domenica 14 aprile 2019

"Prima che arrivi il ’68" – Raccolta di poesie di Nicola Russo

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Autoritratto

Nel “Simposio”, a Socrate, che chiede: “Ma allora chi sono i filosofi, se non sono nè i sapienti nè gli ignoranti?”, Diotima risponde: “E' chiaro chi sono: anche un bambino può capirlo. Sono quelli che vivono a metà tra sapienza ed ignoranza”.
Certezze e incertezze, come già nella matura filosofia greca, si inseguono nel tentativo di catturare verità sempre sfuggenti; ecco in cosa intravedo il filo principale che collega le poesie giovanili di Nicola Russo, da me lette ultimamente. Probabilmente oggi, con l’età, nella vita quotidiana, gli interrogativi esistenziali sono diminuiti o addomesticati, ma in quelle poesie ritrovo lo stesso amico che ho conosciuto negli anni dei disordini spirituali giovanili, quelli nei quali è difficile stabilire confini precisi fra il sogno e la realtà. La ricerca della realtà non è, non può essere, sempre lineare. La logica ci aiuta, ma poi puntualmente finisce per abbandonarci: è quello il momento in cui ci si aggrappa all’arte e, in alcuni casi, alla fede religiosa.

Con Nicola ho condiviso le prime esperienze culturali e politiche: è solo per questo che posso sperare di introdurmi nel suo spirito labirintico, lucido ma spigoloso, senza eccessivo timore di perdermi. Io sono un inguaribile ragionatore che, purtroppo, lascia un margine troppo ridotto a quanto si può solo percepire intuitivamente con immagini fuggevoli e profonde e a quanto di misterioso avvolge la nostra vita e scombina le pretese di dare spiegazione al tutto. Mi sfuggono i salti logici del più banale testo di una canzone ascoltata cento volte, quindi non sono proprio il più adatto a commentare poesie. Quelle di Nicola però, anche nei passi in cui ho la sensazione di smarrirmi, sento bene cosa vogliono esprimere.
Negli anni della composizione di questi versi non conoscevamo ancora bene le tinte forti della poesia di Lorca e Neruda. Eppure Nicola scriveva versi con la stessa nervatura, con improvvisi scatti in avanti, seguiti da sofferta riflessione. Nei primi piani troviamo quasi sempre persone, uomini e donne; sullo sfondo, una società enigmatica pur nella sua fissità; dietro le quinte, la storia, il percorso umano collettivo dentro il quale l’individuo, quasi impotente, sprofonda, agitandosi come un naufrago in un mare in tempesta.

Sono testimone della datazione di questi versi, anni ‘65-‘67 - da cui un titolo, che vuole rimarcare il loro carattere quasi profetico rispetto agli sconvolgimenti radicali del ’68 - perché, quando da Rossano ritornò a Crotone, sua città natale, l’autore, amico di amene conversazioni ma anche di crescita culturale e di impegno sociale, mi inviò due di queste poesie. Mi rimasero tanto impresse nella mente che, quando dopo oltre quaranta anni mi telefonò dalla Germania, dove dal ‘70 vive e lavora come insegnante e traduttore, fui io stesso a tirarle fuori dal cassetto dei ricordi e a parlargliene.
Una era quella dedicata al poeta Lorenzo Calogero: “Donne brune e coperte di nero, come vuole una regola vecchia quanto la pazzia dell’uomo”: il reale non sempre coincide col razionale. Quelle donne calabresi, descritte nei loro abituali vestimenti castigati, erano quasi un dipinto. E non è dunque un caso che la vena artistica di Nicola si sia poi riversata anche nella pittura, che possiamo oggi apprezzare sul suo blog http://www.russoscript2011.blogspot.com : come protagonisti i paesaggi, anche umani, della sua terra d’origine, con la presenza costante, quasi una firma, di alberi che rinviano al pensiero dell’eternità.
La seconda poesia è di appena otto versi ma, con una “visione” racchiude, quasi in un pugno, la sconcertante storia dell’uomo, intravedendone la liberazione dai mille vincoli sociali in un ritorno alle origini: “E vedrò i morti arrampicarsi sulle cime degli alberi e ridiventare scimmie. Parleranno il loro linguaggio scorretto. Chiameranno a raduno le altre bestie, ma invano”.

Ora, dopo tanti anni, ho avuto la possibilità di leggere anche le altre poesie. E ci ritrovo gli stessi colori e la stessa prorompente ansia - di rompere schemi mentali e argini espressivi - che caratterizzava le prime due allora inviatemi. Riprendo solo alcuni versi di alcune di esse.

“Si liberò della vita con un lungo sospiro./ Una stanza piena di libri e / con poche persone. /Parenti che avevano finito di / fare la spesa. / Il morto fu portato al cimitero! / già si pensava a quel po' di roba da / spartire. / La zia volle il comò, la sorella il tavolo / grande: erano troppi in famiglia. / Nessuno cercò i libri,/ non sapevano dove / metterli” (Morte di un saggio) . L’evento tragico della morte, saggiamente vissuto con distacco, viene riportato ai problemi concreti, denunciando il prevalere dei bisogni materiali su quelli spirituali.

“Storti ulivi nuotanti in un / ferruginoso mare di terra!.../ più vicino vi sento / nella notte profonda e / sciacquata dalla miseria del / giorno… Tremolio d'argento al riflesso/ lunare… / Amici ulivi, che parlate / al battito del vento, di idee / nuove, aiutatemi!” (Storti ulivi). Le naturali contorsioni degli ulivi, che imploranti tendono i rami verso il cielo, sembrano lo specchio di nature umane complesse e desiderose di pace interiore e di giustizia.

Note
Per la lettura degli scritti giovanili di Nicola Russo rinvio alla pagina web http://russoscripti.blogspot.com/2011_01_01_archive.html , in cui si trova anche un suggestivo e commovente racconto, “Adolfo”.
Molte poesie sono nate prive di titolo e così, giustamente, l’autore ha voluto lasciarle. Per identificarle basterà tuttavia il richiamo al primo verso, che, al pari del titolo, spesso ne indica una prima, approssimativa, chiave di lettura; l’ultima spettando, come sappiamo, a ciascun lettore, mediante il filtro del proprio vissuto.

Cataldo Marino