venerdì 22 marzo 2019

Vitaliano Brancati, un racconto breve

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Trampolini si imbatte in una donna alle soglie del giardino Bellini

Nei meriggi di luglio, quando Catania, coi suoi arsi palazzi, pare un immenso gregge assetato che scenda verso il mare, il professor Trampolini suole passeggiare su quel tratto di via Etnea che corre lungo i cancelli del giardino Bellini.
Il marciapiede, tutto scuro nell'ombra degli alberi, è come una riva di vento e di frescura sull'immensità dell'abbaglio solare.
La città cuoce nel sole. L'acqua bolle dentro gli aerei canali di acciaio. La luce sulla lava pare fermenti.
In uno di questi meriggi, Trampolini, come al solito, passeggiava sul marciapiede inombrato.
Tutti sanno che il mio maestro è vecchio, e che i suoi occhi, da sessanta anni aperti sul mondo, sono ora deboli e chiedono l'aiuto di fortissime lenti. Pochi sanno che, anche attraverso le lenti, il mio maestro non riesce a distinguere bene le cose lontane. Egli ha rinunziato, con molta eleganza, alle stelle, alle nuvole, ai campanili. Il mondo s'è fatto così più raccolto e più piccolo intorno a lui.
«Del resto,» egli dice «è inutile guardare le cose inafferrabili. La sproporzione fra la portata della nostra vista e quella della nostra mano fa nascere le chimere e provoca le grandi disillusioni. Con l'accorciarsi della mia vista, io ho ristabilito l'equilibrio nei miei desideri e circoscritto il campo della mia inquietudine.»
Ad ogni modo, in quel meriggio di luglio, Trampolini passeggiava col cappello fra le mani e l'anima piena di idee così alate e inconsistenti che sembravano bei sogni.
Ed ecco, sullo sfondo della via, apparire un che di bianco e di morbido: un sorriso di donna più che una donna sorridente.
«S'avanza una divina fanciulla» mormorò Trampolini.
A quella distanza, il mio maestro non suole mai vedere. Ma egli dice che noi possediamo un sesto senso, che ci fa cogliere la bellezza femminile. Noi avvertiamo spesso, anche senza voltarci, che una bella donna si appressa. Noi sentiamo, attraverso una sorda parete, che la nostra vicina è una bella vicina.
Con questo organo, Trampolini notò la presenza della divina fanciulla. E quanto stava per nascere, lentamente, di sogni, di pensieri, di armonie, nella sua anima, nacque di colpo, con bocci e scoppi violenti. La giovanetta si appressava rapida... Egli abbassò gli occhi, come un timido poeta, e fu avvolto in un'onda di profumo e di amore, in cui perdette uno dei sensi (quello della direzione) e sbatté contro la passante.
Chiese scusa, con molta galanteria, curvandosi per raccogliere le lenti cadute. Udì, nell'ombra confusa in cui s'erano oscurate tutte le cose, un largo riso impertinente.
Egli tornò a chiedere scusa, brancolando per ritrovare lo spettacolo di quella bellezza, smarrito con gli occhiali.
«È inutile che facciate tanti inchini» disse la donna. «Vi ho già perdonato.»
«Signorina, io vi ringrazio, ma non mi sono ancora perdonato io...»
E giù inchini, che erano in verità tentativi inutili per rintracciare le lenti.
«Io comincio a sospettare che voi siate un furbo...»
«Qualsiasi sospetto io merito, o divina giovinetta.»
«... e che voi restiate così curvo per guardarmi le gambe.»
Vibrò nella sua anima, il professor Trampolini, e sentì già di amare quella fanciulla invisibile, di cui sentiva la voce e il riso vicini.
«Signorina,» egli disse «io non dimenticherò mai questo incontro e benedico l'urto che vi ha fermata.»
«Fatevi coraggio, amico mio: voi potrete rivedermi.»
Il sangue gli cadde dal volto. Dei sessanta anni, che aveva, non gliene rimasero che venti, nel cuore tremante.
«Voi dite la verità?» e trovò gli occhiali.
«Abito in via Gazometro, numero...»
Trampolini finì di inchinarsi. Inforcò gli occhiali e... tornò vecchio, sfiduciato, coi suoi mille acciacchi: si trovava dinanzi a una cinquantenne cortigiana, sul cui letto era salita più gente nuda di quanta non ne scendesse, in quel momento, nel Jonio.
«Sì!» disse con un fil di voce. «Verrò a visitarvi.»
E continuò a passeggiare finché non si imbatté in me, suo discepolo.
Lo vidi triste, mi condusse nel giardino Bellini e mi narrò l'accaduto.
Il sole trapassava l'albero, sotto il quale eravamo seduti, con violente lame di luce.
«Gli occhiali,» disse il mio maestro «hanno ucciso il mio sogno.»
«Vi hanno, però, salvato da un inganno, illuminando la verità.»
«Ci sono due verità, caro figliolo; una del sogno e una della scienza. Quest'ultima ha sulla prima la superiorità innegabile di essere crudele e di farsi cercare, prima di rivelarsi...»
«Ma voi, perdonatemi, non sognavate in quel momento: soltanto vedevate male, creando dei malintesi fra le cose e la vostra coscienza.»
«Malintesi? E non sono tutte le nostre gioie basate su dei malintesi e su degli errori? La bellezza di questo paesaggio, che digrada verso il lido, è fondata sopra un errore ottico, che mi fa vedere le cose lontane più piccole, mentre, in verità, esse non lo sono. La donna, questo divino argomento, è un malinteso. Noi non abbiamo mai potuto giudicarla serenamente. Nessuno, neppure il misogeno più accanito, l'ha contemplata con serenità scientifica. Lo sguardo, il tatto, l'olfatto, l'udito, che sono i mezzi dell'esperienza e i tentacoli del pensiero, sono stati sempre alterati dalla sensualità, nell'attimo in cui ella passava dinnanzi all'uomo.»
«Maestro, voi siete molto malinconico. Ma io ringrazio Iddio, che vi ha fatto ritrovare gli occhiali.»
«Io non lo ringrazio. Ho perduto per sempre una giovinetta, che avevo creato con un po' di abbaglio solare, con un confuso ammasso di linee e con il bisogno di una bella fanciulla, che avevo nell'anima.»
«Occorre che i nostri sensi siano imprecisi e deboli, perché si intensifichi la nostra vita interiore. Noi abbiamo dei sogni che cercano di concretarsi in fatti. Quando la realtà è troppo precisa, essi sono costretti a perire. È bene, dunque, che noi siamo un po' sordi e un po' ciechi, per vedere e per sentire quello che vorremmo. Tutti gli inganni sono a nostro favore.»
«Non per nulla, disinganno è una triste parola.»
«La scienza, coi suoi strumenti che rafforzano i nostri sensi e sostituiscono le illusioni con le cognizioni, non fa che disingannarci; uccidere, cioè, la nostra vita inferiore e liberare il mondo dal nostro dominio.»
Il mio maestro s'era alzato e pareva torreggiare il paesaggio.
«Più nobile e più grande di colui che precisa i sensi è colui che li offusca; più umanitario di Galilei, che trovò le lenti, è il Centauro, che trovò l'inebriante succo della vite, che fa vedere doppio.»
«Maestro, voi avete messo le dita in una piaga dell'umanità.»
«Piaga, figliolo, vera piaga. Nei tempi in cui ero miope e non portavo gli occhiali, vedevo sui balconi magiche figure e credevo che tutte le donne mi sorridessero. Il nostro pensiero è ottimista, quando può giudicare indipendentemente dai sensi.»
«È vero! È vero!»
«Io veggo già un'epoca di felicità, in cui gli uomini avranno spezzato tutti gli strumenti della scienza e indebolito il loro sguardo, il loro udito, il loro olfatto. Nel crepuscolo soave di tutte le cose, nel "pianissimo" di tutte le voci, quando nulla avrà contorni e certezza, e l'anima sarà libera di vedere una fanciulla in una vecchia, il mondo diverrà sereno e pieno di incantesimi.»
«O maestro, o divino maestro!»
«Ed io, come precursore dell'epoca di cui sono stato il profeta, comincio col darne l'esempio.»
E spezzò gli occhiali con ira, e se ne andò pei viali, urtando contro gli alberi e calpestando il piede a un tenente di cavalleria, che poi lo attese in un luogo solitario, e lo schiaffeggiò.

Vitaliano Brancati  (Pachino 1907 - Torino 1954)

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Sicilia, terra di grandi scrittori.

martedì 5 marzo 2019

Distribuzione del reddito e del lavoro


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Da quando in Italia abbiamo un Governo cui partecipa il M5S – forza politica che io ho votato con una certa convinzione, ma ancor più per la mancanza di una credibile alternativa di sinistra - sento ogni giorno discutere sui media e sui social dei tre provvedimenti sui quali questo movimento politico e la Lega hanno imperniato la loro azione: il reddito di cittadinanza, l’età di pensionamento e l’immigrazione.
Sono problemi di cui ho già parlato ampiamente in precedenti articoli del blog. Solo che in quel periodo si trattava di semplici ipotesi di lavoro, mentre ora siamo chiamati a valutare precise disposizioni legislative. La qual cosa mi induce a riprenderli e a fare delle rapide puntualizzazioni.

1) Confermo la mia piena condivisione dell’idea che, oggi come nel 1929, viviamo una crisi di sovrapproduzione - così come preconizzata teoricamente da Marx già nel XIX secolo – e che per superarne gli aspetti socialmente deleteri (disoccupazione e povertà di larghi strati della popolazione) si debbano riprendere le misure keynesiane adottate da Franklin Delano Roosevelt negli Stati Uniti a partire dal 1933. (V. recensione del film “Furore”, qui pubblicato il 5 gennaio 2012).
Per uscire dalla crisi occorre che cresca la domanda globale di beni e servizi, e il reddito di cittadinanza sostenuto dal M5S va in questa precisa direzione. Anche se la Germania, in virtù delle sue esportazioni sembra per ora non risentire della stasi della domanda interna e impone a tutti i partner europei precisi limiti alla spesa pubblica, questa è la strada da percorrere.
Si sa però che ‘c’è una misura in tutte le cose’ (est modus in rebus) e, secondo questo principio, il decreto approvato dal Governo ha forse sbagliato in una cosa non di poco conto. Se gli attuali salari di larghe fasce di persone occupate si aggira sui 900-1000 euro mensili, non si possono dare 780 euro – sia pure limitatamente a 18 mesi – a coloro che non hanno lavoro.
Proprio per questo motivo nell’articolo ‘Reddito di cittadinanza’ del 15 marzo 2013 (*) avevo proposto un reddito minimo di sussistenza di 500 euro. Una maggiore prudenza nella determinazione dell’importo, pur assicurando ai disoccupati vecchi e giovani l’eliminazione della povertà assoluta, avrebbe ridotto l’impatto sui conti pubblici, avrebbe evitato contrasti troppo forti con gli altri Paesi europei e stabilito un rapporto più equo fra chi tutte le mattine va a lavorare e chi – pur cercando disperatamente un lavoro – è costretto a rimanere a casa. Con questa correzione, chi lavora disporrebbe comunque di un reddito che è il doppio di chi è in cerca di lavoro, e ciò eviterebbe la ‘convenienza’ di persone poco scrupolose ad approfittare del giusto provvedimento.
Plaudo, nonostante questo errore, all’azione del giovane capo del M5S (mi stupisce molto l’intelligenza e la lucidità di questo ragazzo di 31 anni!), perché con questo decreto passa un principio che nessuna forza politica d’ora in avanti potrà più trascurare: nelle società industrializzate e informatizzate la povertà assoluta dei disoccupati è inaccettabile sotto il profilo morale e… pericolosa sotto il profilo sociale.
Per molte delle mie considerazioni, attuali e anteriori, su questo problema sono debitore ai principi keynesiani e alle preziose indagini sociologiche del Prof. Domenico De Masi.

2) Sull’età di pensionamento avevo esposto le mie idee in un articolo pubblicato su questo blog il 7 ottobre 2012 dal titolo “Lavoro; strategie a confronto“. Riassumo, in modo grossolano: anticipando il pensionamento da 60 a 50 anni lo Stato dovrebbe annualmente rifondere all’Inps delle cifre insostenibili per i conti pubblici e, per contro, spostando il pensionamento da 60 a 70 anni, diminuisce il turn over dei lavoratori accentuando la crisi occupazionale.
Aggiungo oggi però che non si può stabilire un’età di pensionamento per tutte le categorie. Nei lavori creativi si può, e si vuole, andare avanti il più possibile - e il nostro Camilleri, pur novantenne e ormai cieco, non vorrà mai smettere di scrivere - mentre l’operaio, che sta per anni dietro una macchina, o l’insegnante, che sta per anni davanti a 25 testoline agitate dalle tempeste sentimentali e ormonali, giunto a 60 anni normalmente… non ne può più.
Cosa ancora più importante è che il passaggio dall’attività lavorativa alla quiescenza non dovrebbe essere istantaneo (fino al giorno x e poi basta) ma graduale. Se a 50 anni si lavora tranquillamente per otto ore al giorno, a 60 si potrebbe lavorare per 6 ore al giorno, a 65 per quattro ore al giorno e a 70 per due ore al giorno. Dopo i 70 anni decida lui… in base alla passione e al suo personale stato di salute.

3) Anche per l’immigrazione ho già detto che è una questione di misura: l’Italia può accogliere 20.000 immigrati l’anno e integrarli come si deve, con un lavoro dignitoso ed equamente retribuito, in modo da non incidere sul livello generale dei salari. Non ne può invece accogliere cinquecentomila l’anno, perché questi si sommerebbero ai 5.000.000 di poveri, incrementando a dismisura quello che Marx chiamava ‘l’esercito industriale di riserva’. Detto esercito è funzionale alla massimizzazione dei profitti degli imprenditori, ma non al popolo.
Sugli effetti dell’esercito industriale di riserva io ho denunciato soprattutto la delocalizzazione (l’impresa va dove il costo della manodopera è molto più bassa), mentre il Prof. Diego Fusaro ha concentrato la sua attenzione proprio sulle cause e gli effetti della immigrazione. Ma, come argomentato da entrambi - lui ad alto livello in tv e nei convegni ed io in questo modesto blog – delocalizzazione e immigrazione sono facce della stessa medaglia, che implicano lo sfruttamento cinico dei lavoratori.



(*) “Bisognerà anche affrontare il problema del ‘quantum’. Se oggi il salario medio netto di un lavoratore è di 1.000 euro e la stessa somma dovesse essere pagata dalla collettività a chi per motivi soggettivi o oggettivi resta inattivo, non ci sarebbe più alcuna spinta a cercare lavoro. Teniamo anche presente che l’elevato tenore di vita di cui si è goduto in Italia dagli anni Settanta in poi, ha abituato le nuove generazioni a una certa mollezza nei costumi e che comunque, se si può avere un dato reddito anche non lavorando, anche fra gli adulti pochi saranno quelli che sceglieranno di sacrificarsi per esso. Un amico residente in Svizzera, dove i sussidi per le categorie disagiate sono presenti, mi raccontava di un suo conoscente che ha volontariamente lasciato il lavoro per dedicarsi ad attività… più piacevoli.
Penso che un sussidio di 500 euro mensili consentirebbe di far fronte ai bisogni primari e che il suo costo per il bilancio dello Stato sarebbe pesante ma in fondo sostenibile.”