domenica 30 dicembre 2012

2013: La battaglia dell'IMU

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Mentre tutti sono in attesa di sapere con esattezza in quale modo il prof. Monti parteciperà alle elezioni del 24 febbraio alla guida dei partiti di centro (UDC, FLI e nuovi raggruppamenti che a lui si richiamano esplicitamente), il candidato premier della destra - d’ora in avanti identificato, come nel nostro più famoso romanzo, col termine “Innominato” a causa del disgusto che larghe fasce della popolazione europea provano per il suo ben noto nome - si prepara ad affrontare la campagna elettorale con i suoi due argomenti forti: l’anticomunismo e l’abolizione dell’Imposta Municipale Unica (IMU).

Sul primo dei due argomenti c’è poco da dire. Lo si potrebbe archiviare facilmente come ‘donchisciottesco’ se non fosse per il fatto che, mentre l’eroe del Cervantes è ispirato da nobili intenti, il nostro impenitente ‘Innominato’ è persona moralmente fragile, essendo attratto unicamente dal denaro e dalle donnine. Donchisciottesco perché in Italia e nel mondo intero in questa fase storica, purtroppo, di comunisti se ne vedono ben pochi. Nella Russia del suo amico Putin ormai da vent’anni i bei vestiti e gli i-phone hanno sostituito l’industria pesante ed i servizi pubblici; in Cina si lavora per un pugno di riso; l’isoletta di Cuba potrà rimanere l’ultimo baluardo di quegli ideali solo fino a quando l’eroico Fidel sarà in grado di apparire in pubblico; nella vecchia Europa i partiti comunisti sono al 2% e in Italia sono rimasti solo Ferrero, Diliberto, Giulietto Chiesa e qualche miglia di intellettuali, che sono come piccole braci sommerse da montagne di cenere. Questo primo argomento è dunque privo di qualsiasi fondamento. A meno che non si voglia impropriamente dare del comunista a quella socialdemocrazia che ha guidato costantemente per molti decenni i paesi scandinavi e, con vicende alterne, l’Inghilterra di Blair, la Francia di Mitterrand, gli Stati Uniti di Clinton e Obama e l’Italia di Prodi. Passiamo dunque al secondo argomento: l’IMU.

L’Innominato è contro le tasse, tutte le tasse, e non c’è da stupirsene molto visto che ha un reddito annuo di circa 40 milioni di euro. Ma la tassa a lui più odiosa è l’Imu sulla prima casa. E il particolare motivo lo dice lui stesso: il 70-80% degli italiani è proprietario dell’immobile nel quale abita e quindi il progetto di abolirla, cosa che del resto già fece con l’Ici, gli procurerebbe consenso alle prossime elezioni.
Non spiega però, l’Innominato, che abolire l’Imu sulla prima casa significa far risparmiare pochi spiccioli a chi abita in un appartamento di due stanzette e servizi e far risparmiare invece migliaia di euro a chi vive in un sontuoso appartamento di diverse centinaia di metri quadri.
La Costituzione, all’art. 53, dice che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. Ora, mi chiedo, si può ragionevolmente mettere in dubbio che consistenti differenze nella rendita catastale delle abitazioni indichino, con buona approssimazione, la diversa capacità contributiva delle persone che vi abitano? Possono essere messe sullo stesso piano persone che abitano in pochi metri quadri, in un paesino di campagna o nella periferia di Milano, e altre che abitano in un appartamento di dieci o quindici stanze nel centro della stessa città?
L’Innominato, per sostenere che il fisco deve esentare tutti indistintamente, si richiama alla quasi sacralità della prima casa. E così facendo, però, farebbe risparmiare poco o niente ai poveri e tanto o tantissimo ai ricchi.
Ma può un Paperon de’ Paperoni far credere di essere un Robin Hood? Lo vedremo fra due mesi. Sull’argomento vorrei però che nel frattempo, a confrontarsi nei media con l’Innominato, oltre al sempre incerto e nebuloso Bersani, ci fosse anche il senatore Monti. Che meno facilmente si fa confondere le idee da quei fanfaroni che hanno ricavato l’abc della macroeconomia semplicemente dall’astuto esercizio di un’attività mercantile.
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sabato 1 dicembre 2012

Cataldo Marino, IL DISAGIO DEGLI INSEGNANTI (La crisi della scuola di fronte alle riforme), Rossano, 2000

“Il Disagio degli Insegnanti” è un breve saggio da me pubblicato nel 2000 in poche centinaia di copie, distribuite ai colleghi nelle scuole della mia città. Successivamente è stato ripubblicato sui siti Unicobas.it, Ilpartitoperlascuola.it, Itineraricataldolesi.it. e Scribd.it.
Ripropongo ora questo mio lavoro perché, nonostante risalga a dodici anni fa, credo che le problematiche e le critiche di fondo mosse allora alle disastrose riforme scolastiche del Governo D’Alema mantengano ancora oggi, nei principi ispiratori, una loro attualità. Questo convincimento trova supporto nel fatto che un mio più recente articolo dal titolo “Berlinguer-Gelmini. Il filo nero”, che a quegli stessi principi si richiamava, destando un certo interesse è stato ripreso a novembre 2010 anche dagli importanti siti Megachip.info, Fisicamente.net, Unicobas.it, Movimentolaico.wordpress.com e, a dicembre 2010, è stato pubblicato sul numero 29 della Rivista ‘Indipendenza’.
Riporto qui di seguito alcune pagine introduttive del saggio, rinviando per la lettura o il download dell’intero testo in formato pdf alla pagina:






e in formato htm alla pagina:



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Cataldo Marino
IL DISAGIO DEGLI INSEGNANTI
La crisi della scuola di fronte alle riforme
Quaderni di ricerca e critica sociale
© 2000 Cataldo Marino
Fotocopie e rilegatura effettuate in novembre 2000 da
Copycenter snc – Viale della Repubblica, 62 - Rossano (cs)
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INDICE
Premessa
I risultati del questionario
Come nasce il questionario
Caratteri e preparazione
Considerazioni generali
L’autonomia
Il piano dell’offerta formativa
I seimilionisti
Le funzioni-obiettivo
Il preside-manager
L’aumento del lavoro
Le pagelline
Eventuale giudizio degli alunni sugli insegnanti
La scelta del collaboratore-vicario
La retribuzione
Come distribuire le somme stanziate
Chi premiare?
Sappiamo giudicarci fra noi?
Le riforme scolastiche e la sinistra
Contratto ’99: il linguaggio sindacal-pedagogico
Il pof fa flop
Una lezione da cinquanta minuti
Autonomia, democrazia, libertà
Manager per un anno
Riforme e business
Gli organi collegiali

Riflessioni pedagogiche:
Né metro né bilancia
Una tipologia della valutazione
I tempi dell’apprendimento

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PREMESSA

Gli scritti che vengono qui presentati non hanno purtroppo un carattere rigorosamente sistematico, perché sorti non per una speculazione teorica, ma per rispondere con una certa celerità ad esigenze concrete. Si tratta di considerazioni, rivisitate più volte per dar loro una forma più coerente e gradevole, ma scritte con l’impeto della passione per i problemi trattati e con sdegno e risentimento per come una politica dissennata rischi di rovinare i rapporti umani dell’ambiente in cui lavoro da trent’anni, senza peraltro tradursi in alcuna positiva ricaduta sul funzionamento della scuola.
Ovviamente una certa disorganicità talvolta può comportare delle ripetizioni. Ad esempio l’argomento dell’autonomia scolastica viene trattato una prima volta nell’Analisi del questionario sul disagio degli insegnanti, una seconda volta nello scritto sui rapporti tra Riforme scolastiche e forze politiche di sinistra ed una terza volta nello scritto intitolato Autonomia, democrazia e libertà. Perché non raccogliere tutte le idee sullo stesso argomento in un unico saggio? Innanzitutto perché i tre momenti rispecchiano stati d’animo diversi ed unificarli avrebbe comportato nel complesso un impoverimento della visione del problema. In secondo luogo perché il lavoro di sistematizzazione comporta tempi piuttosto lunghi e questi scritti invece sono nati per arrivare ai colleghi, ed eventualmente a qualche politico scrupoloso e lungimirante, prima che il Governo completi il pasticcio dell’autonomia.
Cronologicamente il primo scritto è quello sulle Riforme scolastiche e la sinistra. Esso risale al mese di febbraio, quando il clima era arroventato dallo sciopero, e in origine si trattava di una lettera indirizzata a Massimo D’Alema; lettera che è rimasta chiusa nel cassetto perché ho pensato che, se inviata personalmente al destinatario, probabilmente non sarebbe giunta nelle sue mani: il leader del maggior partito della maggioranza e Presidente del Consiglio dei ministri in carica, ho pensato, sarà sicuramente difeso dalle possibili seccature quotidiane da parte dei singoli cittadini da un apparato di burocrati pronti a cestinare con disgusto le lettere a favore e con disprezzo le lettere contro.
Pessimismo o realismo? Realismo se penso che per circa quindici giorni ho ripetutamente telefonato alla segreteria del responsabile dei ds per la scuola, per dire a viva voce quanto pensavo della loro politica scolastica e non sono mai riuscito a parlarci. A nulla sono valse le mie referenze politiche di militanza e di simpatia ultratrentennale, una cortina impenetrabile divide ancora purtroppo i governanti dai governati. Allora ho rinunciato a parlare con lui ….ed ho rinunciato anche a spedire la lettera.
L’idea di un pamphlet utile alla causa della democrazia nella scuola è venuta successivamente, con l’analisi del questionario somministrato a fine aprile, con lo scopo di verificare in quale misura le tesi contenute nella originaria lettera a D’Alema trovavano rispondenza fra i colleghi di alcune scuole del luogo. I risultati superarono ogni aspettativa; nessuna delle riforme berlingueriane raggiungeva il 50% dei consensi, qualcuna di esse addirittura si attestava sul 12% (la meritocrazia e le discriminazioni stipendiali) o sul 9% (il preside manager).
Sono poi seguiti degli scritti, che ampliavano alcuni temi già analizzati per sommi capi nella lettera e nel questionario o relativi a problemi dibattuti con i colleghi, ed infine tre brevi scritti contenenti alcune riflessioni di natura pedagogica suggeritemi dalla mia ormai lunga esperienza lavorativa nella scuola.
Il primo di questi tende a dimostrare che lo Stato obbliga gli insegnanti ad usare ogni giorno un registro per i voti, di cui gli alunni hanno in genere timore e che non apporta nulla di positivo all’azione didattica.
Il secondo dà per scontato che per ora purtroppo non possiamo esimerci dall’obbligo burocratico della tenuta del registro, ma invita ad usarlo almeno con onestà e competenza, non accettando raccomandazioni e facendo attenzione nella valutazione degli allievi a non essere né troppo severi né troppo buonisti, per usare un termine ormai entrato nel linguaggio comune.
Il terzo tratta un argomento qui solo accennato e che, per la sua importanza, mi ripropongo di analizzare nell’ampiezza e profondità che merita, quando, passato il ciclone delle riforme, ci sarà il tempo per riflettere su cose più serie: in che modo i ritmi di svolgimento del programma scolastico incidono sulla psiche dell’alunno e quindi sulla sua voglia e capacità di apprendere?
Per alcuni argomenti ho sentito la necessità di avventurarmi anche sull’impervio terreno della legislazione scolastica, dove una giungla di circa cinquemila norme rende arduo il cammino ai più se non a tutti. Era sempre stato un mio vanto quello di non essere mai voluto andare a curiosare fra le “gride” ministeriali per trarne, come molti, il massimo vantaggio economico o per poter fare l’assenteista. Quando però sono piovuti dall’alto l’autonomia dirigistica e quel concorso, teso a degradare gli insegnanti che non sanno parlare col bla bla del didattichese e porre sul piedistallo quelli che sanno tutto su come si fa carriera nella scuola, è sorta subitanea una voglia rabbiosa di castigare, sul terreno della legalità oltre che della politica, tutti coloro che approfittando delle nuove posizioni di forza cercavano di curvare le norme ai loro interessi. Qualcuno di idee contrarie alle mie mi dice che a volte mi sbaglio e ciò è naturalmente possibile, ma non di rado trovo in altre fonti interpretative (giornali specializzati, comunicati sindacali, note ministeriali esplicative) puntuali conferme delle conclusioni cui giungo; la cosa si è verificata per argomenti come l’autonomia contabile, che, non appena approvato l’apposito regolamento, dovrebbe consentire alle singole scuole di utilizzare i fondi a disposizione senza vincoli di destinazione, e come il recupero dei dieci minuti delle lezioni brevi, per il quale c’è una inequivocabile e tassativa interpretazione “autentica”.
Le riflessioni che vengono qui esposte nascono in un determinato ambiente di lavoro, ma non si esauriscono in esso e perciò le critiche ad alcune figure dei nuovi organigrammi non devono essere considerate come critiche a persone particolari, verso cui in genere nutro invece rispetto e per le quali mi auguro una presa di coscienza della strumentalizzazione che accompagna certi effimeri ed aleatori privilegi. L’indignazione per la “cattiva novella” berlingueriana si è nutrita, in realtà, oltre che delle concrete esperienze personali, anche di informazioni provenienti dai colleghi della propria come di altre scuole (il sindacalista è un collettore del malcontento), dagli amici dei sindacati di base, dalla lettura delle cronache e degli approfondimenti dei maggiori quotidiani italiani nonché da una attenta rilettura di alcuni dei nuovi testi normativi, che, come si cercherà di dimostrare, potrebbero segnare la triste transizione verso una scuola ritagliata sullo stampo di un modello organizzativo medioevale.
Ringrazio il prof. Pasquale Mentana, il prof. Gaetano Romano e il prof. Antonio Mazzieri per i loro preziosi consigli, gli amici del sindacato Unicobas-scuola, che da Roma e da Cosenza mi hanno rafforzato nel proposito di oppormi nel mio piccolo al disegno reazionario che guida le riforme scolastiche di questi anni, e infine tutti coloro i quali mi hanno incoraggiato in questa mia iniziativa.
Cataldo Marino

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QUESTIONARIO “IL DISAGIO DEGLI INSEGNANTI”
EFFETTI DELLE RIFORME:



Considerazioni sull’incarico per le funzioni-obiettivo:
1) E’ un supporto serio al buon funzionamento della scuola …16 %
2) E’ un supporto per gli insegnanti nello svolgimento dell’attività didattica … 4 %
3) E’ un’attività positiva ma con scelte non sempre appropriate …… 34 %
4) E’ un incarico ambìto per trarne potere e vantaggi economici ..… 40 %
Nessuna risposta … 6 %

Il vostro lavoro negli ultimi anni è:
1) Aumentato……93 %
2) Diminuito…… 0 %
3) Rimasto uguale….. 7 %

L’aumento di lavoro:
1) Ha portato beneficio agli alunni…19%
2) Ha portato beneficio all’azione didattica…17 %
3) Non ha portato alcun beneficio alla scuola…58 %
Nessuna risposta…… 6 %

L’introduzione delle pagelline infraquadrimestrali:
1) Rende più consapevoli le famiglie dell’andamento dei figli……54 %
2) Non serve alle famiglie ma non influisce sullo svolgimento dei programmi…..4 %
3) Non serve alle famiglie e rallenta lo svolgimento deiprogrammi……38 %
Nessuna risposta……4 %

Un eventuale giudizio degli alunni sugli insegnanti è più rispondente alla realtà se dato:
1) Durante il corso degli studi ……31 %
1) Al termine del corso degli studi ……33 %
2) Quando l’alunno si è inserito nel mondo del lavoro … .33 %
Nessuna risposta ……3 %

Dal prossimo anno il collaboratore-vicario non sarà più eletto dal Collegio dei docenti, ma verrà scelto dal Preside. Ciò provocherà:
1) Maggiore efficienza nelle decisioni ……9 %
2) Perdita di un elemento di democrazia .....72 %
3) Fratture nel corpo docente ……14 %
Nessuna risposta …5 %


COME NASCE IL QUESTIONARIO

Dopo le lotte sindacali degli anni Ottanta, concluse con apprezzabili aumenti retributivi, in un quadro di sostanziale mantenimento della normativa creata con i decreti delegati del 1974, negli anni Novanta i vari governi che si sono succeduti hanno praticato una politica molto penalizzante nei confronti degli insegnanti.
Sul piano della retribuzione si è avuto un netto peggioramento, dovuto da un lato ad una politica dei redditi che ha programmato aumenti contrattuali inferiori all’inflazione reale e dall’altro alla trasformazione degli scatti biennali di anzianità in passaggi da una classe stipendiale all’altra ogni sei o sette anni.
Per quanto concerne l’età pensionabile, abolite drasticamente nel ‘92 le pensioni-baby con la riforma Amato, c’è stato un progressivo allineamento con le altre categorie di lavoratori nel ’95 e nel ’97 ed ulteriori allungamenti della vita lavorativa si attendono, concordi tanto i partiti di destra che di sinistra, per l’anno 2001.
Sempre nei difficili anni Novanta la scuola ha subito gravi traumi per quanto riguarda le condizioni ed i rapporti di lavoro. Il progressivo indebolimento degli organi collegiali a favore del ruolo dei capi d’istituto ha creato un clima di lavoro “pesante”, con l’infittirsi di riunioni inutili e spesso finalizzate unicamente a gravare l’insegnante di compiti e responsabilità crescenti, che nulla hanno a che vedere con l’efficienza complessiva dell’azione di educazione e di istruzione.
L’introduzione di indennità accessorie legate ad attività pomeridiane ha poi avvantaggiato gli insegnanti con maggiori capacità fisiche e culturali di adattamento e mortificato coloro che per decenni avevano considerato il pomeriggio come il tempo necessario per stemperare lo stress accumulato nelle ore del mattino e per poter progettare contenuti, metodi e strumenti per le lezioni del giorno seguente. I primi, in genere relativamente più giovani e fortemente motivati nella scalata sociale, successivamente hanno finito col dividersi in due gruppi con interessi contrapposti: da un lato quelli che, per maggiori capacità di aggregazione e maggiori possibilità di informazione, sono riusciti ad accaparrarsi una fetta consistente delle limitate risorse finanziarie destinate alle attività extracurricolari; sul fronte opposto quelli che, per minore vicinanza alle “centrali informative” esistenti in ogni scuola o per minori inclinazioni verso l’aggregazione di tipo massonico, hanno partecipato alla spartizione dei fondi in misura insoddisfacente o ne sono rimasti completamente esclusi.
Le divisioni create da tutte queste maldestre innovazioni stanno progressivamente producendo nel corpo docente un deterioramento nei rapporti personali e professionali; ogni riunione è diventata un’occasione per infliggere ai colleghi, purtroppo ormai trattati come avversari, allusioni maliziose o contestazioni aperte.
E intanto i problemi degli alunni sono diventati solo un terreno di scontro per la conquista di privilegi. L’alunno, che fino a pochi anni addietro era veramente nel cuore e nei pensieri di gran parte dei docenti, adesso viene sistematicamente ad occupare un ruolo marginale e strumentale.
Durante l’anno si inventano corsi di recupero ed attività integrative per arrotondare lo stipendio e a fine anno si adotta una politica della valutazione, funzionale al mantenimento delle cattedre (dietro tanto buonismo spesso si cela tanto egoismo). Da un anno il mondo della scuola è in fermento e ciò è dimostrato non solo dal massiccio e rabbioso sciopero del febbraio 2000 e dal risultato elettorale di aprile, ma anche e soprattutto dai rapporti di aspra e continua litigiosità di cui esso è permeato.
Il questionario che viene qui presentato è nato dall’esigenza di chiarire quali sono i problemi che da un po’ di tempo rendono amara la vita a gran parte della categoria degli insegnanti. Quale metodo è infatti migliore di un questionario, per cercare di trasformare tante idee soggettive in un’unica linea di tendenza, in una idea che sia espressione di una soggettività collettiva?

ANALISI GENERALE

Prima di prendere in esame i risultati delle singole domande del questionario, è certamente interessante elencare le risposte secondo l’ordine decrescente delle percentuali ottenute. Non è lo strumento di analisi più raffinato, ma serve ad evidenziare in prima approssimazione quali sono i punti su cui il consenso o il dissenso si manifestano in modo più clamoroso:

- per il 93 % degli insegnanti negli ultimi anni il lavoro è aumentato;
- per l’86 % la scelta del collaboratore-vicario unicamente da parte del preside è contro i docenti e contro la democrazia nella scuola;
- per il 75 % l’incentivazione economica ad un numero limitato di docenti (uno su cinque) non è accettabile;
- per il 62 % quella del preside-manager è una figura negativa; solo il 9 % è favorevole;
- per il 58 % l’aumento di lavoro degli insegnanti non ha prodotto benefici alla scuola;
- per il 54 % le pagelline aiutano i genitori a seguire l’andamento scolastico dei figli;
- per il 52 % le funzioni-obiettivo sono negative; solo il 26 % attribuisce loro effetti positivi;
- per il 40 % alle funzioni-obiettivo ci si è candidati per avere potere e vantaggi economici e per il 34 % il modo di lavorare (atteggiamenti e decisioni) non sempre è condivisibile.

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Sembra di poter dire, alla luce di questi risultati, che le riforme dell’ormai ex ministro Luigi Berlinguer godano di scarsa simpatia da parte degli insegnanti e che il malcontento della categoria sia relativo non solo al trattamento economico, ma anche e soprattutto al modo di intendere la scuola.
La prima cosa che infastidisce è l’introduzione di lavoro inutile: il vecchio, maledetto, inestirpabile cancro della burocrazia italiana. La legge Bassanini del 1997 era nata proprio per combattere questo male (tutti abbiamo gioito per la riduzione dei certificati), ma in ambito scolastico, ironia della sorte, è stata all’origine di una fase di iper-burocratizzazione galoppante. Con il decentramento e l’autonomia sono arrivati registri e schede “lunari” e riunioni “apocalittiche”.
La seconda cosa è il pieno recupero di quell’ ordine gerarchico, che i partiti oggi al governo nei precedenti cinquant’anni di opposizione avevano combattuto e smantellato.
La terza è costituita dal tentativo di rompere la solidarietà tra i lavoratori della categoria introducendo elementi di concorrenza fondamentalmente, deontologicamente estranei alla natura del lavoro svolto. Si tratta di elementi molto rilevanti del malcontento, che oggi serpeggia e domani potrà esplodere nella categoria e che si cercherà di analizzare nel modo migliore possibile e dettagliato nelle pagine che seguiranno. Per ora ci limitiamo ad una considerazione generale: i politici di turno fanno male a sottovalutare gli umori di certi strati sociali solo perché normalmente le loro proteste non assumono caratteri dirompenti o forme eclatanti.
Lelio Basso, politico e storico che sapeva della necessità di legare reciprocamente la cultura e la politica per poter capire e l’una e l’altra, in “Fascismo e antifascismo” spiegò bene come, solo nel momento della saldatura del ceto medio con gli industriali e gli agrari, il partito fascista ottenne quel consenso popolare che lo tenne al governo per due decenni. La tesi è sostenuta dalla considerazione dei rapporti di collaborazione che Mussolini seppe instaurare con quel ceto medio; il carattere retorico degli appelli del duce non avrebbe certo potuto far breccia nel cuore semplice e mite di operai e contadini, se quegli appelli non fossero stati sapientemente e scrupolosamente veicolati da liberi professionisti, insegnanti e dipendenti pubblici in genere.
Mi chiedo quali alleanze abbiano in vista oggi quelle forze politiche che dicono di battersi per la democrazia e su quali forze sociali pensano di fondare il loro consenso. Questo è da chiedere non perché dietro ogni politico ci debba essere un fondamento machiavellico, ma al contrario perché idee chiare determinano alleanze sociali e politiche chiare. Oggi purtroppo questa chiarezza non c’è.

Note
[1] Fra il ’95 e il ’99 questi passaggi di classe stipendiale erano subordinati alla frequenza di corsi di aggiornamento che, a parte alcune eccezioni, si dimostrarono insulsi e spesso ridicoli per la scarsa preparazione di coloro che si improvvisavano docenti e per lo scarso interesse delle tematiche trattate.
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