sabato 18 febbraio 2012

Gli eroi di Beppe Grillo


<< Se in Italia ci sono 19 milioni di pensionati e quattro milioni di dipendenti pubblici su 60,7 milioni di abitanti, allora quanti italiani devono pagare le tasse per mantenere in vita il 38% della popolazione escludendo bambini, studenti e disoccupati? Questo è il dilemma di Monti.
Il problema è stato risolto dai precedenti governi con l'aumento del debito pubblico, ma il debito ora è bloccato. Monti sta spremendo come un limone la società produttiva, ogni categoria sociale, persino le tesorerie dei Comuni.
L'Italia ha la tassazione più alta d'Europa, se Monti continuerà in questa direzione esploderà l'evasione. Infatti, meglio un evasore vivo di un contribuente morto e molti imprenditori stanchi di fare gli eroi stanno trasferendosi all'estero insieme ai loro capitali. Le tasse si possono solo diminuire, non aumentare.
Gli aspiranti pensionati, in particolare i quaranta/cinquantenni, sanno che in pensione non ci andranno mai e si disputano i pochi posti di lavoro con i giovani, sempre più disoccupati. Ma questo Monti non lo sa... Le leve del debito e dell'aumento delle tasse non sono più utilizzabili mentre il gettito fiscale è destinato a diminuire drasticamente per il fallimento di decine di migliaia di imprese e per il mancato Irpef di un milione di disoccupati in arrivo. La spesa è in contrazione.
L'unica alternativa per Monti è la rottura del Cerchio Magico dei pensionati e dei dipendenti pubblici che finora hanno sofferto la crisi meno dei privati. L'adozione della soluzione greca è inevitabile. Licenziamenti di decine di migliaia di dipendenti della Pubblica Amministrazione e taglio delle pensioni sopra a un certo tetto con l'introduzione della pensione massima che potrebbe essere di 2000 euro al mese.
Monti non ha scelta, ma preferisce non scegliere perché sarebbe subito defenestrato.
Non gli è possibile neppure mettere mano alle Province.
Ma il Cerchio Magico è destinato a rompersi. La clessidra non si può fermare. Intere aree del Centro Sud vivono di pubblica amministrazione e di pensioni. Non si lasceranno morire di fame per salvare le banche. I tesserati dei sindacati sono in prevalenza dipendenti pubblici e pensionati.
La Confindustria rappresenta gli interessi di concessionari alla Marcecaglia e alla Benetton, incollati alla greppia dello Stato, i partiti responsabili del disastro vivono ormai solo negli annunci mortuari dei giornali camuffati da articoli. Il Paese è dentro una camicia di forza. Può succedere di tutto.>>
                                                    Beppe Grillo: “Il boom”, 14 febbraio 2012

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Avevo un amico simpaticissimo. Parlava di tutto come un torrente in piena e, circa una volta al mese, per sostenere l’audience doveva aggiungere qualche barzelletta, recitata come si deve, con le giuste pause e le giuste accelerate. Incontrarlo e stargli dietro era uno spasso. Ma dopo circa un anno mi accorsi che i discorsi erano per lo più gli stessi, e le barzellette anche. Quella che, all’inizio, sembrava una inesauribile miniera si rivelava ben presto una piccola cassaforte, dalla quale di volta in volta tirava sapientemente fuori i suoi gioielli, in verità non preziosi e di numero piuttosto limitato.
Tale mi sembra anche il mattatore Beppe Grillo, il quale però, da quando è ‘sceso in campo’ come il cavaliere, insieme ai gioielli espone al pubblico anche rotondi ciottoli di mare e spigolosi sassi di montagna.
Con chi se la prende il comico? Con tutti. Di volta in volta con i politici e con il popolo silenzioso, con la destra e la sinistra, con gli imprenditori e gli operai, col nord e col sud. E quali ricette offre per salvarci dalla catastrofe di cui parla giornalmente? Il pesto alla genovese e lo sterminio dei pensionati e dei dipendenti pubblici; in massa come gli ebrei o in famiglia uno per uno, non importa come. E’ da anni che batte su questo chiodo per sfondare il muro di indifferenza dei giovani, e qualche risultato lo sta ottenendo: seminare odio fra le generazioni. A lui non interessa la vecchia lotta politica fra classi sociali (“Monti – dice - sta spremendo come un limone la società produttiva, ogni categoria sociale”) e, se da un lato critica Benetton e la Marcecaglia (storpiare i nomi, come fanno i bambini, è uno dei suoi artifici retorici preferiti), dall’altro si fa carico dei grossi problemi degli imprenditori (“meglio un evasore vivo di un contribuente morto e molti imprenditori stanchi di fare gli eroi stanno trasferendosi all'estero insieme ai loro capitali”). Ecco uno squarcio sulla filosofia politica di Grillo: imprenditori = eroi costretti all’espatrio; dipendenti pubblici e pensionati = parassiti. L’agitatore agita le acque per portarle dove vuole lui, messo che poi sappia tracciare un percorso lineare.

In uno dei suoi ultimi articoli (“Il boom” del 14 febbraio) fa capolino anche una considerazione geo-etnica. E non è una novità, perché in materia già si è pronunciato il 23 gennaio, sostenendo che “la cittadinanza a chi nasce in Italia è senza senso”. Ma questa volta si occupa di un problema interno, quello nord-sud, e lo fa in questi termini: “Intere aree del Centro Sud vivono di pubblica amministrazione e di pensioni”. Confusa, all’interno del suo discorso variopinto, che a tutto accenna e nulla approfondisce, l’affermazione stereotipata forse addolcisce il cuore leghista, ma non l’intelligenza degli altri Italiani. E così sono andato a vedere, con la mia inveterata passione per le statistiche, cosa ne dice l’Istat al riguardo.
Alla pagina http://www.istat.it/it/archivio/48729 il prestigioso Istituto mette il link di numerose tavole redatte a dicembre 2011 sui pensionati del 2009. E nella n. 1.1, accanto ad ogni regione italiana, trovo segnato il numero di pensionati Ivs (Invalidità, Vecchiaia e Superstiti, cioè il grosso del totale delle pensioni, perché ne restano escluse solo quelle per infortunio e quelle assistenziali), nonché la spesa complessiva e l’importo medio.
Poiché in essa noto che l’importo medio oscilla poco da regione a regione e che la spesa complessiva è la semplice risultante degli altri due valori, vado a scandagliare nella colonna del numero dei pensionati (maschi e femmine), li metto in rapporto al numero di abitanti di ogni regione e… trovo dei dati percentuali abbastanza interessanti.
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Non è il centro-sud a vivere di pensioni, come dice grossolanamente il comico (eh, non per nulla la Lega ha fatto di quel tema il suo ultimo baluardo). Dal Lazio alla Sicilia, ogni 100 abitanti, vi sono fra 23 e 30 pensionati, mentre dalla Val D’Aosta all’Umbria ve ne sono fra 30 e 39. E qual è la regione in cui il tasso è più alto? Insospettabile, la regione di Beppe Grillo, la Liguria, con 38,82 pensionati ogni 100 abitanti. Seguono l’Emilia-Romagna col 37%, il Friuli col 36,42, il Piemonte col 36,17% e via di seguito fino al Veneto col 30,19. E come stanno messi i parassiti del sud? Roma ladrona e il suo agro hanno il 26,67%; i vecchi siciliani, dalle lunghe basette e dalla coppola calcata in testa, hanno il 23,26% e, all’ombra del Vesuvio, fra immondizia e povertà, vive un 21,44% di pensionati.
Dunque, in quanto a somme erogate per le pensioni, il centro-nord non ha nulla da recriminare. Se invece si pensa implicitamente al fatto che al sud ci sono meno attività produttive e quindi meno contribuenti, devo dire che questo non è un problema di Monti, ma un problema storico sul quale fior di studiosi hanno indagato e fornito risposte. Aggiungo a tal proposito solo un’esperienza personale: in ogni piccolo paese del sud decine di sartorie chiusero i battenti, quando nei negozi da Valdagno arrivarono gli abiti della Marzotto e da Arezzo quelli della Lebole.

Non voglio fare il difensore a oltranza del Sud, ma pretendo che la storia e la politica vengano fatte sulla base di dati accurati e non con la disinformazione.
Quando ero bambino, negli anni Cinquanta, nella cittadina arrampicata su un colle in cui ero nato, c’erano veramente più asini che automobili. Poi negli anni Sessanta essi erano spariti e chi non aveva ancora l’automobile rimediava con la Vespa o la Lambretta. Eppure ricordo che, fino a vent’anni dopo, la tv continuava a mostrare sempre un calabrese che ne precedeva o ne seguiva uno. Mio padre rideva e diceva “Ma dove sono più questi asini?”: erano quasi scomparsi. Forse molti di essi, seguendo la lunga pista dei flussi migratori, erano andati via per accodarsi ad altri ciuchini locali ed istigare con loro all’odio verso ‘i padri con le mezze maniche’ e ‘i nonni in giacca da camera’: le due categorie che, come dice Grillo, rovinano l’Italia. Forse un po’ meno rovinose, però, di certi eroici imprenditori e di certi uomini di spettacolo che in due ore guadagnano mille volte di più.

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sabato 11 febbraio 2012

Il debito dello Stato nella Seconda Repubblica

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Il grafico sull’andamento del rapporto fra il Debito pubblico e il Prodotto Interno Lordo* è già noto alla maggior parte degli Italiani che seguono con un certo interesse l’economia del nostro Paese. Se lo ripropongo qui, è solo per smentire alcune affermazioni che passano attraverso la televisione con la velocità e la incontrollabilità che caratterizzano questo strumento di informazione.
Giusto ieri sera, nella trasmissione Servizio Pubblico, l’ex ministro Tremonti ha dichiarato che fra il 1995 ed il 2008 tanto i governi di sinistra che quelli di destra erano riusciti in egual misura a far diminuire il rapporto debito/pil e che l’inversione di tendenza, verificatasi dal 2008 in poi, era dovuta non tanto alla crescita del debito quanto alla diminuzione del pil. Credo che non siano vere né l’una né l’altra affermazione e, per dimostrarlo con un colpo d’occhio oltre che con le argomentazioni che seguono, nella parte bassa del grafico ho aggiunto degli asterischi colorati che indicano quali forze politiche in questo quindicennio erano al governo, in modo da individuarne in modo più preciso le responsabilità.

Nei primi sei anni, cioè dal 1995 al 2001, pur con cinque governi di brevissima durata (Dini, Prodi, D’Alema I e II, Amato), il centrosinistra riuscì a ridurre il debito dal 120 al 108% del pil, cioè in media del 2% all’anno. Nei successivi cinque anni, cioè dal 2001 al 2006 invece il governo Berlusconi, il primo che nell’Italia repubblicana ha segnato un’intera legislatura, il rapporto è passato invece dal 108 al 106%, con una flessione annua dello 0,40%; e non migliore è stato l’effetto del precario governo Prodi nel biennio 2006-2008, in cui il rapporto è rimasto sostanzialmente invariato.
La palma per la peggiore gestione va però assegnata proprio al governo di cui, fra il 2008 e il 2011, Tremonti era superministro dell’economia e delle finanze: in questi anni l’indicatore economico, per il quale oggi l’Europa ci accusa e i mercati mondiali ci sfidano, è nuovamente risalito dal 106 al 120%, con una aumento medio annuo del 4,66% , neutralizzando tutti i sacrifici e gli sforzi precedenti. L’Italia, così, come nel gioco dell’oca, è tornata in tre anni al punto in cui si trovava nel ‘95.

Ne L’arte della commedia di Eduardo De Filippo, un medico lamenta il fatto che nel suo rione, quando un paziente in gravi condizioni guariva, si ringraziava un santo e, quando invece peggiorava, si dava la colpa al medico. Berlusconi e i suoi amici si sono sempre comportati come i popolani di quel rione, capovolgendo però i criteri di imputazione delle responsabilità: ogni volta che sono saliti al governo e qualcosa è andata bene se ne sono attribuiti il merito, e quando invece le cose sono andate male - e male con loro sono di regola andate – hanno attribuito la colpa a fattori esterni: il terrorismo per il periodo 2001-2006 e poi la crisi finanziaria americana dal 2008 ad oggi. E’ vero che in questi ultimi tre anni anche negli altri paesi europei il rapporto debito/pil è peggiorato, però questi partivano dal 65% e sono arrivati all’80%, sono cioè rimasti entro una soglia tollerabilissima, mentre l’Italia col suo 120% ha suscitato gravi sospetti di insolvibilità. E non senza ragione: i primi ad avere paura sono infatti gli Italiani, che preferiscono tenere i risparmi, con la massima liquidità, nei conti correnti bancari anche allo 0,50% piuttosto che impiegarli in Buoni del Tesoro poliennali al 6%.

La seconda affermazione di Tremonti è che il rapporto, di cui qui stiamo parlando, è aumentato non tanto a causa dei debiti quanto per la diminuzione del pil. Anche questo non è vero, e lo dimostrano i dati pubblicati dal dipartimento del Tesoro**, che Tremonti non può contestare perché altrimenti finirebbe per contestare se stesso. Fra il 2008 e il 2011, mentre il pil è rimasto quasi invariato, il debito è passato da 1.666 a 1.905 miliardi (+ 239). Nonostante che i tassi sui titoli pubblici si fossero mantenuti molto bassi, il governo Berlusconi è cioè riuscito a spendere molto di più di quanto incassasse. Ma la differenza – ci chiediamo - era dovuta a maggiori spese o a minori introiti fiscali? In genere si tratta della prima ipotesi, ma non mancano casi del secondo tipo. Una succinta analisi di alcune spese ingiuste o inutili è stata fatta su questo blog il 20 ottobre 2011; ora ragioniamo invece su un caso specifico, ma particolarmente significativo, di minori entrate.

Nel 2006 il Prof. Prodi – non dimentichiamo che i ‘prof’ al governo nella Prima Repubblica non costituivano una eccezione e che, in una prospettiva storica, hanno di molto ben figurato rispetto ai ‘mercanti’ di oggi - sull’ici per la prima casa aveva concesso una detrazione di circa 300 euro; questo significava che chi abitava in una casetta non pagava nulla e chi aveva un appartamento molto grande pagava il dovuto al netto della detrazione. Nel maggio del 2008 Berlusconi ha azzerato l’ici sulla prima casa per tutti i proprietari di civili abitazioni, trattando fiscalmente allo stesso modo chi abita in 80 mq e chi abita in un appartamento di venti stanze. Questo provvedimento, che mai la sinistra ha avuto l’idea (o il coraggio?) di impugnare per incostituzionalità (“Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.- Art. 53 Cost.), ha fatto risparmiare molto ai cittadini agiati ed ha contribuito, insieme ad altri fatti, a gonfiare nuovamente quel debito che, come la falla di Capitan Schettino, ha messo in pericolo il sistema finanziario italiano.

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Nonostante i numerosi dati citati in questo articolo, devo confessare che non sono un fanatico dell’indice Debito/Pil. So che, pur trattandosi di uno strumento di indagine da usare in tutti i paesi europei secondo le regole comuni contenute nel manuale del Sec95, si tratta di un valore piuttosto incerto. Il numeratore (il debito) è un dato abbastanza affidabile, ma il denominatore (il pil) è in buona parte frutto di ardite supposizioni, in quanto il suo calcolo è inficiato da molti elementi: l’economia malavitosa e sommersa, l’evasione fiscale, l’auto-consumo ed i danni economici causati all’ambiente dalla produzione. Se lo Stato italiano fosse veramente in grado di determinare il valore di tutti i beni e servizi prodotti in un anno, vorrebbe dire che non c’è evasione, e i conti tornerebbero a posto senza bisogno di speciali, e tuttavia periodiche, manovre di bilancio. Ma così non è: lo Stato si limita, in realtà, ad integrare gli improbabili dati fiscali, di cui dispone, con congetture del tutto opinabili, relative ai vari elementi, leciti e illeciti, che sfuggono al suo controllo. Ciò detto, tuttavia, ipotizzando nel calcolo del pil un margine di errore costante nel tempo, si può comunque giungere a delle utili conclusioni.

Note:
*Grafico costruito sulla base dei dati forniti da Eurostat, alla pagina http://epp.eurostat.ec.europa.eu/tgm/table.do?tab=table&init=1&plugin=1&language=en&pcode=tsieb090  

** http://www.dt.tesoro.it/it/debito_pubblico/_link_rapidi/debito_pubblico.html 
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