martedì 21 giugno 2011

Furto di voti

Un blog non è posto adatto per una trattazione sistematica di argomenti complessi come i sistemi elettorali. Ma poiché spero, e prevedo, che questo argomento divenga cruciale nei prossimi mesi, cercherò almeno di cogliere le differenze tra il sistema proporzionale, che in Italia è stato in vigore fino al 1993, il sistema misto con collegi uninominali in vigore dal ’93 al 2005 (c.d. mattarellum) e il sistema proporzionale corretto (o corrotto?) dal premio di maggioranza, col quale si è votato nel 2006 e nel 2008 (c.d. porcellum).

Al referendum del ’93 contro il proporzionale votai con un no, perché intuii che si trattava di un espediente dei partiti maggiori (DC e PDS) per trasformare, a livello di collegi, le competizioni elettorali nel gioco di “asso piglia tutto”. Col sistema proporzionale fino ad allora in vigore, il numero di seggi assegnati in parlamento a ciascun partito era “esattamente proporzionale al numero di voti ottenuti”: il Parlamento diventava così lo specchio fedele dei vari partiti e dei vari strati sociali su cui ognuno di essi si reggevano. Col mattarellum, che fu la dovuta conseguenza dell’esito del referendum, le cose cambiavano: 475 dei 630 seggi della Camera dei Deputati erano posti in palio per il partito che, in ogni singolo collegio elettorale, avesse preso un solo voto più degli altri. Poteva dunque accadere che in uno dei collegi di Firenze il candidato della sinistra prendesse diecimila voti in più rispetto a quello di destra, e venisse eletto allo stesso, identico modo di un candidato di un collegio di Milano in cui la destra vinceva con soli tre voti di scarto.
Era un effetto iniquo, ma non era né l’unico né il più importante: infatti con questo meccanismo i piccoli partiti erano destinati a sparire. E questo era il vero scopo di DC e PDS, la prima aveva così la speranza di salvarsi da tangentopoli e il secondo la speranza di fagocitare tutta la sinistra. Alle elezioni del ’94 però, con Craxi in fuga e Forlani in tribunale, Berlusconi in modo inatteso scombussolò i giochi di entrambi: si sostituì alla DC e – aiutato da Dell’Utri (!), Previti (!), i fondi Fininvest e le trasmissioni di Mediaset – frustrò dolorosamente le aspirazioni della sinistra.

Nel 2001 Berlusconi vince per la seconda volta e nel 2005, quasi alla fine della legislatura, fa ciò che nessun politico corretto avrebbe mai fatto: cambia le regole del gioco. Non si trattò di ritocchi marginali, era qualcosa che stravolgeva i risultati elettorali e quindi la volontà popolare. Prima di lui questo lo fece solo Mussolini, al quale secondo me lui si è sempre segretamente ispirato. Ecco le nuove regole: 1) i partiti possono presentarsi in coalizioni; 2) alla coalizione che prende un solo voto in più su tutto il territorio nazionale, a prescindere dalla percentuale ottenuta viene assegnato il 55% dei seggi della Camera (il maggioritario si sposta così, agli effetti pratici, dai singoli collegi all’intero corpo elettorale!); 3) si riconferma lo sbarramento per i partiti minori; 4) nelle varie circoscrizioni i partiti o le coalizioni presentano una lista di candidati, e l’ordine con cui essi vengono elencati determinerà l’eventuale elezione (conosciamo adesso i criteri coi quali Berlusconi forma queste liste: molti avvocati capaci di legiferare a suo favore, faccendieri e belle ragazze); 5) ogni coalizione indica un candidato premier (per una repubblica parlamentare come la nostra, ritengo che si tratti di una norma incostituzionale, ma evidentemente le mie nozioni giuridiche devono essere un po’ scarse).

Nel 2006 il cavaliere viene disarcionato dai tanti rami dell’Ulivo, ma due anni dopo, si rimette in sella. Il nuovo congegno elettorale finalmente si è dimostrato a lui favorevole e può perciò dedicarsi, come gli imperatori gaudenti nel declino della Roma imperiale, alla cetra e al bunga bunga. Forse in futuro questi diversivi gli costeranno caro, ma non tanto caro se alle prossime elezioni voteremo ancora col porcellum, capace di trasformare le minoranze in maggioranze. Ne abbiamo un esempio nella tabella che segue, dove sono riportati in ordine i partiti e le coalizioni presenti alle elezioni del 2008, le percentuali di voti da essi ottenute, il numero di seggi a cui avrebbero avuto diritto se si fosse votato col sistema proporzionale (un dato “virtuale” che consente però il confronto fra i sistemi), i seggi che - in virtù del premio di maggioranza e dello sbarramento al 4% - i partiti della coalizione vincente hanno rubato agli avversari e ai partiti minori e, nell’ultima colonna, il numero di deputati assegnato col metodo di Calderoli, il dentista che ha spostato il trapano dalla bocca dei pazienti al cuore della democrazia.
Ecco qui sotto la tabella, che spero si abbia la pazienza di osservare per due minuti, superando la diffidenza e l’idiosincrasia per i numeri, dalla quale noi Italiani siamo afflitti più di altri popoli se tali numeri non rappresentano lire o euro. Seguirà una concisa spiegazione.
Con 289 deputati Berlusconi non avrebbe potuto formare un governo e sarebbe stato costretto a genuflettersi all’UDC di Casini, che da poco lo aveva mollato. Ma col nuovo congegno elettorale non c’è stato bisogno di farlo. Il PDL si è infatti auto-premiato con 51 deputati, sottratti a Bertinotti e Vendola (19), a Storace e Santanchè (15), a Boselli (6), a Ferrando(4) e a Sinistra Critica (3); altri dodici provengono dai partitini con meno dello 0,40%. Non tutti questi seggi rubati finiscono a Berlusconi, sette li rubacchia anche il PD e uno anche l’UDC, ma il colpo grosso lo fa il cavaliere.
Le storture di questa legge elettorale mi sembrano evidenti. E’ vero che negli USA può diventare presidente anche uno che prende meno voti se conquista più Stati ed è anche vero che il bipartitismo domina in Inghilterra da tanto tempo. L’Italia però è socialmente frastagliata come il territorio che la ospita, è lunga e stretta, ha un sud che lo Stato ha sfruttato e poi abbandonato sin dall’avvio dell’unità nazionale, e gli Italiani sono diversi dagli USA per storia e risorse naturali. Se per il sistema elettorale vogliamo proprio prendere qualcuno a modello, facciamolo con quello tedesco: proporzionale, con scelta popolare dei candidati e un qualche sbarramento che pone al riparo dai partiti “alla Mastella”.

A chi ancora sostiene il maggioritario, o il proporzionale con premio di maggioranza, con l’argomentazione della maggiore stabilità del governo, faccio osservare che 1) il governo Berlusconi è durato cinque anni dal 2001 al 2006 e adesso dura da tre anni, ma l’incompatibilità della Lega con Fini e Casini per motivi politici e l’incompatibilità di tutti e tre questi partiti con Berlusconi, per il suo stile di vita e i suoi problemi giudiziari, bloccano l’attività dell’esecutivo; 2) il fatto che un governo abbia maggiore durata non costituisce di per sé sempre un vantaggio: se fa leggi o riforme sbagliate, più dura e peggio è.
Nella prima repubblica, Presidente del consiglio e Ministri cambiavano ogni due anni o forse meno, ma c’era continuità nell’azione di governo e soprattutto c’era ascolto per le opposizioni e per le libere espressioni degli umori diffusi nei vari strati sociali. Adesso c’è il muro contro muro e la completa mancanza di rispetto per le regole più elementari. Quando Forza Italia vinse le elezioni nel ’94, per la prima volta nella storia della Repubblica la Presidenza delle Camere non fu più assegnata alle opposizioni: “Non si fanno prigionieri” era il motto di Giuliano Ferrara, l’ eminenza grigia nostrana, il Richelieu italiano del XX secolo.

Note.
1) I dati della tabella si riferiscono solo alla Camera dei Deputati e non tengono conto dei 12 seggi delle circoscrizioni estere e del seggio della Valle d’Aosta (è per questo che risultano 617 anziché 630); il sito del Ministero degli Interni riporta i dati disaggregati.
Al Senato il premio di maggioranza è a livello regionale, e non nazionale, ma anche per Palazzo Madama al cav. nel 2008 è andata bene, perché in regioni come la Sicilia, patria di Dell’Utri, Previti e Mangano, prese 15 senatori su 26.
Alle prossime elezioni però le cose per lui non saranno più così semplici; l’uscita di Fini gli è costata cara: dal 37,38% il pdl passa, nei sondaggi post-amministrativi e post-referendari, a circa il 28%, quasi dieci punti in meno, tanti quanti Fini gliene aveva portati in dote alla fusione dei due partiti.
2) Si è da poco costituito un comitato referendario per modificare il porcellum. Sosteniamolo con la raccolta delle firme: i tre quesiti, le ragioni del referendum e le modalità per la raccolta delle firme sono reperibili sul sito http://www.referendumleggeelettorale.it/
Del comitato promotore fanno parte: Claudio Abbado, Salvatore Accardo, Umberto Ambrosoli, Alberto Asor Rosa, Corrado Augias, Gae Aulenti, Andrea Carandini, Luigi Brioschi, Tullio De Mauro, Umberto Eco, Carlo Feltrinelli, Inge Feltrinelli, Ernesto Ferrero. Vittorio Gregotti, Carlo Federico Grosso, Rosetta Loy, Dacia Maraini, Renzo Piano, Mario Pirani, Maurizio Pollini, Giovanni Sartori, Corrado Stajano, Massimo Teodori, Giovanni Valentini, Paolo Mauri, Gustavo Visentini, Innocenzo Cipolletta, Domenico Fisichella, Stefano Mauri, Benedetta Tobagi, Franco Cardini, Luciano Canfora, Irene Bignardi e Margherita Hack. (Fonte: Repubblica.it)
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domenica 5 giugno 2011

Uomini di fede con diritti d'autore

Ci sono uomini di grandi qualità intellettuali, che si fanno portavoce di valori e che lavorano per divulgare il loro sapere e condurre così singoli uomini o l’intera società verso nuovi orizzonti. Parlo di illuminati laici, come Eugenio Scalfari, o di egregi studiosi della religione, come Enzo Bianchi e Vito Mancuso.
Sono persone che apprezzo molto, ma che suscitano in me un importante interrogativo: se il loro scopo (per non dire la loro missione) è quello di far giungere a tutti il loro messaggio, perché mettono le loro opere sul mercato editoriale a prezzi così alti? Che bisogno c’è di una rilegatura elegante, di un editore importante, di una distribuzione presso librerie che, da quanto mi risulta, pretendono circa il trenta per cento del prezzo di copertina? E, soprattutto, se amano così tanto il popolo, perché pretendere cospicui diritti d’autore?
Che io sappia, Scalfari non dovrebbe avere bisogno di tanto denaro. Ha ormai una certa età e, alle spalle, una carriera giornalistica importante e remunerativa. A cosa gli serve altro denaro? Enzo Bianchi è fondatore di una comunità cristiana in cui lo stile di vita quotidiano dovrebbe essere improntato all’indirizzo evangelico della povertà. Allora perché i suoi libri costano quanto quelli di un qualunque saggista? Vito Mancuso si fa coraggioso alfiere di una approfondita esegesi dei testi sacri, per dare una svolta più moderna ai principi religiosi. E allora perché i suoi volumi sono inaccessibili alla gente comune, che fa fatica a far quadrare il bilancio familiare?
La stessa cosa vorrei dire per i libri di D’Alema e Veltroni o altri politici della stessa estrazione, che dicono di battersi per il popolo e la democrazia. Ma per loro queste domande non me le pongo proprio: devono abitare in appartamenti lussuosi e concedersi la barca lunga per solcare i mari e andare in vacanza negli stessi posti in cui vanno gli industriali e i manager. Per loro è inutile farsi troppe domande: parlano alla sinistra ma con gli occhi guardano a destra e con le mani pescano a destra e a manca.

Sono in tanti - gente di minore caratura - quelli che studiano i problemi politici e morali della nostra epoca e dedicano ore e ore della giornata e anni e anni della loro vita per comunicare qualcosa agli altri. Non sono né degli Scalfari né un Bianchi o un Mancuso, ma mettono i loro modesti scritti su internet, dove tutti possono leggere gratuitamente. Se qualcosa merita poi di essere pubblicato su carta, lo fanno a costi bassissimi e la vendita è senza profitti. Oggi, con l’aiuto dei mezzi informatici, si possono stampare copie di un libro con un costo che va dai tre ai cinque euro. Allora perché i nostri tre moschettieri della laicità o della religione non mettono le loro opere sui loro siti oppure non le fanno arrivare nelle librerie a prezzi bassi?
L’ultimo libro di Eugenio Scalfari, Scuote l’anima mia Eros, costa 14,45 euro; L’anima e il suo destino di Vito Mancuso, un best seller, costa 18,61 euro; Enzo Bianchi ha pubblicato Una lotta per la vita. Conoscere e combattere i peccati capitali: chi vuole cimentarsi in questa dura battaglia deve però sborsare 14,88 euro. I tre libri vengono a costare complessivamente 48 euro mentre su internet potrebbero essere letti gratis. Qual è il motivo della scelta degli autori? Non è, per caso, che predicano bene e razzolano male? Non è , per caso, che per Padre hanno Dio ma per nipoti hanno i figli dei propri figli o i figli dei fratelli di sangue?

P.S. Mia moglie, fedele ascoltatrice della trasmissione Uomini e Profeti su Radiotre, che ospita molto di frequente Enzo Bianchi, mi fa osservare che la Comunità di Bose si autofinanzia col lavoro ed i contributi di tutti coloro che vi partecipano o ne vengono ospitati e che il ricavato dei diritti d’autore di Bianchi potrebbe essere il suo personale contributo economico alla comunità da lui organizzata e diretta. E’ molto probabile che sia così.
Osservazione accolta!
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