martedì 5 marzo 2019

Distribuzione del reddito e del lavoro


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Da quando in Italia abbiamo un Governo cui partecipa il M5S – forza politica che io ho votato con una certa convinzione, ma ancor più per la mancanza di una credibile alternativa di sinistra - sento ogni giorno discutere sui media e sui social dei tre provvedimenti sui quali questo movimento politico e la Lega hanno imperniato la loro azione: il reddito di cittadinanza, l’età di pensionamento e l’immigrazione.
Sono problemi di cui ho già parlato ampiamente in precedenti articoli del blog. Solo che in quel periodo si trattava di semplici ipotesi di lavoro, mentre ora siamo chiamati a valutare precise disposizioni legislative. La qual cosa mi induce a riprenderli e a fare delle rapide puntualizzazioni.

1) Confermo la mia piena condivisione dell’idea che, oggi come nel 1929, viviamo una crisi di sovrapproduzione - così come preconizzata teoricamente da Marx già nel XIX secolo – e che per superarne gli aspetti socialmente deleteri (disoccupazione e povertà di larghi strati della popolazione) si debbano riprendere le misure keynesiane adottate da Franklin Delano Roosevelt negli Stati Uniti a partire dal 1933. (V. recensione del film “Furore”, qui pubblicato il 5 gennaio 2012).
Per uscire dalla crisi occorre che cresca la domanda globale di beni e servizi, e il reddito di cittadinanza sostenuto dal M5S va in questa precisa direzione. Anche se la Germania, in virtù delle sue esportazioni sembra per ora non risentire della stasi della domanda interna e impone a tutti i partner europei precisi limiti alla spesa pubblica, questa è la strada da percorrere.
Si sa però che ‘c’è una misura in tutte le cose’ (est modus in rebus) e, secondo questo principio, il decreto approvato dal Governo ha forse sbagliato in una cosa non di poco conto. Se gli attuali salari di larghe fasce di persone occupate si aggira sui 900-1000 euro mensili, non si possono dare 780 euro – sia pure limitatamente a 18 mesi – a coloro che non hanno lavoro.
Proprio per questo motivo nell’articolo ‘Reddito di cittadinanza’ del 15 marzo 2013 (*) avevo proposto un reddito minimo di sussistenza di 500 euro. Una maggiore prudenza nella determinazione dell’importo, pur assicurando ai disoccupati vecchi e giovani l’eliminazione della povertà assoluta, avrebbe ridotto l’impatto sui conti pubblici, avrebbe evitato contrasti troppo forti con gli altri Paesi europei e stabilito un rapporto più equo fra chi tutte le mattine va a lavorare e chi – pur cercando disperatamente un lavoro – è costretto a rimanere a casa. Con questa correzione, chi lavora disporrebbe comunque di un reddito che è il doppio di chi è in cerca di lavoro, e ciò eviterebbe la ‘convenienza’ di persone poco scrupolose ad approfittare del giusto provvedimento.
Plaudo, nonostante questo errore, all’azione del giovane capo del M5S (mi stupisce molto l’intelligenza e la lucidità di questo ragazzo di 31 anni!), perché con questo decreto passa un principio che nessuna forza politica d’ora in avanti potrà più trascurare: nelle società industrializzate e informatizzate la povertà assoluta dei disoccupati è inaccettabile sotto il profilo morale e… pericolosa sotto il profilo sociale.
Per molte delle mie considerazioni, attuali e anteriori, su questo problema sono debitore ai principi keynesiani e alle preziose indagini sociologiche del Prof. Domenico De Masi.

2) Sull’età di pensionamento avevo esposto le mie idee in un articolo pubblicato su questo blog il 7 ottobre 2012 dal titolo “Lavoro; strategie a confronto“. Riassumo, in modo grossolano: anticipando il pensionamento da 60 a 50 anni lo Stato dovrebbe annualmente rifondere all’Inps delle cifre insostenibili per i conti pubblici e, per contro, spostando il pensionamento da 60 a 70 anni, diminuisce il turn over dei lavoratori accentuando la crisi occupazionale.
Aggiungo oggi però che non si può stabilire un’età di pensionamento per tutte le categorie. Nei lavori creativi si può, e si vuole, andare avanti il più possibile - e il nostro Camilleri, pur novantenne e ormai cieco, non vorrà mai smettere di scrivere - mentre l’operaio, che sta per anni dietro una macchina, o l’insegnante, che sta per anni davanti a 25 testoline agitate dalle tempeste sentimentali e ormonali, giunto a 60 anni normalmente… non ne può più.
Cosa ancora più importante è che il passaggio dall’attività lavorativa alla quiescenza non dovrebbe essere istantaneo (fino al giorno x e poi basta) ma graduale. Se a 50 anni si lavora tranquillamente per otto ore al giorno, a 60 si potrebbe lavorare per 6 ore al giorno, a 65 per quattro ore al giorno e a 70 per due ore al giorno. Dopo i 70 anni decida lui… in base alla passione e al suo personale stato di salute.

3) Anche per l’immigrazione ho già detto che è una questione di misura: l’Italia può accogliere 20.000 immigrati l’anno e integrarli come si deve, con un lavoro dignitoso ed equamente retribuito, in modo da non incidere sul livello generale dei salari. Non ne può invece accogliere cinquecentomila l’anno, perché questi si sommerebbero ai 5.000.000 di poveri, incrementando a dismisura quello che Marx chiamava ‘l’esercito industriale di riserva’. Detto esercito è funzionale alla massimizzazione dei profitti degli imprenditori, ma non al popolo.
Sugli effetti dell’esercito industriale di riserva io ho denunciato soprattutto la delocalizzazione (l’impresa va dove il costo della manodopera è molto più bassa), mentre il Prof. Diego Fusaro ha concentrato la sua attenzione proprio sulle cause e gli effetti della immigrazione. Ma, come argomentato da entrambi - lui ad alto livello in tv e nei convegni ed io in questo modesto blog – delocalizzazione e immigrazione sono facce della stessa medaglia, che implicano lo sfruttamento cinico dei lavoratori.



(*) “Bisognerà anche affrontare il problema del ‘quantum’. Se oggi il salario medio netto di un lavoratore è di 1.000 euro e la stessa somma dovesse essere pagata dalla collettività a chi per motivi soggettivi o oggettivi resta inattivo, non ci sarebbe più alcuna spinta a cercare lavoro. Teniamo anche presente che l’elevato tenore di vita di cui si è goduto in Italia dagli anni Settanta in poi, ha abituato le nuove generazioni a una certa mollezza nei costumi e che comunque, se si può avere un dato reddito anche non lavorando, anche fra gli adulti pochi saranno quelli che sceglieranno di sacrificarsi per esso. Un amico residente in Svizzera, dove i sussidi per le categorie disagiate sono presenti, mi raccontava di un suo conoscente che ha volontariamente lasciato il lavoro per dedicarsi ad attività… più piacevoli.
Penso che un sussidio di 500 euro mensili consentirebbe di far fronte ai bisogni primari e che il suo costo per il bilancio dello Stato sarebbe pesante ma in fondo sostenibile.”



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