita - sia necessario, poichè le conoscenze si evolvono
rapidamente, fare anche dei corsi di aggiornamento. E con ciò non credo di dire
cose non confacenti a quelle che sono le
esigenze della scuola italiana. Io parlo di corsi di aggiornamento, ma
potrebbero essere anche altri corsi.<br /> Per quanto riguarda poi la facoltà di
ingegneria, perché siamo favorevoli a tale facoltà? Perché frequentemente si
rivolge una accusa a noi calabresi,
accusa che è contenuta anche nel documento che è stato stilato in seguito al
viaggio dell'onorevole Fanfani in Calabria, cioè che spesso mancano le
progettazioni necessarie per fare determinate opere in Calabria o che non si
è in grado di fare i progetti. Perciò io
ritengo che una facoltà di ingegneria risponderebbe ad una esigenza della
Calabria, la quale d'altra parte, se non vuole morire, deve mettersi sulla via
di uno sviluppo che, partendo
dall'agricoltura, deve assolutamente portare avanti un processo di
industrializzazione e di realizzazione di opere di civiltà. <br /> Non
siamo favorevoli - e non farò in questo
senso che ripetere quello che hanno detto altri miei colleghi - alla facoltà di
architettura ed ho le mie perplessità per quanto riguarda la facoltà di
agraria. Specie nella provincia di Cosenza, abbiamo un elevato numero di
tecnici, di periti agrari che fino a
questo momento non hanno trovato alcun impiego nell'agricoltura. Purtroppo la
agricoltura calabrese in questo momento non riesce ad assorbire, specie nella
provincia di Cosenza, dottori in agraria, a meno che il dottore in agraria non sia nello
stesso tempo dirigente d'azienda, cioè a
dire proprietario d'azienda. Soltanto in quel caso si può vedere che in aziende anche importanti
esiste, non il tecnico, ma il dottore in agraria. D'altra parte si è parlato di
una crisi delle facoltà di agraria in
generale per quanto riguarda l'affluenza degli allievi. <br /> Io
vorrei avanzare una proposta, che non considero poi definitiva, - e ne ha
parlato anche l'onorevole Donini - cioè
la proposta di istituire una facoltà di lettere in Calabria. Questo potrebbe
sembrare in contrasto con quanto fino ad ora abbiamo sostenuto noi comunisti,
cioè con l'esigenza di un elevamento del livello tecnico e scientifico in
Calabria. Però vi è una realtà che noi dobbiamo tener presente: vi è lo
sviluppo della scuola, lo sviluppo delle
frequenze, l'afflusso di sempre nuovi alunni alla scuola. Per citare il caso
della provincia di Cosenza, mancano gli insegnanti, e in gran parte si tratta di insegnanti di materie letterarie.
Sono stati assunti come professori ben100
studenti universitari del primo e del secondo o del terzo corso.
Indubbiamente nello sviluppo avvenire ci sarà anche in questo campo una sempre
maggiore necessità di insegnanti. <br /> BOSCO,
<i>Ministro della pubblica istruzione. </i>A parte il fatto che 100 è un
numero esagerato, lei deve precisare se
si tratta di insegnanti di lettere; allora l'argomento sarebbe valido. <br /> DE
SIMONE. Mi hanno detto per 1'80 per cento. <br />
GRANATA.
La carenza maggiore si rileva in quel settore. <br />
DE
SIMONE. C’è un altro aspetto della questione da tener presente, onorevole
Ministro. In questo periodo, ripeto, c'è un'esigenza sempre più avvertita di
insegnanti nelle scuole medie. Gli studenti calabresi che vanno in cerca
dell'impiego immediato, data la situazione particolare della nostra regione, si
rivolgerebbero indubbiamente alla facoltà di lettere. Può darsi che questo
bisogno di insegnanti non si prolunghi per molti anni, ma oggi come oggi
certamente esiste. <br /> Comunque, una facoltà di lettere, oltre
che servire a questo scopo, dovrebbe
svolgere anche quel compito che io indicavo poco fa per la facoltà di scienze.
Noi parliamo di indirizzo umanistico, ma
l'indirizzo umanistico non lo dobbiamo guardare isolatamente. L'indirizzo
umanistico oggi non può prescindere da
quello che è l'indirizzo scientifico. Sarebbe assurdo considerare un indirizzo
umanistico che non tenesse conto della realtà nella quale si muove oggi il
mondo, e a questo fine io riterrei che sarebbe opportuno creare quei corsi di
perfezionamento, che costituirebbero un ulteriore centro attorno al quale
dovrebbero riunirsi i professori delle scuole medie calabresi, per rinnovare ed
aggiornare le loro conoscenze. <br /> Questi
elementi che ho indicato mi confermano ancor più nella convinzione che sia
necessaria una Università accentrata. Infine - e, onorevole Militerni, questo
dimostra che noi non siamo contro
l'Università in Calabria - noi riteniamo che i finanziamenti per la nuova
Università debbano essere aumentati. Il senatore Vaccaro ha detto, in polemica
con il senatore De Luca, che quando egli ha rivendicato l'eccedenza
dell'addizionale del 5 per cento per la Calabria, i comunisti non sarebbero
stati d'accordo. A parte che questo non
è vero, se vogliamo una Università che abbia tutte le caratteristiche
necessarie per essere efficiente, io ritengo che i finanziamenti debbano essere
aumentati, e a questo scopo, se difficoltà ci fossero, potremmo attingere
all'eccedenza dell'addizionale del 5 per cento stabilita dalla legge speciale
per la Calabria. <br /> Accanto a queste rivendicazioni, per quanto
riguarda le attrezzature, sia di carattere edilizio, sia di carattere
scientifico e didattico, noi poniamo ancora il fatto che, appunto perché è
necessario un certo periodo di tempo per
approntare queste attrezzature, occorre stabilire un dato lasso di tempo per il
loro allestimento. Una volta che siano
pronte le attrezzature necessarie, se non per tutti, almeno per i primi corsi, potranno
iniziare i corsi universitari. <br /> Queste
le indicazioni sul carattere che dovrebbe avere una Università per la nostra
regione. Ci viene ancora rinfacciato che, quando noi avanziamo queste proposte,
intendiamo opporci all'istituzione di una Università in Calabria. Noi siamo
troppo dolorosamente scottati dalle delusioni e dagli inganni che sono stati
perpetrati e che si continuano a perpetrare ai danni della Calabria. Vi ho
parlato della Cassa per il Mezzogiorno e della legge speciale per la Calabria.
Il senatore Vaccaro mi attaccava l'altro giorno e voleva sapere da me se volevo
o no l'Università in Calabria, affermando che non la volevo. Gli risposi che
era un inganno una Università di questo genere, perché noi sappiamo la fine che
fanno molte leggi per la nostra regione. Mi risulta che Il senatore Vaccaro,
qui in Assemblea, quando si discusse il bilancio dei Lavori pubblici, mosse un
attacco violentissimo al Ministro, onorevole Zaccagnini, in ordine alla
ferrovia Paola-Cosenza. Ebbene, esiste su quel problema una legge, voluta anche
dalla Democrazia Cristiana, che prevede lo stanziamento necessario, legge che
però non viene applicata. I lavori della ferrovia Paola-Cosenza non si
realizzano, nonostante la legge. <br /> GENCO.
Si deve o non si deve fare il progetto? <br /> DE
SIMONE. Voglio soltanto far rilevare la
fine che fanno le leggi per la Calabria. Per questo abbiamo le nostre
preoccupazioni, quando parlate di una Università di questo tipo. <br /> GENCO.
Per la ferrovia Paola-Cosenza c'è uno stanziamento nel bilancio dei Lavori
pubblici. Ma una ferrovia, come una strada o un'autostrada, non si può
eseguire senza il progetto. L'autostrada
Napoli-Bari non è ancora incominciata perché il progetto non esiste. Bisogna
assolutamente reagire a queste sciocchezze! <i>(Commenti e interruzioni dalla
sinistra. Richiami del Presidente</i>). <br /> DE
LUCA LUCA. Vuoi sapere la verità? La ferrovia non si fa perché sono in urto
Antoniozzi e Cassiani! <i>(Commenti e rumori).
<o:p></o:p></i><br /></div>
<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: Calibri; mso-fareast-language: EN-US; mso-fareast-theme-font: minor-latin;">DE SIMONE. Onorevole Presidente,
onorevoli colleghi, mi avvio alla conclusione. Dicevo che per questo motivo noi
siamo preoccupati nei riguardi del presente disegno di legge che istituisce una
Università in Calabria; siamo preoccupati del fatto che si incominci male, ed
incominciando male, in una regione depressa come la Calabria, indubbiamente i
risultati non potranno essere che negativi. Il Presidente del Consiglio,
onorevole Fanfani, in seguito al viaggio fatto in Calabria, fece al Consiglio
dei ministri delle dichiarazioni che vennero riportate sulla stampa. Egli affermò a proposito della
Calabria e di quello che aveva visto in Calabria: «Non è stato facile risolvere
i problemi del Paese proprio perché partimmo male nel 1861». Ebbene noi siamo
al 1961 e vorremmo che per l'Università in Calabria non si partisse male, in
modo che, non più tra cento anni, ma tra dieci o quindici anni, un nuovo
Presidente del Consiglio non possa dire che partimmo male nel 1961. <i>(Applausi
dall'estrema sinistra). </i></span></div>cataldo marinohttp://www.blogger.com/profile/07905623932776128758noreply@blogger.com087067 Rossano CS, Italia39.576330899999988 16.634288211.266097063821142 -18.5219618 67.886564736178826 51.7905382tag:blogger.com,1999:blog-4452496996569129856.post-48413302648490626052021-01-05T23:53:00.001+01:002021-01-06T00:07:13.810+01:00Ricordi (da Racconti brevi)<p><br /></p><div align="justify" style="background-color: #fff3db; color: #29303b; font-family: Georgia, "Times New Roman", sans-serif; font-size: 13px;">Sfiorò religiosamente alcuni degli oggetti della stanza preferita: la vecchia, modesta chitarra su cui aveva strimpellato mille volte le poche canzoni imparate nell’adolescenza; la costa di alcuni dei libri a lui più cari; la scrivania e lo schienale della sedia su cui sedeva ogni giorno alcune ore; il pianoforte dal quale aveva sentito uscire le più belle note, quelle che le minuscole dita dei suoi figli avevano suonato da bambini. Le cose che non sfiorava con le mani, le carezzava con lo sguardo.</div><div align="justify" style="background-color: #fff3db; color: #29303b; font-family: Georgia, "Times New Roman", sans-serif; font-size: 13px;">“Mai e poi mai sopporterei di perdere una di queste cose” pensò, “Fra me e loro c’è un rapporto che non è solo quello di proprietà, esse sono una parte della mia vita passata, che a questo punto è sicuramente di più rispetto a quella che ancora mi resta da vivere. Ognuno di questi oggetti mi ricorda qualcosa. Quel vaso di cristallo ce lo regalò una delle più dolci ed intelligenti amiche. Il tavolo lo volemmo rotondo, mia moglie ed io, per paura che un tavolo con gli spigoli potesse far del male ai nostri piccoli. Quella foto davanti ai libri ritrae il papà di mia moglie, e dentro non c’è solo il suo viso, perché di tanto in tanto lui esce sornione dalla foto tutto intero e passeggia per questa stanza con la sua tristezza, la sua allegria, la sua spietata ironia, innanzitutto quella verso se stesso e poi quella verso l’umanità, mai verso la natura, per la quale aveva un rispetto intimo, misterioso… forse solo artistico: vedeva le cose con l’occhio della sua macchina fotografica, più che vedere "inquadrava.”</div><div align="justify" style="background-color: #fff3db; color: #29303b; font-family: Georgia, "Times New Roman", sans-serif; font-size: 13px;">Aldo era, evidentemente, uno di quegli uomini per i quali ogni evento lascia un segno e, nella sua mente, li aveva archiviati con cura maniacale, tutti gli eventi. L’amore per gli oggetti di casa sua non era che una espressione di alcuni di questi ricordi, quelli dei quali era rimasta una traccia materiale.</div><div align="justify" style="background-color: #fff3db; color: #29303b; font-family: Georgia, "Times New Roman", sans-serif; font-size: 13px;">Un oggetto vecchio, anche se malridotto, è il più delle volte, migliore di un oggetto nuovo. Con questa filosofia le industrie creatrici del consumismo si trovavano di sicuro a mal partito. Una volta il vecchio assicuratore, rinnovandogli la polizza della sua auto, comprata vent’anni prima, esclamò: “Se tutti facessero come lei, molte case automobilistiche sicuramente fallirebbero!” Ma lui era fatto così e pensò che la sua vita valeva più di una fabbrica di automobili o di qualunque altra cosa e che, mai e poi mai, un imprenditore avrebbe rinunciato al suo profitto per salvare la vita d’un uomo.</div><div align="justify" style="background-color: #fff3db; color: #29303b; font-family: Georgia, "Times New Roman", sans-serif; font-size: 13px;">Così era lui, anche se la descrizione finora fattane non deve indurre a pensare che non fosse capace di organizzare il futuro. Gli pareva anzi che un ordine preciso delle cose passate e la loro meticolosa manutenzione fossero fattori indispensabili per fare progetti, per il domani e per l’età senile, per sé e per i suoi cari.</div><div align="justify" style="background-color: #fff3db; color: #29303b; font-family: Georgia, "Times New Roman", sans-serif; font-size: 13px;">Quel giorno, mentre sfiorava le cose con lo sguardo e riviveva altre situazioni con l’aiuto della penombra della sera, uno dei tanti ricordi incominciò ad assumere dimensioni più grandi, forme più precise, colori più decisi. Rivide se stesso mentre, adolescente, saliva i gradini di un vecchio palazzo che ospitava la locale sezione del Partito. All’epoca non c’era bisogno di precisare quale, gli altri essendo considerati semplici gruppi di interesse. Nella prima stanza c’era un biliardo, dove non disdegnava di fare qualche partita all’italiana coi “compagni”, nella seconda c’erano un televisore, un armadietto e diverse sedie, sparse a ridosso delle pareti o ammucchiate in un angolo e da tirar fuori quando c’erano le assemblee. Nella terza stanza, la più piccola, c’erano una vecchia scrivania coperta da una panno rosso, alcune sedie intorno e, in alto, i manifesti colorati del Partito. Lì, aveva visto seduti tante volte i compagni Marco e Stefano, due uomini di grande cultura e intelligenza, di alti valori morali, di impareggiabile generosità, di coerenza assoluta, fino alla morte. Lì, aveva ascoltato i primi discorsi sul popolo, sulla giustizia, sulla solidarietà, sulla pace e sulla vera democrazia. Lì, aveva visto i volti dei compagni che affollavano le frequenti riunioni: tristi, indignati, esasperati, in certi momenti; dubbiosi, riflessivi, meditabondi, in altri; gioiosi, festanti, esaltati, esaltanti in altri ancora.</div><div align="justify" style="background-color: #fff3db; color: #29303b; font-family: Georgia, "Times New Roman", sans-serif; font-size: 13px;">Andò nella stanza da letto. Tolto il pigiama, infilò camicia, pantaloni e giacca, chiuse la porta di casa, salì sull’automobile, percorse pochi chilometri, parcheggiò, attraversò una piazza, salì per una vecchia gradinata ed entrò. Nella prima stanza, c’era un vecchio biliardo.</div><div align="justify" style="background-color: #fff3db; color: #29303b; font-family: Georgia, "Times New Roman", sans-serif; font-size: 13px;"><i style="text-align: left;"><span style="font-family: trebuchet; font-size: medium;">cm</span></i></div><div align="justify" style="background-color: #fff3db; color: #29303b; font-family: Georgia, "Times New Roman", sans-serif; font-size: 13px;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg3IKD26A6T4Cd4AO3VR328J-gHuoT90zhh5AwAdftii99FW2q4eLiAHZdDQyte9QXQi8I-D-xwRNifs8HmfTmlDCEzNdEOcQsJ9gH2TMCPPaA4kfD5t5L4s4DShJTmDCTz7hyphenhyphenCtE5Egzxz/s2048/Il+corso.JPG" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1536" data-original-width="2048" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg3IKD26A6T4Cd4AO3VR328J-gHuoT90zhh5AwAdftii99FW2q4eLiAHZdDQyte9QXQi8I-D-xwRNifs8HmfTmlDCEzNdEOcQsJ9gH2TMCPPaA4kfD5t5L4s4DShJTmDCTz7hyphenhyphenCtE5Egzxz/s320/Il+corso.JPG" width="320" /></a></div><br /><div align="justify" style="background-color: #fff3db; color: #29303b; font-family: Georgia, "Times New Roman", sans-serif; font-size: 13px;"><br /></div>cataldo marinohttp://www.blogger.com/profile/07905623932776128758noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4452496996569129856.post-5987943303266472582020-07-01T21:28:00.000+02:002020-07-01T21:28:11.798+02:00Enrico Berlinguer: L'austerity.<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjkoPqnnDtgMHLFDa1yxIoVhwZ807wQIitmrEUnAD0EctwLzUm0_vPMWq9dKCAan90Pf8bm8fVHhzU7T1sUMpea0bPdEwLpw1UaHSadS7NfFHmQVL8Wdr7Kwxdxizm3PuRi517obccfTcbJ/s1600/Berl.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="181" data-original-width="278" height="208" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjkoPqnnDtgMHLFDa1yxIoVhwZ807wQIitmrEUnAD0EctwLzUm0_vPMWq9dKCAan90Pf8bm8fVHhzU7T1sUMpea0bPdEwLpw1UaHSadS7NfFHmQVL8Wdr7Kwxdxizm3PuRi517obccfTcbJ/s320/Berl.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
.<br />
<i>Una mia rielaborazione sintetica dei due discorsi tenuti da Enrico Berlinguer a Roma (Teatro Eliseo, 1977) e Milano (Teatro Lirico, 1979) sul tema dell’austerity. </i><br />
<i>c.m.</i><br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
[...] “Una trasformazione può essere avviata solo se sa affrontare i problemi nuovi posti all'Occidente dal moto di liberazione dei popoli del Terzo mondo. Ciò comporta l’abbandono dell'illusione che sia possibile perpetuare un tipo di sviluppo fondato sull’artificiosa espansione dei consumi individuali, che è fonte di sprechi, parassitismi, privilegi, dissipazione delle risorse e dissesto finanziario.</div>
<div style="text-align: justify;">
Una politica di austerità, di rigore, di guerra allo spreco è pertanto divenuta la leva su cui premere per trasformare la società nelle sue strutture e nelle sue idee di base. Una politica di austerità non è una politica di tendenziale livellamento verso l'indigenza, essa deve invece avere come scopo quello di instaurare giustizia, efficienza, ordine, e, aggiungo, una moralità nuova. Concepita in questo modo, una politica di austerità, anche se comporta certe rinunce e certi sacrifici diviene un atto liberatorio per grandi masse, soggette a vecchie sudditanze e a intollerabili emarginazioni, e crea nuove solidarietà.</div>
<div style="text-align: justify;">
[...]</div>
<div style="text-align: justify;">
L'austerità è un imperativo a cui oggi non si può sfuggire. Certe obiezioni di qualche accademico ignorano dati elementari del mondo e dell'Italia di oggi. Questi dati sono: l'avanzata dei popoli del Terzo mondo, che rifiutano le condizioni di sudditanza e d'inferiorità e che sono state una delle basi fondamentali della prosperità dei paesi capitalistici sviluppati; in secondo luogo, l'acuita concorrenza, la lotta senza esclusione di colpi fra gli stessi paesi capitalistici, della quale fanno sempre più le spese i paesi meno forti e sviluppati, fra i quali l'Italia; infine, la manifesta insostenibilità economica e insopportabilità sociale delle distorsioni che hanno caratterizzato lo sviluppo della società italiana negli ultimi venti anni. </div>
<div style="text-align: justify;">
Da tempo cerchiamo di far prendere coscienza di questi dati oggettivi, tuttavia ancora oggi molti non si sono resi conto che adesso l'Italia si trova - ma io credo, prima o poi, anche altri paesi economicamente più forti del nostro si troveranno - davanti a un dilemma drammatico: o ci si lascia vivere portati dal corso delle cose, ma in tal modo si scenderà di gradino in gradino la scala della decadenza, dell'imbarbarimento della vita e quindi anche, prima o poi, di una involuzione politica reazionaria; oppure si guarda in faccia la realtà (e la si guarda a tempo) per non rassegnarsi a essa, e si cerca di trasformare una traversia così densa di pericoli in un'iniziativa che possa dar luogo anche a un balzo di civiltà, che sia dunque non una sconfitta ma una vittoria dell'uomo sulla storia.</div>
<div style="text-align: justify;">
Ecco perché diciamo che l'austerità è, sì, una necessità, ma può essere anche un'occasione per trasformare l'Italia. Per definizione essa comporta restrizioni di certe disponibilità a cui ci si è abituati, rinunce a certi vantaggi acquisiti: ma noi siamo convinti che non è detto affatto che la sostituzione di certe abitudini attuali con altre, più rigorose e non sperperatrici, conduca a un peggioramento della qualità della vita. Una società più austera può essere una società più giusta, meno diseguale, realmente più libera, più democratica, più umana. </div>
<div style="text-align: justify;">
[...] </div>
<div style="text-align: justify;">
La politica di austerità può essere fatta propria dal movimento operaio proprio in quanto essa può recidere alla base la possibilità di continuare a fondare lo sviluppo economico su quel dissennato gonfiamento del solo consumo privato, che è fonte di parassitismi e di privilegi, e può invece condurre verso un assetto economico e sociale ispirato e guidato dai principi della massima produttività generale, della razionalità, del rigore, della giustizia, del godimento di beni autentici, quali sono la cultura, l'istruzione, la salute, un libero e sano rapporto con la natura. </div>
<div style="text-align: justify;">
"Lor signori", come direbbe il nostro Fortebraccio, vogliono invece l'assurdo perché in sostanza pretendono di mantenere il consumismo, che ha caratterizzato lo sviluppo economico italiano negli ultimi venticinque anni, e, insieme, di abbassare i salari.”</div>
<br />
<i>La trascrizione di parte dei due discorsi originali di Enrico Berlinguer sono reperibili sul primo dei due articoli contenuti nella pagina web</i><a href="https://www.sitocomunista.it/PCI/documenti/berlinguer/austerit%C3%A0.htm"> https://www.sitocomunista.it/PCI/documenti/berlinguer/austerit%C3%A0.htm</a><br />
<br />cataldo marinohttp://www.blogger.com/profile/07905623932776128758noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4452496996569129856.post-1427023128577539812020-05-08T19:40:00.000+02:002020-05-08T19:40:56.259+02:00Covid 2020: Correlazione fra Pil pro capite e contagi<br />
<div style="text-align: justify;">
“La Statistica non è tanto una scienza a sé, quanto il metodo del calcolo numerico applicato a tutte le scienze” diceva Gaetano Mosca nei suoi “Elementi di Scienza Politica”.</div>
<div style="text-align: justify;">
Il contributo di questo utilissimo metodo è stato minimo, e comunque di pessima qualità, in questo periodo di epidemia da Coronavirus in Italia. I dati ufficiali forniti dalla Protezione civile alla popolazione assetata di informazioni sono consistiti unicamente nell’arida elencazione di numeri assoluti, scarsamente significativi e difficili da capire e ricordare. Eccone un esempio nella tabella che segue.</div>
<br />
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjFbMEGByPTaOdwSP9UUyW5L6EBkW-LQcOX43htrizKUwzZUeoWMySlWC1PfLtM92M67LgXiwgbbEskUWUWitxZLoPHl3ovevrOz1qUPjbKG4Dm_jnP0fQ9pZL5k_9kYgHo3eaioOHIrfWD/s1600/Protezione+civile+29.4.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="526" data-original-width="880" height="237" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjFbMEGByPTaOdwSP9UUyW5L6EBkW-LQcOX43htrizKUwzZUeoWMySlWC1PfLtM92M67LgXiwgbbEskUWUWitxZLoPHl3ovevrOz1qUPjbKG4Dm_jnP0fQ9pZL5k_9kYgHo3eaioOHIrfWD/s400/Protezione+civile+29.4.jpg" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="background-color: white; color: #5f6368; font-family: arial, sans-serif; font-weight: bold; text-align: left;"><span style="font-size: xx-small;"><i>Cliccare sull'immagine per ingrandirla</i></span></span></td></tr>
</tbody></table>
<br />
<div style="text-align: justify;">
La tabella è esaustiva, ma non c’è la minima elaborazione statistica. Manca un qualunque criterio nel mettere in ordine le regioni e manca un qualunque indice che permetta di confrontare i dati.</div>
<div style="text-align: justify;">
I voti e i sondaggi politici, i dati sull’economia, quelli sulla demografia ecc. si esprimono in genere con delle percentuali, qui nulla di tutto questo. E allora, per ‘migliorare la nostra ignoranza’ (secondo la simpatica espressione di Nino Frassica) mi sono messo al lavoro non retribuito ed ho cercato di schiarirmi e possibilmente schiarire le idee sul problema.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
1) Ho innanzitutto cercato di rapportare il numero di contagi alla popolazione residente nelle varie Regioni. Che senso ha dire che in Lombardia ci sono 75.134 contagi e in Valle d’Aosta 1.124? Vuol forse dire che Valdostani stanno meglio? No, perché, se rapportiamo quei numeri assoluti alla popolazione, ci accorgiamo che nella Valle d’Aosta ci sono 894 casi di contagio ogni 100.000 abitanti e in Lombardia 747. Se questi dati sono un po’ più significativi di quelli somministrati dal gelido, e forse anche equivoco capo della protezione civile (a Report lunedì 4 maggio si è parlato di certificazioni di mascherine non sicure!), forse valeva la pena di rifare i calcoli per tutte le Regioni. Il lavoro non è creativo né remunerativo, ma il pensionato deve pur meritarsi la pensione, e poi cosa fa in casa col Covid tutto il giorno?</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
2) Come si vede nella colonna in rosso, i decessi per Covid sono stati 1.437 nel Veneto e 1.152 in Liguria, dunque il Veneto sembrerebbe essere messo peggio. Ma non è così, perché in Liguria ci sono stati 14,5 decessi ogni 100 contagiati e nel Veneto solo 8. La sanità ha quindi funzionato molto meglio. E’ importante o no saperlo? Anche in questo caso forse non è inutile calcolare questi indici per tutte le Regioni.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Ecco allora qui di seguito una tabella che - rispettando un preciso ordine decrescente delle Regioni in base al prodotto interno lordo pro-capite - riporta nelle colonne 3 e 6 gli indici relativi ai casi di contagio ogni 100.00 abitanti e la percentuale dei decessi in base al numero dei contagi. </div>
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<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg1qXoxxubBuoZULIm5c6i2p_Vl3HXLRRFhdUxrrHK0DSv2rzrE5ciQUEh1UN0y3re0dMY8-TXMXiT7wrx6JJR-_vi_MGb_sAIdXCKzLab40yr1mVeUIwfPZeDKPMzCqBinXI9aWvLKS1Yt/s1600/Tabella+contagi+e+decessi.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1460" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg1qXoxxubBuoZULIm5c6i2p_Vl3HXLRRFhdUxrrHK0DSv2rzrE5ciQUEh1UN0y3re0dMY8-TXMXiT7wrx6JJR-_vi_MGb_sAIdXCKzLab40yr1mVeUIwfPZeDKPMzCqBinXI9aWvLKS1Yt/s400/Tabella+contagi+e+decessi.jpg" width="365" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><i style="background-color: white; color: #5f6368; font-family: arial, sans-serif; font-size: x-small; font-weight: 700; text-align: left;">Cliccare sull'immagine per ingrandirla </i></td></tr>
</tbody></table>
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<div style="text-align: justify;">
Osservando i dati forniti dalla protezione civile, vediamo che la diversa misura del contagio nelle varie Regioni non viene messa in relazione con alcuna possibile causa. In TV invece le ipotesi degli esperti (alcuni dei quali senza falsa modestia si autodefiniscono ‘scienziati’ anche se non si sa cosa abbiano scoperto) abbondano. In Lombardia – dicono - il contagio è maggiore perché c’è stato il PRIMO FOCOLAIO; in Veneto c’è stato un focolaio nello stesso periodo, ma è stato frenato per una diversa impostazione nei CONTROLLI e nella TERAPIA SANITARIA; le Regioni del sud hanno avuto minori contagi per la LONTANANZA DAI PRIMI FOCOLAI. </div>
<div style="text-align: justify;">
Da tre mesi illustri virologi alternano dubbi a speranze e propongono spiegazioni incerte e suggerimenti terapeutici contraddittori per debellare il virus; i tempi previsti per il controllo del contagio variano da due mesi a due anni; non si sa se l’immunità per anticorpi o vaccini è garantita a vita o vale solo per un periodo limitato; in poco tempo tutti avranno le mascherine, ma poi si scopre che molte di esse non proteggono dal virus; queste mascherine evitano di contagiare gli altri, ma non evitano di essere contagiati dagli altri. Forse ha ragione chi dice che ‘la medicina non è una scienza ma un'arte’. Non c’è certezza del domani, ma neppure di ciò che sta succedendo oggi.</div>
<div style="text-align: justify;">
Il Governo Conte ha saggiamente condizionato la normativa ai consigli di questi esperti, ma essi hanno saputo dare una sola indicazione certa: per evitare il contagio è necessario stare a casa. Ma a questo il Prof. Conte, con la sua intelligenza e la sua prudenza, forse ci sarebbe arrivato anche da solo. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
In mezzo a questo guazzabuglio cosa può fare un profano di virologia, immunologia, dna, plasma, vaccini ecc.? Per identificare la causa (più probabilmente le concause) dell’epidemia, può solo giocare a fare qualche ipotesi, che è il primo passo di ogni ricerca. Quella che io azzarderò è probabilmente banale e priva di effetti utili nel breve periodo, non sarà però né assurda né nociva. </div>
<div style="text-align: justify;">
Tutti ormai sanno che al nord il contagio è alto, al centro è medio e al sud molto più basso. E’ una questione di latitudine? Di clima? Di inquinamento? Di densità di popolazione? Di stile di vita (spostamenti per lavoro e divertimento)? Presa isolatamente nessuna di queste specifiche ipotesi ha trovato un supporto nei dati e, allora, per trovare un fattore che rispondesse a uno o più di questi interrogativi, ho provato a utilizzare gli indici statistici prima menzionati. </div>
<div style="text-align: justify;">
Risultato: questo virus attecchisce dove più alto è il Pil, cioè la ricchezza ('figlia' di industrie e commerci e 'madre' di consumi, luoghi di ritrovo, case di riposo per anziani ecc.). L’ipotesi non scaturisce solo da come vedo piazzate le Regioni italiane, ma anche dalla diversa misura in cui il virus ha trovato terreno fertile in tutto il mondo: alta negli Usa ed Europa, più bassa in Africa, Asia e nell’America latina.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Per avere una conferma di ciò, almeno per quanto riguarda l’Italia, ho fatto ricorso all’INDICE DI CORRELAZIONE fra ‘Prodotto interno lordo pro-capite’ e ‘Numero di contagi/100.000 abitanti’. Tale indice può variare tra i limiti di 'zero' (tra le due variabili non c’è alcuna correlazione) e 'uno' (correlazione massima). Nel caso in esame esso risulta essere di 0,80 (che possiamo intendere più prosaicamente come l’80%), il che vuol dire che, anche in presenza di eccezioni (valori che si discostano dalla norma statistica), un nesso certamente esiste.</div>
<div style="text-align: justify;">
A questo fine ho tracciato, e riportato qui di seguito, un grafico che presenta la dispersione delle varie Regioni secondo le due variabili citate e inoltre una linea di interpolazione che ne dimostra l’andamento in modo più significativo. Sulle Regioni che hanno un tasso di contagio che si discosta in una certa misura da quello della linea di interpolazione (Lazio, Piemonte, Liguria e Val d’Aosta) si può discettare a lungo, ma sulla sostanziale correlazione fra Pil e contagi io ho pochi dubbi. A questo virus piacciono i paesi ricchi.</div>
<div style="text-align: justify;">
E quale sarebbe allora la terapia suggerita in base a questa conclusione? Proprio quella che i governanti di tutti i Paesi aborrono: una minore enfasi sulla crescita economica e uno stile di vita più sobrio. In fondo, in questi mesi, tutti abbiamo sperimentato i vantaggi psicologici nel cessare una inutile rincorsa ai consumi; gli unici a soffrirne sono stati coloro che sul consumismo hanno basato le loro fortune. </div>
<div style="text-align: justify;">
Nei prossimi giorni (o nelle prossime settimane, secondo il tempo disponibile e la pazienza) cercherò di vedere se si trova conferma statistica della correlazione fra pil e contagi anche attraverso l’analisi di un campione di Stati europei e di altri continenti.</div>
<br />
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjNnrYcT8PnKCOc9c2pADTtWB-kDdFgxY9JPN8AUA5pG0y6xmXHfQh3QU3ae1rWlIytIRirBZNyWyN2ExO_YCQ1NsWnpPmUtbuZcKYkNlHEFCKUnSWO6zgLOkTG7u9gTeuzcXwzkFXsrBcR/s1600/Linea+di+interpolazione.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="720" data-original-width="965" height="297" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjNnrYcT8PnKCOc9c2pADTtWB-kDdFgxY9JPN8AUA5pG0y6xmXHfQh3QU3ae1rWlIytIRirBZNyWyN2ExO_YCQ1NsWnpPmUtbuZcKYkNlHEFCKUnSWO6zgLOkTG7u9gTeuzcXwzkFXsrBcR/s400/Linea+di+interpolazione.jpg" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><i style="background-color: white; color: #5f6368; font-family: arial, sans-serif; font-size: x-small; font-weight: 700; text-align: left;">Cliccare sull'immagine per ingrandirla</i></td></tr>
</tbody></table>
<br />
<br />cataldo marinohttp://www.blogger.com/profile/07905623932776128758noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4452496996569129856.post-74292986929473172582020-04-15T21:25:00.000+02:002020-04-19T12:05:45.082+02:00Visualizzazioni del Blog: 100.024<span style="text-align: justify;"><br /></span>
<span style="text-align: justify;">Ieri apro il blog e, a fondo pagina, trovo il numero di visite raggiunto. Il calcolo è fatto direttamente da Blogger.com e mi dà 100.024 visualizzazioni. Confesso di esserne contento; quando iniziai dieci anni fa, a dicembre del 2009, non ci speravo assolutamente.</span><br />
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So che le visualizzazioni non corrispondono sempre a letture attente e complete. Tante volte io cerco qualcosa sul mio motore di ricerca e, prima di trovare la pagina giusta, ne devo visitare tante altre inutili. Tuttavia il dato mi sembra abbastanza significativo e gratificante.</div>
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Fra i 138 articoli finora pubblicati ci sono argomenti di vario genere - sociologia, economia, politica, letteratura, cinematografia - tutti però trattati da una particolare angolazione, quella sociologica. Poichè, dopo gli studi accademici di questa disciplina, la vita mi aveva portato verso un lavoro diverso da quello sperato. che era il giornalismo, una volta andato in pensione il blog mi riportava alle mie antiche passioni.</div>
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Fra le tante cose scritte ce ne saranno anche di sciocche o banali, ma tanti articoli sono il frutto di studi e indagini laboriose, corroborati dai dati disponibili sui miei libri o sul web o da me elaborati o rielaborati. In media fra la scelta dell'argomento da trattare e l'inizio delle ricerche passavano alcuni giorni, e molti altri giorni passavano per le indagini e la prima stesura del lavoro. Altri ancora ne passavano per la sistemazione e la limatura dell'articolo definitivo. Qualche oretta è stata impiegata persino per la ricerca di una immagine che precedesse ogni articolo e ne desse una sia pur approssimativa idea.</div>
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Centomila visite per 138 articoli mi dà una media di 725 per ognuno di essi, ma la media, come si sa, è un semplice valore statistico. Vi sono ovviamente articoli con più ridotto numero di visite e si tratta soprattutto di quelli iniziali (quando il blog era poco visibile sui motori di ricerca) e di quelli degli ultimi due anni, nei quali ho cominciato a pubblicare molto meno regolarmente. Fra il 2012 e il 2018 il counter segnava invece molte visite e oggi evidenzia - come risulta dalla tabella che segue - molti post con un cospicuo numero di visualizzazioni.<br />
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<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhL_4q9paCeT3Evg5oVqd2KN3RDl9y8pm77gJ0ijTa3HRHHNgq-0Nl6oy4c1rkzMDJO5hE3tGw6t9m8J1oIKLwNamL-gqsFZ3CEcsn2XA2TjMYD_pwaaOw6PbJJcIXK2Tsme487BgdQ5Vdz/s1600/vvv100.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="468" data-original-width="795" height="235" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhL_4q9paCeT3Evg5oVqd2KN3RDl9y8pm77gJ0ijTa3HRHHNgq-0Nl6oy4c1rkzMDJO5hE3tGw6t9m8J1oIKLwNamL-gqsFZ3CEcsn2XA2TjMYD_pwaaOw6PbJJcIXK2Tsme487BgdQ5Vdz/s400/vvv100.jpg" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><i>(Per una migliore lettura cliccare sull'immagine)</i></td></tr>
</tbody></table>
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Da un mese, come tutti gli Italiani, rimango a casa per evitare il contagio dal Coronavirus. E' una condizione preoccupante e deprimente, ma per fortuna c'è sempre qualcosa che ci fa ben sperare e quel numerino in fondo al blog dà anche un certo conforto. </div>
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Ringrazio coloro che hanno voluto riprendere alcuni articoli per riproporli in versione cartacea (ad es. la rivista “Indipendenza” e il giornale locale “La voce”) o su altri blog (ad es. Fisicamente.net dell’amico Roberto Renzetti, Unicobas.it, Traccesent.com, Merylho43.wordpress.com della carissima amica Marisa Bonsanti) e coloro che hanno segnalato il loro gradimento per gli articoli da me sporadicamente proposti ai miei amici di facebook.<br />
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Tutti gli articoli presenti sul blog in ordine cronologico fino al 2018 sono stati raggruppati in ordine sistematico e pubblicati in tre volumi liberamente scaricabili in pdf dal sito 'archive.org' alla pagina <a href="https://archive.org/details/@cataldo_marino">https://archive.org/details/@cataldo_marino</a></div>
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<i>Cataldo Marino</i><br />
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<br />cataldo marinohttp://www.blogger.com/profile/07905623932776128758noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4452496996569129856.post-2903817132213958662020-03-31T11:48:00.001+02:002020-04-01T14:40:32.544+02:00Luigi Santucci: Come un carro ribaltato<br />
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<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiBbrSDr8Qr44hTmfvv6Vvbk_0mpia27laLH_oXSyo2eK-E6FeRqgSsO9WVMtGjazJ7ORZ1N0kwJpQBvey1-UaEX06E0mLndHpLh7WpHVaTDufZLdjiNQ1JjfpAx4DBDt8AnKPcPMMzpiOu/s1600/Guai+a+voi%252C+ricchi.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="305" data-original-width="400" height="243" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiBbrSDr8Qr44hTmfvv6Vvbk_0mpia27laLH_oXSyo2eK-E6FeRqgSsO9WVMtGjazJ7ORZ1N0kwJpQBvey1-UaEX06E0mLndHpLh7WpHVaTDufZLdjiNQ1JjfpAx4DBDt8AnKPcPMMzpiOu/s320/Guai+a+voi%252C+ricchi.jpg" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><br /></td></tr>
</tbody></table>
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Sono intervenuto in questi giorni sul post di un amico di facebook citando gli ultimi due articoli del mio blog.</div>
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In realtà non si trattava di due veri articoli, perché di mio c’era ben poco. Mi ero limitato a pubblicare due brani del libro “Volete andarvene anche voi?” di Luigi Santucci, una ‘storia di Gesù’ basata acriticamente sui vangeli, liberamente riplasmati da questo scrittore del Novecento.</div>
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I miei interlocutori non hanno purtroppo colto questa mia premessa e si sono avventurati sulla strada della cristologia: Gesù non è una figura storica ma un semplice mito.</div>
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Sì, ho letto anche io nella “Breve storia della religione” di Ambrogio Donini questa tesi, storiograficamente condivisibile. Ma sono rimasto un po’ infastidito dai pregiudizi anticristiani di questi amici.</div>
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Ad essi dico, qui, ora, che pur se Gesù non fosse mai esistito, esiste il messaggio contenuto nei vangeli, pagine scritte chissà quando, chissà dove e chissà da chi, ma che esistevano e rimangono tuttora vive. E quel messaggio ha contagiato nei primi secoli dell’era volgare una gran massa di gente disperata. Poi questi seguaci – dando conferma, come sempre, delle leggi sociali della circolazione delle élite - si sono dati una struttura verticale, si sono inseriti nella vita politica e nella storia profana, ma inizialmente, in virtù di quel messaggio, avevano dato vita ad una forma di comunitarismo non molto dissimile, nei fini, da quello proposto nell’Ottocento per il riscatto delle classi sociali svantaggiate e oppresse. </div>
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In ‘Atti degli apostoli” (4:32-35) è scritto: “<i>La comunità dei credenti viveva unanime e concorde, e quelli che possedevano qualcosa non lo consideravano come proprio, ma mettevano insieme tutto quello che avevano. Gli apostoli annunziavano con convinzione e con forza che il Signore Gesù era risuscitato. Dio li sosteneva con la sua grazia. Tra i credenti nessuno mancava del necessario, perché quelli che possedevano campi o case li vendevano, e i soldi ricavati li mettevano a disposizione di tutti: li consegnavano agli apostoli e poi venivano distribuiti a ciascuno secondo le sue necessità.</i>” (Paolo di Tarso correggerà poi il tiro, dicendo che ognuno deve vivere del frutto del suo lavoro, ma lo disse due decenni dopo la morte di Cristo, e dei primi cristiani fu persecutore).</div>
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Nel capitolo qui proposto Santucci riprende l’aspetto rivoluzionario del mito cristiano, commentando da par suo ‘Le beatitudini” dei poveri e l’amaro destino dei ricchi.</div>
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… <i>come un carro ribaltato.</i></div>
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<i>c.m.</i><br />
<i><br /></i></div>
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Finché un giorno questa sua voce ha riempito di gente una montagna. È la montagna di Tabha, appena una gobba davanti al mare di Tiberiade. Ma quel giorno (un giorno ventoso e imprevedibile) quella montagna si fa alta, non è più di terra e sassi ma è una montagna di uomini e donne che l'affollano, la rigonfiano in un centuplicato volume, vi fanno grappolo verso le nubi come un favo di api brulicanti. </div>
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Tutti gli uomini del mondo, vivi morti e nascituri, venuti lassù per una precisa questione che attende una risposta. Presi uno per uno, essi non hanno minimamente l'idea di quale sia la questione; nessuno, chiamato fuori del suo bivacco da chi gli dicesse "domanda la cosa che ti preme", saprebbe aprire bocca. Se mai, interpellati personalmente, Isacco, Miriam, Levi balbetterebbero che hanno un'ulcera, un tumore, un erpete da farsi togliere; per questo si sono arrampicati sul monte; per questo, come le altre volte, tutta la moltitudine cercava di toccarlo. Ma radunati così tutti insieme, il loro bisogno è un altro, un'altra la loro curiosità. Quale sia l'interrogativo che hanno da porre a Gesù, essi stessi lo ignorano. Ma lui lo sa bene, e oggi risponderà. Essi vogliono sapere della felicità: se esiste, cos'è, per chi è, perché la covano talmente e in ogni ora dentro i loro pensieri, cosa si debba fare per raggiungerla.</div>
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Allora Gesù si pone a sedere, non fa miracoli sulle gambe ciondolanti e sulle pustole di lebbra, oggi, ma tenta il miracolo sui destini di questo immenso popolo. Apre la bocca e insegna la felicità: «Beati...».</div>
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I ruscelli dentro la roccia, i prati di trifoglio lucidati dal vento, le nuvole che scendono a impigliarsi sui faggi sembrano in ascolto non meno del cammelliere, della vedova, del ragazzo con le lentiggini.</div>
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Beati chi? Si parla già di gente felice? Non ci sono preamboli a questo discorso, approcci e distinzioni filosofiche, qualche raziocinante cautela? Non ci sono. «Beati i poveri in spirito, perché di loro è il regno dei cieli... Beati i mansueti, perché possiederanno la terra...»</div>
<div style="text-align: justify;">
Fra i poveri, ha cominciato da questi: penso che i “poveri in spirito” siano quelli che non credono in se stessi, i prigionieri di un'inguaribile timidezza, gli uomini che non hanno fantasia per progettare un domani migliore né personalità per realizzarlo. Sono i più poveri; sono solo i signori della speranza, ma di una speranza incorporea ch'essi non sanno legare a nessuna scadenza. Sono i silenziosi che vivono senza toccare nulla, neanche col desiderio; solo, frequentemente, mirano le nubi e l'azzurro perché sanno che il cielo è una cosa che non si contende a nessuno. E il cielo è per loro.</div>
<div style="text-align: justify;">
La terra invece ai mansueti. La possiederanno appena camminandoci, arandola per gli altri, andando a fare il soldato per gl'imperatori e morendoci sopra; e poi marcendo nel suo grembo dove li avranno seppelliti in fretta.</div>
<div style="text-align: justify;">
«Beati coloro che piangono, perché saranno consolati... Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia...»</div>
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Piangere è già una beatitudine. Ai suoi poveri, la consolazione Cristo la semina già nell'ora dei singhiozzi, quando il dolore brucia in cima come una candela e l'anima cola in gocce. Il piangere - solo il piangere - ci fa poi misericordiosi, ci fa provare pietà di noi stessi e degli altri; e quando siamo misericordia, finalmente fra Dio e noi non c'è più confine, la nostra acqua si mescola alla sua.</div>
<div style="text-align: justify;">
«Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio... Beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio...»</div>
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Almeno il cuore resti puro, se la carne si contamina così facilmente nelle cose che le creature ci offrono. Se Dio non lo potrò abbracciare perché le mie mani non sono pure, almeno il mio cuore si salvi in una generosa innocenza perché io possa, dal più lontano spiraglio dell'infinito, vedere il suo volto.</div>
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E se di Dio vorremo essere chiamati figli, allora arruoliamoci nella schiera dei pacifici: che è una durissima milizia e tutto vuoi dire fuor che vivere in pace e disertare la lotta, ma battersi per la madre più minacciata e tremante, la pace. Colei che ci chiama Abele, che tutti ci vuole vivi e disarmati, a cancellare dalla crosta della terra il nome di Caino.</div>
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«Beati coloro che soffrono persecuzioni per la giustizia, perché di loro è il regno dei cieli... Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e vi perseguiteranno, e rigetteranno il vostro nome come abominevole, e diranno di voi ogni male per cagion mia...»</div>
<div style="text-align: justify;">
Soffrire per la giustizia: anche se la giustizia sembra il bene più irrinunciabile e l'ingiustizia il più insopportabile male? Beati anche questi? Come, quando? Sempre, subito; oggi, non domani. Giacché per costoro, come per i perseguitati a causa di Cristo, il Regno, il cielo è già intorno e dentro la vita. E se sarà splendida la loro eternità, di morire quasi non si accorgeranno, a essi il Padre non darà di distinguere con un taglio netto la beatitudine degli angeli e la beatitudine quaggiù dei loro giorni tribolati. Perché Gesù, ecco, oggi sulla montagna li chiama beati e si felicita con loro.</div>
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Oggi è un gran giorno, oggi bisognava fare qualcosa di grosso e d'immediato per questa sterminata gente che soffre e sogna la felicità. Bisognava capovolgere il mondo, metterlo come un carro di fieno a ruote in aria. E Cristo ha ribaltato il mondo. I piangenti, gli affamati, i poveri sono issati in trionfo, fatti oggetto d'invidia; i mansueti e i pacifici spadroneggiano e fanno bottino sulla terra strappata al nemico; e i perseguitati fanno tremare gli oppressori nel candido Regno atteso da mille e mille anni. Giustizia è fatta.</div>
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È fatta, nel mondo stravolto, la giustizia. E dalla montagna dei santi, come una cascata di lava, schiuma giù adesso per gli altri l'annuncio della desolazione: «Ma guai a voi, o ricchi, perché avete già la vostra consolazione... Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nella mestizia e piangerete... Guai a voi, quando tutti gli uomini vi applaudiranno...».</div>
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I ricchi, i ben pasciuti, i gaudenti, i vanitosi che Cristo maledice da questo monte non sono, grossolanamente, quelli che indugiano volentieri tra agi e gozzoviglie, tra feste e battimani. Ogni uomo ha inseguito queste cose, almeno per un attimo le ha possedute. Egli non è così ingenuo né così puritano. I dannati, gli esclusi oggi e sempre dalle delizie della montagna, sono coloro che dentro ai fumi di quelle passioni si separeranno dagli altri, giorno uguale a giorno, fino a farli soffrire e a scacciarli. Perché c'è un solo peccato ed è quello di non amare; una sola maledizione, l'egoismo; una sola parola proibita, la parola nemico. Perciò il discorso di Gesù continua. Sul prato di trifoglio, sul cammelliere, sul faggio e sulla vedova sono cadute quel giorno altre parole, perché ciascuno raggiungesse la beatitudine.</div>
<div style="text-align: justify;">
[…]</div>
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<b>Luigi Santucci</b></div>
cataldo marinohttp://www.blogger.com/profile/07905623932776128758noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4452496996569129856.post-81881749068738297022020-03-14T20:14:00.003+01:002020-03-15T21:00:12.817+01:00Luigi Santucci: Io e Nicodemo (Gv. 3,1-21).<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgcYFQDUF9WWF_VcZpZMlbotaQBkpbTF7dnDXLLl3C8dnM8Jxu2UcwrVDiKF2npHNIJBVHPUQExuRfTmZVuodlWgTytMCq49s_8VJviGiSBgadQXlmtGLSj0XJutXoe2sMUlc43RBKDrn3-/s1600/epson391.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="958" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgcYFQDUF9WWF_VcZpZMlbotaQBkpbTF7dnDXLLl3C8dnM8Jxu2UcwrVDiKF2npHNIJBVHPUQExuRfTmZVuodlWgTytMCq49s_8VJviGiSBgadQXlmtGLSj0XJutXoe2sMUlc43RBKDrn3-/s320/epson391.jpg" width="192" /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: 12.8pt; margin-left: .35pt; mso-line-height-rule: exactly; text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
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<div class="MsoNormal" style="line-height: 12.8pt; margin-left: 0.35pt;">
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«Scritto e ripreso nel corso di lunghi anni, Volete andarvene anche voi? è una vita di Cristo scritta con una tecnica ardita, estremamente dinamica e imprevedibile, per permettere al suo autore d'immedesimarsi nelle vicende e nei personaggi del Vangelo con uno scandaglio totale, quasi come testimone fisico, in una continua tensione poetica ed emotiva dove la fede trionfa di stretta misura dopo una generosa e strenua battaglia. In queste pagine la vita di Cristo, superando l'agiografia e la narrazione dei fatti, tende a diventare una ‘summa’ di ragioni e di passioni umane. Alla fine, non altro forse che un'enorme metafora dei nostri sentimenti e del senso dell'Eterno. Volete andarvene anche voi?, travagliato atto di fede d'un uomo dei nostri giorni, è comunque un libro così lontano da ogni conformismo e devozionalismo apologetico, che un critico lo ha recentemente definito ‘una vita di Cristo anche per gli atei’».</div>
<br />(dalla Prefazione dell’Editore, 1969)<br />
* * *<br />
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<div style="text-align: justify;">
<< Eccomi qui. Fra le tante figure sulla scena del Vangelo io sono probabilmente costui - anche se tante volte mi riconosco nel pubblicano, nella meretrice, nel lebbroso: il dottor Nicodemo: l'intellettuale petulante, quello che "si recò di notte da Gesù e gli disse...".</div>
<div style="text-align: justify;">
<c capi="" chiamato="" da="" dei="" di="" disse...="" e="" egli="" era="" farisei="" ges="" giudei.="" gli="" i="" nicodemo="" notte="" rec="" si="" tra="" un="" uno="" uomo="">Sarei andato di notte. Tante volte, quando non riesco a prendere sonno perché ho orrore della giornata che mi sta alle spalle e paura di quella che spunterà; quando il cer</c>vello, la sapienza diplomata che mio padre e mia madre mi hanno trasmesso pagandomi dei buoni studi mi pesano nelle tempie più di ogni peccato, mi alzo e vado da lui. Neppure occorre che mi alzi. Sto supino nel buio, a occhi aperti, e lo importuno. Non è pregare: è provocarlo; è sperare in segreto di confonderlo e farlo ruzzolare nel mio stesso dramma di ateo superstizioso; ed insieme è pure una piatire da lui la risposta che mi pacifichi, un invocare che si metta alla lavagna e, riempiendola di cifre rotonde, mi dimostri che Dio c'è, che lui è il figlio del Padre, che io andrò in paradiso dopo una vita lunga e felice. Un esigere che lui metta sulla piramide sghemba della mia cultura il sigillo della certezza metafisica.</div>
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<div style="text-align: justify;">
È notte. Nessuno ci vede né ci sente. Così senza parere, signorilmente, può darsi che questo privilegio io glielo strappi, che mi spieghi un po'... Se si creerà il clima giusto, quel tanto di magica connivenza che l'ora e il dialogo a due favoriscono. Siamo un tantino colleghi, in fondo: docti sumus. </div>
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Nicodemo ha voluto la lezione privata. Anch'io la vorrei. Un incontro a quattrocchi. Non dovermi accalcare fra pescatori, gobbi e prostitute nei trivii di Cafarnao, o sulla spiaggia del lago, o nel deserto dove si arriva in turba coi piedi piagati dopo tre giorni di digiuno. Non dovermi arrampicare su un albero come Zaccheo per vederlo e sentirlo; o peggio, mescolarmi coi suoi quando lo ammazzano, col rischio di...</div>
<div style="text-align: justify;">
Nicodemo è andato dunque e Gesù lo ha ricevuto. E vado anch'io, e anche a me apre la porta, mi fa sedere. «Come mai?» gli dice il dottore giudeo. «Come mai?» gli dico io. «<i>In verità ti dico che se uno non rinasce dall'acqua e dallo Spirito Santo non può entrare nel regno di Dio...» «Non ti meravigliare se ti ho detto: "bisogna che nasciate di nuovo". Il vento spira dove vuole, e ne odi la voce, ma non sai donde venga, né dove vada.</i>»</div>
<div style="text-align: justify;">
«Come mai può essere questo?» borbottiamo io e Nicodemo. E lui molto civilmente onora adesso i miei titoli di studio: «<i>Tu sei maestro in Israele</i>» mi dice «<i>e non lo sai?</i>». «Lasciamo perdere» diciamo io e Nicodemo trangugiando l'ironia del nostro interlocutore «lasciamo perdere... Dimmi una buona volta, <i>come mai?</i>»</div>
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Gli orologi, le pendole, i cronometri sbriciolano il tempo notturno, che sembra uguale a quello diurno ed è così diverso, col loro tic tac, dentro la casa che soffre come noi, nei suoi mattoni e nei suoi mobili, l'angoscia di esistere e non sapere perché.</div>
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«<i>Se non credete quando vi parlo delle cose terrene, come potrete credere quando vi parlerò delle celesti?</i>» dice Cristo nella vecchia poltrona del mio studio, accarezzando i braccioli. Di nuovo sfugge, anche questa volta. È lui che fa domande. «Lascia stare queste distinzioni, maestro. Terrene, celesti.... Parlami di me che non so che cosa sono, terra o cielo, e in fondo me ne infischio. Sono solo paura, una grande continua paura di perire.»</div>
<div style="text-align: justify;">
«Infatti.»</div>
<div style="text-align: justify;">
«Che cosa "infatti"?»</div>
<div style="text-align: justify;">
«<i>Infatti Dio tanto ha amato il mondo che ha dato il suo Figliolo unigenito, affinchè chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna. Ché Dio non ha mandato il suo Figliolo al mondo per condannare il mondo, ma affinchè il mondo sia salvato per opera di lui</i>.»</div>
<div style="text-align: justify;">
Mi alzo. Ne so come prima. Non mi ricordo di chi sia questa casa: se la mia dove lui è venuto o la sua dove io sono andato a bussare. È la stessa cosa, comunque. Quel ch'è certo è che ci siamo parlati di notte. Che di notte ho tentato, per l'ennesima volta, l'imboscata di Nicodemo. Che esco dalla casa dove sono entrato inutilmente e mi ritrovo nel buio della strada, della campagna. E malgrado tutto, sto meglio. Anzi, sono felice; mortificato ma felice. Forse solo perché albeggia, le tenebre - almeno quelle esteriori - si diradano. E ripenso alle sue ultime parole:</div>
<div style="text-align: justify;">
"<i>La luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvage. Veramente, chi fa il male odia la luce e non si accosta ad essa perché non siano condannate le cose che fa. Chi invece fa il bene si accosta alla luce, perché le cose che fa si manifestino come compiute da Dio</i>."</div>
<div style="text-align: justify;">
Allora forse non sono malvagio del tutto. Se l'alba mi piace, mi consola ancora, dopo questa pesante sconfitta, con questa bocca salata di chi non ha chiuso occhio. Sono soltanto Nicodemo. >></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<b>Luigi Santucci</b> </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
cataldo marinohttp://www.blogger.com/profile/07905623932776128758noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4452496996569129856.post-90685863346370398532020-01-31T21:03:00.001+01:002020-01-31T21:03:05.057+01:00Luigi Santucci "Volete andarvene anche voi?", Mondadori 1969<i><br />
</i><br />
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</div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiuvjx4METeSBXZ9oPBpjwQ7PUOy8fbrylHLNDRsM-VImXxiHxeB991nllrEyuGGDPq17kMoZH13yrvs31Al2i7VdDx3yNk_6JKt3a9gME5vfA71Mob7zd_7B44K2WorZb4I3nh8YDunBWf/s1600/Luigi+Santucci.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="720" data-original-width="1280" height="180" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiuvjx4METeSBXZ9oPBpjwQ7PUOy8fbrylHLNDRsM-VImXxiHxeB991nllrEyuGGDPq17kMoZH13yrvs31Al2i7VdDx3yNk_6JKt3a9gME5vfA71Mob7zd_7B44K2WorZb4I3nh8YDunBWf/s320/Luigi+Santucci.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<i><br /></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><br /></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Capita, capita a volte
di comprare un libro e di metterlo presto negli scaffali perché ad una prima
lettura non ci dice nulla. Magari arrivi a pagina 20 e dici ‘non ne vale la
pena’.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Capita però a volte
anche di ripescare quel libro dopo molti decenni, di rileggerne qualche pagina
e accorgersi di aver sbagliato. A me è capitato ultimamente con “Volete
andarvene anche voi?” di Luigi Santucci, comprato negli anni Settanta e
ripescato nel 2020.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Di libri e articoli sulla vita di
Gesù ce ne sono sicuramente decine o centinaia di migliaia. Alcuni cercano di
spiegare e commentare fatti e discorsi del personaggio, altri cercano di
scavare sulla storicità (o sul carattere mitologico) dei vangeli canonici,
gnostici e apocrifi. Alcuni seguono cronologicamente gli eventi esposti nei
testi, altri tentano – spesso invano – di ricavarne una dottrina unitaria, con
coerenza quasi filosofica.</i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Il testo in cui mi
sono imbattuto non ha nulla in comune con tutto ciò. E’ una semplice, ma bella,
riesposizione poetica dei brani più significativi dei vangeli canonici. Mentre
altri si lambiccano il cervello su ciò che è vero o falso, storico o
immaginario, giusto o ingiusto, e si inoltrano negli oscuri meandri
dell’esegesi, Luigi Santucci - sui personaggi, sulle parole e sui fatti narrati
dai quattro evangelisti - costruisce dei piccoli ma suggestivi racconti. Non va
alla ricerca di verità ‘estraendo’ dati, ma ‘aggiungendo’ ciò che il cuore e la
fantasia gli suggeriscono.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Ecco una bella pagina
su Giuseppe. I vangeli dicono poco di lui. Ma è possibile, in base ai pochi
fatti di cui è protagonista, tratteggiarne la figura semplicemente in modo
umano? Santucci ci prova! <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<< Colui che c'interessa è Giuseppe. Giuseppe è casto,
nobile e falegname.<b><o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Casto. All'estuario di tanta fecondità, di tanti concepimenti,
un uomo che non feconda, che non concepisce: un uomo asciutto, la cui pelle
coincide col proprio pudore e le cui mani non hanno toccato che pane, legno,
cuoio, tessuto di vesti e cenere di focolare.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Nobile. Ma a nessuno degli antenati somiglia. La sapienza
di Salomone e l'ardimento di Davide sono colati, per le vene dei secoli, fino a
lui, ma egli li ha stemperati in una candida dimenticanza; e così la lussuria
d'Israele (quella che folgorò anche Salomone, quella che accecò anche Davide,
torva e meridiana), egli l'ha purgata in una verginità ch'è piuttosto
un'infanzia senza tramonto. Invecchierà così dentro quella fanciullezza come
in un involucro trasparente. Entrerà nel premio della vecchiezza regalmente
libero da ogni passione, senza screpolarsi al vento della virilità, sempre con
quel suo medesimo colore un po' anemico che ha la gente di bottega.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Perché Giuseppe è il falegname, è il <i>faber lignarius. </i>E
questo spiega tante cose. Il legno è materia nobile e strana; non è più terra,
e carne non è ancora; è come il latte, che non è sangue ed è già più che acqua.
Il legno è sensibile e casto, e Giuseppe esercitava la sua innocente sensualità
ripassando le palme aperte sulle assi denudate dalla pialla, carezzando gli
spigoli smussati al tornio e respirando dalle narici la fragranza dei trucioli,
quell'odore di fatica che, chiunque s'affacci dalla porta, fa alzar la fronte
sudata nella certezza che entri un amico. Il legno è bontà.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Colui che c'interessa è il falegname Giuseppe, eletto custode
nell'abisso dei cieli. Può custodire proprio perché è trasognato, può vigilare
perché è assorto, può diffidare perché ingenuo, guidare perché inesperto.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
[Ma]…All'uomo più limpido è capitato l'incidente più
scabroso.<b> </b><i>“Maria... essendo
sposata a Giuseppe, prima che fossero venuti a stare insieme si trovò che aveva
concepito...</i><i><span style="font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-size: 11.0pt;">”</span></i><b><o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Tutta la Giudea lapidatrice di adultere ruggisce intorno al
destino di Giuseppe, i polsi di questo giusto martellano, la sua mente è
smarrita. Lo scandalo, lo scandalo beffardo e crudele, in una terra che non sa
compatire e nemmeno sorridere, ma solo condannare.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Giorni tormentosi. La pena di Giuseppe non è il sentirsi
ludibrio d'una città puritana, non è il rancore del tradito né la nostalgia di
chi perde la donna del cuore. È la pena più alta di chi scopre fallibile la
creatura creduta migliore di tutte; un pudore di girar per le strade e una
vergogna dì rimanere in casa; l'affanno di chi vorrebbe perdonare e non gli è
lecito, e si dibatte fra l'orrore di far male a lei e l'arma del ripudio che la
società gli pone imperiosamente fra le mani perché difenda il suo onore.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
…È solo coi suoi legni, nella penombra della bottega dove
tutto sembra immutato, ove corre la pialla e canta la sega mentre il dramma
gonfia nel cuore. E fra i suoi legni Giuseppe trova il buon compromesso:<i> “Però
Giuseppe suo sposo, che era un uomo giusto e non la voleva diffamare,
risolvette di ripudiarla segretamente.</i><i><span style="font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-size: 11.0pt;">”</span></i><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-size: 10.0pt; mso-bidi-font-size: 11.0pt;"><br /></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Giuseppe, come le anime caste, sogna molto. I sogni di
queste creature diafane sono simili a una rugiada che benefica durante la notte
e soltanto il sole del mezzogiorno farà sparire del tutto. […]<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Giuseppe sogna sempre, e appena prende sonno il suo respiro
ha la cadenza di un passo in contrade misteriose dove l'operaio è atteso ogni
notte, a vedere e udire. In queste notti invece ha sul petto un macigno, è un
dormire cattivo fra lagrime e smanie.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Ma ecco che per la benevolenza di un amico notturno
l'affanno si cambia in gioia, l'incubo si scioglie nella felicità che solo ci
può dare una condanna revocata, una ricchezza perduta e restituitaci intatta. “<i>Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con
te la tua sposa Maria; perché quello che è nato in lei è opera dello Spirito
Santo.”</i> </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Dunque sei pura: posso portarti nella mia casa.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
…Invece addio Giuseppe, ingenuo fidanzato di Galilea: addio
al tuo sogno d'amore. Nel giubilo di quella notizia celeste ti sono rimaste
oscure le parole aggiunte dall'angelo: “... <i>darà alla luce un figlio... egli
salverà il popolo dai suoi peccati”.</i><b><o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Tutta la tua vita da oggi sarà un lungo tacere, un lento
capire l'enigma di questa frase. Capire il senso della tua dura
predestinazione: su chi avevi alzato gli occhi di giovane popolano; con che
cosa sono state barattate le nozze che avevi sperato serene e oscure; chi ti è
entrato in casa... Capire la tua sposa, capire tuo figlio, capire te, Giuseppe,
che sarai - tu - il nostro primo santo.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Da questo momento non sapremo più niente di te. Ancora
poche pagine e non ti nomineranno più, il Vangelo ti ingoia. Intravvederemo
solo le tue mani sulla pialla, udremo il morso ovattato della tua sega, per un
numero d'anni che nessuno conosce. Poi ti ritroveremo sugli altari delle
chiese, nei quadri a capo del letto, nelle immagini dei devoti, canuto e
rugoso, come se davvero fossi stato sempre un vecchio; a noi piace dimenticare
che fosti, vicino a Maria, un giovane bello e forte: un giovane innamorato.
>><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
* * *<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>I miracoli narrati nei
vangeli sono tanti. Sono credibili o si tratta di ‘strumenti’ mediante i quali venne
costruita una nuova religione, da accostare o contrapporre a quella del
Pentateuco?<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Alla veridicità dei
miracoli Santucci non vuole fornire alcuna prova, né a favore né contro. Vuole
– come poeta o forse come psicologo – dimostrare la necessità umana di sperare nei
miracoli. Ed ecco un’altra sua bella pagina, dalla quale spero emergano le grandi
qualità di uno scrittore ingiustamente tenuto in ombra.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<< Non c'è niente di così estraneo, inesplicabile ed
insopportabile per l'uomo quanto la natura che lo fascia con le sue leggi, la
causalità torpida e massiccia che c'imprigiona in ogni istante, che fa cadere
il sasso lasciato dalla mano, fermare il cuore di chi amiamo solo perché questa
macchina di carne si è rotta in qualcuno dei suoi stupidi ordigni.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Non è vero che il mondo è già tutto un miracolo — la luna
che spunta, il seme che si fa pianta, la formica che ammassa le provviste per
l'inverno. Ciò alcuni dicono per un gretto puntiglio, per un empio equivoco e
mentiscono. Questo mondo è meraviglioso ma non fa ancora per noi. Noi siamo
nati per un mondo dove le formiche parlino, il seme di magnolia faccia nascere
gazzelle, la luna cada nel pozzo come nelle metafore dei poeti.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Non c'è un uomo, fra tutti quelli che respirano in questo
momento sotto il cielo, che non abbia il miracolo da chiedere, che non aneli un
miracolo. Oggi più che mai noi moriamo di questa sete. Nel nostro tempo riddano
a migliaia i prodigi della scienza. Ognuno di essi, più è complicato e
strabiliante, più ribadisce in noi l'umiliazione che non sappiamo fare
miracoli, solo ricamare abilmente i fili di questa maglia di leggi con cui la
natura c'irretisce. Guidiamo cascate gigantesche, ma non possiamo far cadere
una sola goccia di pioggia; sentiamo le voci di chi ci parla dalla luna, ma non
percepiamo la voce dei nostri morti che ci toccano mentre ci crediamo soli.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Ogni miracolo dell'uomo sta chiuso e spiegato in una bobina
cilindrica, in una provetta di vetro; ma nelle favole della nostra infanzia non
c'erano bobine, non c'erano provette: il ranocchio si trasformava nel
bellissimo principe solo perché la reginotta si chinava a baciarlo. Così anche
l'uomo che ha tutto invoca il miracolo perché il miracolo, prima di un soccorso
benefico, prima di un dono utile e risolutivo contro la pena, è l'ebbrezza dell'infanzia
che torna a incantarci, la rivincita di quella prima saggezza innocente sulla
bugiarda sapienza di poi. È la bandiera della patria che sventola in terra
straniera sulla pietraia dei giorni non nostri, con dipinto il castello dove
siamo nati per miracolo.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Il Vangelo è il campo dei miracoli. Non passa quasi giorno
di quei mille che vanno da Nazaret al calvario, non si volta quasi pagina senza
che il frullo di questo evento terribile vibri sulle sventure degli uomini che
conobbero Gesù e lo supplicarono. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Pure, una cosa appare subito chiara: che dei
miracoli Cristo fu nemico. <i>“O generazione
malvagia e adultera, se non vedete prodigi voi non credete...”.</i> Quale più
quale meno, tutti i miracoli gli sono estorti, ora strappati alla sua pietà ora
carpiti alla sua condiscendenza, perfino rubati con l'astuzia. E ogni volta che
uno ne concede noi sappiamo che quel cieco che apre gli occhi, quello storpio
che getta le grucce, quel morto che risuscita non è il vero miracolo se non per
noi. Per lui il miracolo è l'altro, quello che dovrebbe sgorgare di
conseguenza, per ottenere il quale ha ceduto a farsi stregone e che invece gli
riesce solo raramente: la fede. <i>"Perché
voi crediate... io dico a te, levati, prendi il tuo lettuccio..."
"Credete che io possa fare questo? Vi sia fatto conforme alla vostra
fede" "Se puoi credere, ogni cosa è possibile a chi crede"
"Alzati, va', la tua fede ti ha salvato". >></i><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>[…]<o:p></o:p></i></div>
<div style="text-align: justify;">
<i>
</i></div>
cataldo marinohttp://www.blogger.com/profile/07905623932776128758noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4452496996569129856.post-22029589200245807622019-11-18T19:56:00.000+01:002019-11-21T21:00:03.943+01:00Charles L. Allen e i comandamenti<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEib0ufxiZ9cgf5vZZ9R6YqDIwmWsym5AX2tjjT_dDqjutgmOkeTxfPbHHkhz1sTlozSf2bbpx2ibPuE2bE8XfeZQV9W6DvDa5z1UWJWEJlBgi7UWh9d8oB2Vv_ITKDixZVmUB6LkaMQvh5u/s1600/God%2527s+Psychiatry.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="300" data-original-width="225" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEib0ufxiZ9cgf5vZZ9R6YqDIwmWsym5AX2tjjT_dDqjutgmOkeTxfPbHHkhz1sTlozSf2bbpx2ibPuE2bE8XfeZQV9W6DvDa5z1UWJWEJlBgi7UWh9d8oB2Vv_ITKDixZVmUB6LkaMQvh5u/s200/God%2527s+Psychiatry.jpg" width="150" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Nel 1971, a Roma, ascolto per la prima volta “La buona novella” di Fabrizio De Andrè e… mi commuovo. Mentre ascoltiamo in religioso silenzio, si commuovono anche la mia compagna e due care amiche. A questo nostro comune sentimento pone fine solo il coro del “Laudate hominem” che, dalla storia di una vita umana tormentata, ci riporta al sacro. </div>
<div style="text-align: justify;">
Giuseppe, Maria e Gesù rivivono fra gli strumenti antichi e la voce vellutata di Fabrizio. Quell’atmosfera fiabesca persiste ancora oggi nella mia memoria, leggermente turbata solo da un brano, “Il testamento di Tito”, perché in quel brano la fiaba devìa bruscamente verso un tono quasi intellettualistico: il controcanto sistematico di Tito - uno dei due ladroni crocefissi insieme a Gesù - ai comandamenti ebraici, i quali vengono demoliti uno per uno, sia pur col nobile intento di Fabrizio di esaltare infine la specificità del messaggio cristiano: “<i>Io nel vedere quest'uomo che muore, madre, io provo dolore. Nella pietà che non cede al rancore, madre, ho imparato l'amore</i>”.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Passano quasi cinquant’anni e trovo sul web un libro scritto nel 1953 da un pastore americano metodista, Charles L. Allen. Subito lo salvo, lo stampo e lo leggo per via del titolo “La Psichiatria di Dio” (God’s Psychiatry). Pur non frequentando alcuna organizzazione religiosa, sono attirato dal libro per il mio interesse verso la psichiatria e la religione, che qui trovo accostate in modo originale. Il libro è diviso in quattro capitoli, che hanno il tono di quattro lunghi sermoni aventi per oggetto: il Salmo 23, i comandamenti così come esposti in Esodo, la preghiera del ‘Padre nostro’ e, infine, le Beatitudini. </div>
<div style="text-align: justify;">
Non penso che i principi religiosi dei Protestanti siano migliori di quelli Cattolici o ortodossi, ma devo dire che il linguaggio chiaro e coinvolgente dei primi mi affascina più degli altri. Perciò leggo e rileggo tutto con attenzione, in particolare il capitolo sui comandamenti che inizia con questa suggestiva… visione:</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<< <i>Poco dopo aver liberato i figliuoli d'Israele dalla schiavitù in Egitto e iniziato il viaggio verso la terra promessa, Mosè fu chiamato da Dio sul monte Sinai. Lassù deve avergli detto qualcosa di simile a questo: “Mosè, la tua gente è ora in marcia verso la prosperità. La terra che vi ho promessa è ricca e fertile e il frutto sarà molto più abbondante di quanto non abbiate bisogno. Quello è infatti il paese ove scorre il latte e il miele. Ma, Mosè, la gente non è felice e soddisfatta col solo possesso di beni. Il modo di vivere è molto più importante di quello che si ha. Per questo sto per darti alcune regole di vita. Voglio che tu insegni queste regole al popolo. Se vivranno secondo queste regole, io prometto di benedirli, ma, attento, se violeranno queste leggi saranno penalizzati molto severamente. Un'altra cosa, Mosè: queste regole di vita sono per tutte le genti di tutti i tempi. Non saranno mai fuori moda, non potranno mai essere abrogate o modificate.</i>” >></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<b>Il primo comandamento</b><br />
<b><br /></b>
Spero di poter fare in seguito un breve un raffronto fra le ‘accuse’ di Tito e la ‘difesa’ del dott. Allen agli altri comandamenti, iniziando ora dal primo: << [3] <i>Non avrai altro Dio all'infuori di me. [4] Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. [5] Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. […]</i> >> ( Esodo 20 ).</div>
<div style="text-align: justify;">
Ebrei e chiese evangeliche dividono questi versetti in due comandamenti: - il riconoscimento di un unico dio; - la proibizione di farsi immagini di idoli e di prostrarsi ad essi.<br />
I cattolici, invece, forse per dare più ampio spazio all’iconografia che caratterizza la loro storia, mettendo in ombra i versetti 4 e 5, vi ravvedono un solo divieto ("Non avrai altro dio...). <br />
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Avverrà il contrario per il versetto 17 << <i>Non desiderare la casa del tuo prossimo. Non desiderare la moglie del tuo prossimo [...] nè alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo</i> >>). Qui i cattolici distinguono nettamente la concupiscenza verso le mogli degli altri da quella verso i beni economici altrui, mentre sono le chiese evangeliche a farne, credo giustamente, un unico divieto. </div>
<div style="text-align: justify;">
Accettando per i primi tre versetti l’interpretazione dei cattolici e per il versetto 17 l'interpretazione degli evangelici, i comandamenti non sarebbero però dieci ma nove.<br />
Accettando per i primi tre versetti l'interpretazione degli evangelici e per il versetto 17 l'interpretazione dei cattolici, i comandamenti sarebbero invece undici.<br />
Strano ma vero, perchè tanto i cattolici quanto gli evangelici al numero dieci tengono molto! Il sistema decimale su di esso si fonda!</div>
<div style="text-align: justify;">
<br />
Ma torniamo al confronto fra le disperate contestazioni suggerite da De Andrè al ladrone crocefisso e le ispirate argomentazioni di Allen.</div>
<div style="text-align: justify;">
Per De Andrè non c’è alcuna differenza fra il dio del mondo cristiano e il dio di altri popoli: "<i>Non avrai altro Dio all'infuori di me, spesso mi ha fatto pensare: genti diverse venute dall'est dicevan che in fondo era uguale. Credevano a un altro diverso da te e non mi hanno fatto del male.</i>”</div>
<div style="text-align: justify;">
Trattandosi di testi poetici, De Andrè non poteva soffermarsi sui diversi aspetti dei comandamenti e si è limitato, in questo caso, alla necessità di combattere le discriminazioni religiose e le guerre che ne conseguono. Nel suo lungo sermone invece Allen ha avuto modo di mettere in evidenza il fatto che a fare da contraltare al dio degli ebrei non ci sono solo i totem, gli dei del politeismo antico e il dio del fondamentalismo islamico, ma anche qualcosa che produciamo all’interno del mondo occidentale, generato dalle stesse chiese cristiane e dal sistema economico capitalistico. </div>
<div style="text-align: justify;">
Allen denuncia l’idolatria per cinque ‘valori’, presenti da secoli nella società occidentale ma oggi assolutamente dilaganti e inarrestabili: la ricchezza, la fama, il piacere, il potere e il sapere. Quanti uomini e donne europee e americane sono guidati da sani principi spirituali e quanti quelli che invece, deificando uno o più di questi cinque valori, ne hanno fatto il fine o i fini ultimi della propria vita? </div>
<div style="text-align: justify;">
Dal punto di vista sociologico, e ricordando al riguardo qualche bella pagina di Eric Fromm, non posso non dar ragione al reverendo, il quale, dopo la simpatica e ‘immaginifica’ introduzione di Mosè a tutti i comandamenti, dieci o nove che siano, passa al commento del primo comandamento, mettendo in luce i moderni pericoli di idolatria:</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<< <i>A Vicksburg, nello stato del Mississippi, un ingegnere mi mostrò un canale quasi secco e mi disse che una volta un braccio del grande fiume Mississippi scorreva lì, ma il suo corso era stato spostato scavando un canale. Il corso del braccio del fiume non poteva essere fermato, ma poteva essere deviato. Così è per quando riguarda il nostro adorare Dio. </i><br />
<i> Senza un oggetto di adorazione l'uomo è incompiuto. Lo struggimento della sua anima deve essere soddisfatto. Ma può accadere che l'uomo smetta di adorare Dio per farsene un altro. C'è stata gente che ha adorato il sole o una stella o un monte. In alcuni paesi la gente adora una mucca o un fiume o qualcos'altro. Noi pensiamo che questi popoli siano primitivi. E lo sono, ma non più di quanto non lo siano moltitudini di persone in quel paese illuminato che chiamiamo America. […] </i><br />
<i>Ci sono almeno cinque oggetti di adorazione che moltitudini di persone hanno oggi "nel cospetto" di Dio: ricchezza, fama, piacere, potere, sapere. </i><br />
<i><u>La ricchezza</u>. Per quanto molti di noi non pensino di diventare mai veramente ricchi, non siamo però mai soddisfatti di quello che possiamo ragionevolmente arrivare ad avere. Forse è una cosa buona, eccetto quando questa smania ci fa deviare dalla nostra ricerca di Dio. Può capitare che diventi così interessato a quello che ho, da dimenticare i bisogni della mia anima. </i><br />
<i><u>La fama.</u> Molti di noi non si aspettano certo di diventare famosi, eppure c'è il bambino che dice: "Guardate che salto alto che faccio", oppure: "Guardate come corro bene". Fin dalla nascita portiamo con noi il desiderio di essere notati. Non c'è nulla di male, Dio ha dato a ciascuno di noi un'identità separata e desideriamo essere notati. Come pastore ho parlato con molte persone la cui vita è un naufragio e non conoscono felicità solo perchè non hanno ricevuto l'attenzione che desideravano. Ci sono persone che si offendono moltissimo per un nonnulla. In America si spende più denaro per cosmetici di quanto non se ne spenda per l'avanzamento del Regno di Dio. Non c'è nulla di male a desiderare di avere un bell'aspetto. Ma c'è tutto il male quando il desiderio di mettersi in mostra diventa il nostro primo desiderio, e così il nostro dio. </i><br />
<i><u>Il piacere.</u> Tutti gli uomini desiderano essere felici, ma si commette errore pensando che il piacere è il mezzo per ottenere la felicità. Col piacere si dimentica la monotonia della vita di tutti i giorni, ma non si soddisfa l'anima. Il piacere è come la droga; per avere più eccitazioni, più emozioni, più sensazioni, è necessario aumentare sempre di più la dose, finchè ci si trova a brancolare fra le tombe delle nostre passioni ormai morte. […] </i><br />
<i><u>Il Potere e il Sapere</u>. Nel potere e nel sapere non c'è nulla di male. In America l'energia elettrica a disposizione di ciascun cittadino è equivalente all'energia prodotta da 150 schiavi. Ma quando il potere viene ricercato per se stesso, quando il potere viene adorato, trasforma le persone in tanti piccoli Hitler. Il sapere di per sè è cosa buona, ma l'adorazione del sapere distrugge l'obbedienza, proprio come l'adorazione del potere distrugge il carattere.</i> >></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Sul ‘potere’ si poteva dire certamente qualcosa di più e sul ‘sapere’ c’è forse molto da obiettare. Qui il dott. Allen… ha tagliato corto, troppo corto! Nessuno è perfetto.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
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Note:</div>
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1) Charles Livingstone Allen (1915-2005) fu un importante ministro metodista unito che servì come pastore della Grace Methodist Church ad Atlanta dal 1948 al 1960 e come pastore della First United Methodist Church a Houston, in Texas, dal 1960 al 1983. Le sue colonne nell'Atlanta Journal e sulla Houston Chronicle, il suo ministero radiotelevisivo e i suoi numerosi libri gli hanno portato il riconoscimento nazionale.</div>
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Cresciuto in una devota casa metodista, seguì suo padre nel ministero e fu educato al Young Harris College (1930-32), al Wofford College di Spartanburg nella Carolina del Sud (1932-34) e alla Candler School of Theology alla Emory University di Atlanta (1933-37). </div>
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I suoi articoli furono un preludio alla rubrica che scrisse per l'Atlanta Journal, a partire dal 1949. Alla Grace Methodist Church di Atlanta, una trasmissione radiofonica fu avviata nel 1949, e WSB iniziò a trasmettere i suoi servizi domenicali nel 1951. Alla First United Methodist Church di Houston, il suo ministero radiofonico e le sue apparizioni televisive continuarono fino al 1983. "Radiant Living" era il titolo della sua rubrica su Houston Chronicle.</div>
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Roads to Radiant Living (1951), il suo primo libro, fu seguito da God’s Psychiatry (1953), che divenne un best-seller, e poi da The Touch of the Master's Hand (1956), All Things Are Possible Through Prayer (1958), The Miracle of Love (1972) e Meet the Methodists (1986) </div>
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2) Chi volesse leggere “La psichiatria di Dio” di C. Allen può trovare il libro alla pagina:</div>
<a href="https://esteri.uilpa.it/attachments/article/2/la_psichiatria_di_Dio.pdf">https://esteri.uilpa.it/attachments/article/2/la_psichiatria_di_Dio.pdf </a><br />
<br />cataldo marinohttp://www.blogger.com/profile/07905623932776128758noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4452496996569129856.post-47862208195631427992019-09-27T19:44:00.000+02:002019-09-27T19:44:32.048+02:00Giampiero Calabrò, “L’alba del nuovo ordine – Temi rapsodici sul medioevo giuridico: fatti e valori”<div style="text-align: justify;">
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgEusT-pL-675LYgBQde7myz89tBH5LXTpq3IEV2RzG-LEfWQkQYyVopQpL82GAWvlTxvTM4gSaRUlYaOAf8SxPvsXhRerg1tVVebyI9bBe8k9N4bAqUtiPLuNGAvs-AnVMwkF-FbLE8hIA/s1600/Foto+Giampiero.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="746" data-original-width="750" height="316" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgEusT-pL-675LYgBQde7myz89tBH5LXTpq3IEV2RzG-LEfWQkQYyVopQpL82GAWvlTxvTM4gSaRUlYaOAf8SxPvsXhRerg1tVVebyI9bBe8k9N4bAqUtiPLuNGAvs-AnVMwkF-FbLE8hIA/s320/Foto+Giampiero.jpg" width="320" /></a></div>
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Del suo più recente lavoro il Prof. Giampiero Calabrò dice che è breve, che ha carattere ‘rapsodico’ e che potrebbe anche essere l’ultima sua fatica accademica. </div>
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Forse perché, come diceva la mia severa suocera, io sono un po' bastian contrario, ma più probabilmente perché conosco bene l’Autore, come persona oltre che come pensatore, mi permetto di muovere rispettosamente qualche lieve obiezione a tutte e tre le asserzioni.</div>
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Circa la brevità, dirò che il Vangelo di Matteo e il Manifesto di Marx, sono molto più brevi. Di fronte a certi temi scolastici, i vecchi prof talvolta rimproveravano l’alunno di aver ‘allungato troppo il brodo’. E avevano ragione a usare questa metafora: un libro, come il brodo, può essere ristretto e saporoso oppure lungo e insipido.</div>
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Sul carattere rapsodico del saggio, dirò che, per quanto io ne sappia, nulla è più lontano dalle ‘corde’ dell’Autore. So che fin dall’adolescenza ha sempre avuto una inguaribile e ossessiva tendenza a spaccare il capello in quattro, ad analizzare il tutto per poi poterlo ricomporre in 'ordine sistematico'.</div>
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Che questa poi possa essere l’ultima sua fatica, mi azzardo a profetizzare che – dopo un breve riposo dalla scrittura, impreziosito probabilmente dalle moine delle nipotine – fra un mese o due, mentre cenerà o passeggerà per le strade di Rossano o Passignano o si sdraierà per un breve pisolino, non potrà fare a meno di pensare, e dunque di ritessere nuove trame filosofiche e di scrivere altre e altre pagine ancora.</div>
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“L’alba del nuovo ordine” ha per oggetto le riflessioni filosofiche e giuridiche relative a un arco di tempo abbastanza preciso, dalla fine del 1200 (Tommaso d’Aquino) alla prima metà del 1300 (Guglielmo d’Ockham), con l’intento di proiettare luci e ombre di quel mezzo secolo – o, se vogliamo, ‘secolo di mezzo’ – sulle problematiche giuridiche che, quasi in movimento circolare, tornano a occuparci e preoccuparci nei tempi attuali.</div>
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Luci e ombre, occupazioni e preoccupazioni, dicevo, perché sia in Tommaso che in Guglielmo, come pure in tutti gli autori coevi citati dall’Autore, il saggio trova il filo conduttore che sempre li unisce pur in una apparente discontinuità. E, di ciascuno di essi, segnala il contributo evolutivo e i limiti.</div>
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Il pregio più importante di questa ricerca va dunque visto innanzitutto nella rivalutazione di un periodo storico ingiustamente messo in ombra dal pensiero successivo. E non è il caso di sottolineare ciò che è noto anche al liceale meno brillante: a iniziare dal Rinascimento, empirismo e razionalismo, criticismo e illuminismo, positivismo e materialismo, anche se ognuno a modo proprio, si sono tutti collegati alla filosofia greca e al diritto romano, saltando a piè pari il pensiero medioevale.</div>
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Giampiero Calabrò è uno di quegli studiosi che questo pensiero vogliono riportare alla luce. Perché non meritano l’oblio né l’opera sistematica di Tommaso d’Aquino, né tanto meno gli scossoni antintellettualistici del francescanesimo, né tutti quegli autori che - partendo da Francesco d’Assisi e Jacopone da Todi, terre d’elezione spirituale dell’Autore – ne hanno affinato gli strumenti intellettuali: Duns Scoto (1265–1308), Bartolo da Sassoferrato (1314–1357), Marsilio da Padova (1275–1342, col suo <i>Defensor Pacis</i> del 1324) e infine Guglielmo d’Ockham (1288–1347). Tre filosofi e un giurista che, nel tentativo di superamento del tomismo, vanno alla ricerca di un nuovo mondo di valori, quello dei ‘diritti soggettivi’.</div>
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Arrivati a Guglielmo d’Ockham, sembra che il problema sia felicemente risolto, e invece, giunti alle ultime pagine, il saggio ne paventa i rischi:</div>
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<< <i>Le nozioni di <b>sicurezza</b> e <b>ordine</b> hanno segnato nel loro significato assiologico il progresso giuridico dell’Occidente fino a quando […] siamo entrati ufficialmente nel secolo dell’insicurezza.
Mentre scrivo, il dibattito politico si è riacceso su questi temi e viene vissuto, com’è forse fisiologico, secondo le divisioni proprie del discorso ideologico e acritico. D'altronde la stessa giurisprudenza e l'azione repressiva dell'ordine giudiziario oscillano in un giuoco pirotecnico di disposizioni e di interpretazione, che lasciano sconcerto ed aumentano il senso di insicurezza e di paura. Il ritorno alla fattualità, alle radici identitarie del territorio e del sangue conducono ad una condizione pre-moderna e alimentano i fantasmi inquietanti di un passato, che ogni volta si presenta sotto "velate" spoglie. In questo quadro prende corpo una visione c.d. assiologica dell'ordine e della nozione di sicurezza, a condizione che allorché si parli di valori, non si dimentichi che essi, una volta incardinati nella carta costituzionale, siano da considerarsi norme positive assiologicamente orientate.</i> >> (pagg. 131-132)</div>
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Che avesse ragione l’Aquinate?</div>
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Nota. </div>
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L’autore, in alcuni spunti autobiografici, accenna al suo lavoro come racconto "<i>senza alcuna pretesa rigorosamente scientifica [che] si muove ad un livello meramente didattico</i>" (pag. 81). Evidentemente, rispetto ai suoi precedenti e numerosi saggi, questo è stato forse scritto con spirito più libero e sereno, ma io ho l’obbligo di avvertire il lettore che si tratta comunque di pagine asciutte e dense, che richiedono e meritano una o più attente letture e successive meditazioni.</div>
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Il mondo accademico ne sarà arricchito. I libri più belli dei miei studi universitari sono quelli che ho dovuto leggere due o più volte! </div>
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<i> </i></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjip6RE-U0PFlCL1BVn_q8JI6F9fP1CyGRN3CpHXmAWIYTEF9kUXBa58NkxOT1C6f97nWp7eVSaW3i6MKqEYzTTXn-ZRc3gAJeQlkdYnRhDGCSvOqC2k3yLmP7r06M1vCIHfFVANeKBJgvA/s1600/Copertina.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="968" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjip6RE-U0PFlCL1BVn_q8JI6F9fP1CyGRN3CpHXmAWIYTEF9kUXBa58NkxOT1C6f97nWp7eVSaW3i6MKqEYzTTXn-ZRc3gAJeQlkdYnRhDGCSvOqC2k3yLmP7r06M1vCIHfFVANeKBJgvA/s320/Copertina.jpg" width="193" /></a></div>
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<br />cataldo marinohttp://www.blogger.com/profile/07905623932776128758noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4452496996569129856.post-73324875162174796612019-07-28T20:08:00.000+02:002019-07-28T20:51:52.344+02:00L’ape regina, 1963, con Ugo Tognazzi e Marina Vlady<div style="text-align: justify;">
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiORW_SAVsa7K7c1wJEYADAl3pD32aVNtMTisHTws0pGQlJYRbeUW8B-niRCq5KJVlvsmC9UVQIPr62UuUSk335ItO3F_F-sIR3zabBq9LJdqK3b-zHWjGqWFg8gmYwJBAeNT2cEt9ocuyW/s1600/1.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="384" data-original-width="640" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiORW_SAVsa7K7c1wJEYADAl3pD32aVNtMTisHTws0pGQlJYRbeUW8B-niRCq5KJVlvsmC9UVQIPr62UuUSk335ItO3F_F-sIR3zabBq9LJdqK3b-zHWjGqWFg8gmYwJBAeNT2cEt9ocuyW/s400/1.png" width="400" /></a></div>
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I motivi per cui ci si sposa sono tantissimi: impossibile una <i>reductio ad unum</i>. Amore e matrimonio sono i soggetti più frequenti nella letteratura, nella cinematografia, nello squallore televisivo e in quello della cronaca rosa e nera. In ogni settore e in ogni autore, c’è una versione diversa, spesso una diversa miscela delle varie componenti del sentimento amoroso e del vincolo matrimoniale. C’è la componente biologica (procreare), quella sessuale (pulsioni libidiche), quella psicologica (combattere la solitudine), quella economica (piccole economie di scala), quella sociologica (la marginalità sociale dei o delle <i>single</i>) e per qualcuno quella religiosa (che stranamente coincide con quella biologica: la procreazione).</div>
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Nel film di Marco Ferreri del ’63, <i>L’ape regina</i>, a prevalere è la prima; tutte le altre sembrano essere solo sussidiarie.</div>
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Per essere coerente con la mia impostazione culturale, dovrei rifiutare a primo acchito questa visione. Eppure, guardando e riguardando più volte con attenzione questo magnifico film, me ne lascio quasi sempre catturare. Forse è perché per dieci anni ho avuto in casa una cagnolina dal cui comportamento ho imparato diverse cose.</div>
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Da quando Pallina – questo era il nome della mia adorata piccola amica – cominciò ad avere l’estro venereo, mi era difficile portarla a spasso perché davanti al portone di casa si riunivano tutti i maschi randagi del quartiere, che avvertivano il suo stato attraverso gli odori fin dal quinto piano dove abito e l’aspettavano al varco. La cosa mi stupì molto, perché in precedenza non avevo avuto alcuna esperienza con gli amici e le amiche a quattro zampe. Ma a stupirmi non fu solo l’interesse dei maschiacci, quanto il fatto che, in quei giorni particolari dell’estro, e solo in quelli, anche Pallina, anziché abbaiare come al solito per difendere il suo territorio, tirava dal collare in direzione dei maschietti.</div>
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Infastiditi della cosa (per sottrarla a indesiderate gravidanze, ad ogni uscita bisognava tenerla in braccio) in famiglia abbiamo deciso, anche se con un certo senso di colpa, di farla sterilizzare. Dopo l’intervento nessun randagio si fece più vedere sotto casa e ad ogni incontro occasionale Pallina ricominciò a pensare solo alla difesa del territorio. Non era dunque la libido a fomentare i desideri ma l’istinto di paternità e maternità.</div>
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Facile dire che tutto ciò non ha alcun rilievo per gli esseri umani: ci sono la parola, l’educazione, gli studi, le norme sociali, i calcoli di convenienza ecc. E chi può metterlo in dubbio? </div>
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Eppure credo che nelle storie d’amore e nella vita coniugale qualcosa di primitivo sia rimasto anche nella specie più evoluta. E anche il film di Ferreri – nonostante l’incomprensibile censura da parte delle autorità ecclesiastiche dell’epoca – proprio questo voleva sottolineare. Questa è almeno la mia interpretazione. </div>
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Vediamone i passaggi fondamentali per verificare se ciò è vero.</div>
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Alfonso è un benestante commerciante di Parma, proprietario insieme al suo amico X di una concessionaria di automobili. Ha quaranta anni e, dopo aver fatto il <i>tombeur de femmes</i> per lunghi anni, decide di sposare Regina, una ragazza bella e di buona famiglia. </div>
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Regina ha avuto una severa educazione religiosa e fino al matrimonio resterà perciò illibata; per Alfonso solo parole dolci, carezze e qualche casto bacetto. Ma in materia lei cambierà imprevedibilmente e repentinamente subito dopo il giorno del matrimonio: vuole rapporti molto intensi e frequenti.</div>
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Di ciò, nei primi mesi, Alfonso era felice e orgoglioso, ma quando le avances di Regina diventano quasi ossessive, lui non ce la fa più fisicamente e psicologicamente. Prova a sottrarsi con l’alibi dell’eccessivo lavoro, ma lei lo insegue persino a tarda sera nell'ufficio della concessionaria, dove lui fa finta di lavorare. E anche lì, sul divano (<i>vedi foto</i>), non può deludere le forti aspettative della moglie.</div>
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Il comportamento di Regina cambia però improvvisamente per la seconda volta non appena si accorge di essere incinta. Adesso aspetta un bambino, frutto dei suoi focosi amplessi, e per lei i rapporti sessuali cessano di avere ogni interesse.</div>
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Deluso da questa nuova svolta, Alfonso cade in depressione, si ammala e muore. Ma in casa si festeggia la nascita del ‘nuovo Alfonso’, e Regina, oltre che mamma, diventerà una ottima amministratrice della concessionaria! Morto un fuco, se ne fa un altro!</div>
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Il film del 1963 – ottima annata per Italia e Francia - è interpretato da Ugo Tognazzi, sulla cui bravura è superfluo spendere qualunque parola, e da una brava e bellissima Marina Vlady. Premiato, il primo, col Nastro d’Argento nel 1964 come migliore attore protagonista e la seconda al XVI Festival di Cannes per la migliore interpretazione femminile.</div>
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Ho una copia quasi perfetta del film su CD. Ho provato a caricarlo su YouTube ma è stato bloccato per violazione del copyright. La cosa mi ha fatto molto arrabbiare perché, a 56 anni di distanza dalla sua produzione, credo che il film possa essere difficilmente sfruttato (i gusti del pubblico giovanile sono troppo cambiati e i film di qualità, soprattutto in bianco e nero, possono al massimo ottenere qualche raro passaggio sulle tv). Ma sono ancora più deluso dalla sciocca rivendicazione del copyright, perché la libera condivisione delle opere culturali è, a mio avviso, a fondamento di una società civile. “Tenetevi pure case, terreni e fabbriche – direi a coloro che oggi coi loro mezzi finanziari stanno conquistando l’economia e condizionando la politica – ma almeno fate circolare le idee!”</div>
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Tuttavia, se su YouTube ci sono strumenti sofisticatissimi per bloccare la libera circolazione dei video, non altrettanto avviene per canali informatici di secondo piano. Lì ho trovato un discreto video del film di cui ho parlato (diviso in primo e secondo tempo) e poi tramite Google ho trovato il PDF di un libro edito nello stesso anno, che dopo una esposizione ampia dei temi trattati nel film (60 pagine) ne riporta la sceneggiatura integrale (senza tagli dovuti alla parziale censura cui il film fu sottoposto) e una serie di fotogrammi. </div>
<div style="text-align: justify;">
Per gli amici interessati riporto qui di seguito i link:</div>
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<span style="color: black;"><a href="https://www.dailymotion.com/video/x6fgfm7">https://www.dailymotion.com/video/x6fgfm7</a> <a href="https://www.dailymotion.com/video/x6fgfm7%20(1%C2%B0%20tempo)"><span style="color: black;">(1° tempo)</span></a></span><br />
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<span style="color: black;"><a href="https://www.dailymotion.com/video/x6fg8nf">https://www.dailymotion.com/video/x6fg8nf</a> <a href="https://www.dailymotion.com/video/x6fg8nf%20(2%C2%B0%20tempo)"><span style="color: black;">(2° tempo)</span></a></span><br />
<br />
<a href="https://it.scribd.com/doc/210006534/Matrimonio-in-Bianco-e-Nero-l-Ape-Regina-pdf">https://it.scribd.com/doc/210006534/Matrimonio-in-Bianco-e-Nero-l-Ape-Regina-pdf</a> (sceneggiatura)<br />
Per scaricare il pdf è necessario iscriversi a www.scribd.com. Se ciò fosse difficoltoso o sgradito lo si può chiedere al mio indirizzo email presente sul blog.<br />
<br />cataldo marinohttp://www.blogger.com/profile/07905623932776128758noreply@blogger.com