venerdì 9 novembre 2012

Dottor Davide Serra, aiutante rottamatore

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“… Il primo anno dell’università ero sui banchi dell’aula magna (della Bocconi). Il Prof. Monti (…) disse che nel 1992 il debito pubblico era già al 125% del prodotto interno lordo. Io dicevo: se l’Italia ha una casa, mi hanno lasciato un mutuo che ha il 20% superiore al valore della casa.”
A parlare è Davide Serra, quarantunenne, bocconiano, fondatore del fondo di investimento Algebris con sede a Londra ed oggi promoter della candidatura di Matteo Renzi a leader della coalizione di centrosinistra. Queste le parole, con cui egli risponde a una delle prime domande postegli da Lucia Annunziata nella trasmissione pomeridiana “1/2 h” del 28 ottobre 2012.
http://www.youtube.com/watch?v=8iwVCsYo-Lc  
Nulla da eccepire ovviamente sulla notazione del Prof. Monti relativa al debito pubblico italiano nel 1992: quello fu l’anno in cui il VII governo Andreotti dovette passare il testimone prima a Giuliano Amato e poi a Carlo Azeglio Ciampi, i quali, insieme ai loro successori Dini e Prodi, nei successivi dieci anni ridurranno il rapporto del pil sul debito pubblico dal 120% al 108%.
Molto c’è invece da eccepire sulle deduzioni del giovane manager, il quale, ribadendo certe sue considerazioni anche a distanza di venti anni, dimostra di non aver migliorato di molto i suoi metodi di analisi della finanza pubblica. Se all’estero, com’egli dice, è stato così brillantemente promosso, credo che in Italia a qualcuno toccherà bocciarlo, e spero a che a farlo, prima o poi, sia lo stesso Monti.

Per meglio comprendere la questione, ritengo utile fare un parallelo fra le finanze di una famiglia e le finanze dello Stato. Lo schema che segue, a titolo di esempio, può sembrare ingenuo, ma servirà ad evidenziare un’idea importante, e cioè che il reddito annuo delle famiglie trova corrispondenza nel prodotto interno lordo di uno Stato (pil), la qual cosa permetterà di rintracciare più facilmente l’errore in cui il dott. Serra inciampò e continua tuttora ad inciampare.

FAMIGLIA                                             STATO ITALIANO

Attività patrimoniali 500.000           Attività patrimoniali 8.638 mld
Debiti 100.000                                        Debiti 1.897 mld
Reddito annuo 80.000                          Pil annuo 1.580 mld

Supponiamo che la famiglia Rossi goda di un reddito annuo di 80.000 euro ed erediti un appartamento, che vale 500.000 euro e sul quale grava un mutuo di 100.000 euro. Io mi chiedo: per quale motivo il sig. Rossi dovrebbe preoccuparsi se il mutuo è pari al 125% del reddito? Lo pagherà in 10 rate annue da 12.000 euro e all’estinzione del debito si ritroverà con un appartamento in più.
La convenienza ad ereditare va calcolata confrontando l’importo del debito con il valore dell’appartamento, e non col reddito familiare. Questo rapporto è, nell’esempio fatto, di 1/5 e dunque è abbastanza vantaggioso. Sarebbe una follia non accettare l’eredità, ed un peccato imperdonabile riservare impietose critiche al benefattore.

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Facciamo ora una trasposizione dei conti della famiglia Rossi a quelli dello Stato italiano.
L’anno scorso il Pil italiano (cioè il valore di tutti i beni e servizi prodotti in un anno, che corrisponde poi esattamente al reddito complessivo degli italiani) era di 1.580 mld e il debito pubblico di 1.897 mld (1) , mentre la ricchezza delle famiglie (beni immobili, imprese e attività finanziarie) ammontava a 8.638 mld .(2)
Misurare il rapporto fra il debito e il pil (1.897/1.580) sarà certamente utile per giudicare se il 'flusso' della ricchezza prodotta annualmente garantisce in modo adeguato il pagamento del debito nel corso del tempo, ma non dice nulla della disposizione dei cittadini ad accollarsi il debito pubblico, se insieme ad esso si gode di un 'fondo' di ricchezze di consistenza ben maggiore. Per valutare questa opportunità bisogna confrontare il debito pubblico con la ricchezza delle famiglie, e non con il pil.
I cittadini italiani ereditano oggi un patrimonio, fatto di risorse naturali e di beni prodotti degli uomini nel corso della storia - come individui, ma anche come organismo sociale - per un valore pari a 8.638 mld, mentre si assumono l’obbligo di pagare in tempi lunghissimi, in pratica senza una precisa scadenza, un debito pubblico di circa 2.000 mld, formatosi anch’esso nel corso di una storia secolare.(3) Ogni 100 euro, ereditati dal passato ed immediatamente disponibili, se ne dovranno dunque pagare 23 in un futuro non definito o comunque in tempi storici.

Sono, queste mie, delle valutazioni molto diverse da quelle fatte dal giovane dott. Serra, e ciò perché mi sembra di poter riscontrare nelle sue persistenti considerazioni giovanili un grave difetto di analisi. Per quanto mi riguarda, resta solo da vedere se questo difetto derivi da incompetenza o, com’è più probabile, da dolosi intenti mistificatori.
Certo non è il solo ad essere caduto, ed a sua volta ad indurre a cadere, in questo macroscopico errore. Credo che la manipolazione di alcuni indici nella finanza pubblica abbia avuto inizio con una ricerca effettuata nell’Università Cattolica di Milano nel 2008 (autori i proff. Rosina e Balduzzi)(4); da allora essa è stata egregiamente cavalcata da tutta la destra politica italiana, per giungere ad aver credito persino sul blog e nei comizi dell’ardimentoso e scoppiettante Beppe Grillo. (5)

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Il vecchio Marx aveva visto giusto in tante cose – il duplice valore delle merci, l’aspetto alienante del lavoro, la funzionalità della disoccupazione rispetto al profitto dell'impresa, ecc. – ma ha avuto torto nel poggiare la storia del mondo soprattutto sui rapporti di forza concreti, sui rapporti economici. Non di rado le idee precedono i fatti storici, e li guidano per farli giungere ad una destinazione prestabilita; perciò bisogna stare attenti a tutti coloro che, in virtù di una posizione privilegiata nell’economia o nei media, cercano più o meno volontariamente di far passare per buone delle informazioni inesatte o… tendenziose.

Link:
(1) http://www.dt.tesoro.it/it/debito_pubblico/_link_rapidi/debito_pubblico.html
(2) http://www.ilsemedellutopia.blogspot.it/2012/07/il-macigno-del-debito-pubblico.html
(3) Il rapporto debito/pil ebbe punte del 125% alla fine dell’Ottocento e del 160% nel 1921. v. http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/quest_ecofin_2/qef_31/QEF_31.pdf  (figura 4a)
(4) http://dipartimenti.unicatt.it/scienze_statistiche_RosinaBalduzzi3-4-08.pdf
(5) http://www.ilsemedellutopia.blogspot.it/2010/09/le-responsabilita-dei-vecchi.html

Cataldo Marino
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mercoledì 7 novembre 2012

Gli organi collegiali

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Fino al 1974 la scuola italiana escludeva da ogni decisione di tipo organizzativo e didattico gli alunni e le famiglie e dava agli insegnanti un ruolo piuttosto limitato rispetto alle direttive del dirigente scolastico. I decreti delegati di quell’anno posero fine a queste esclusioni, istituendo in ogni scuola gli organi collegiali: il Consiglio di classe (preside, insegnanti, studenti e genitori), il Consiglio di istituto (stesse componenti del Consiglio di classe) e il Collegio dei docenti (preside e insegnanti). Per ognuno di questi organi i decreti delegati hanno stabilito le attribuzioni e le regole fondamentali di funzionamento.
L’obiettivo principale che quei decreti volevano raggiungere era quello di rafforzare le forme di democrazia partecipativa all’interno di una struttura scolastica fino ad allora autoritaria, ma che in quegli anni veniva pesantemente investita da una impetuosa, a tratti dirompente, contestazione da parte della società civile, in generale, e degli studenti universitari e medi, in particolare.

A distanza di circa venticinque anni dalla loro istituzione, questi organi rischiano di subire, nelle situazioni di fatto ancor prima che in nuove norme, una ristrutturazione in senso autoritario. Questa operazione politica è tanto più facile e rischiosa quanto più le componenti dei docenti, degli alunni e dei genitori ignorano i principi fondamentali che regolano il funzionamento degli organi collegiali. E’ per questo che bisogna sentire il dovere di avvicinarsi al problema e cercare di suscitare per esso un certo interesse fra colleghi e studenti.
Per una definizione degli organi collegiali ricorriamo alle parole del prof. Costantino Mortati, insigne giurista e coestensore prima e interprete poi della nostra carta costituzionale.
Nel suo testo di Istituzioni di Diritto Pubblico, su cui si sono forgiati e continuano, sia pur in modi diversi, a forgiarsi studenti universitari di più generazioni e che rappresenta ancora oggi un pilastro di quel ramo del diritto, il prof. Mortati, a proposito degli organi collegiali, si esprime nei seguenti termini: “…sono quelli che hanno come titolare un insieme di persone chiamate ad agire come unità, essendo la volontà dei singoli unificata nel collegio cui ogni membro partecipa, in condizione di parità e di inseparabilità. Sembra inesatta l’opinione che considera i singoli componenti il collegio, anziché titolari di un unico organo, distinti organi dello Stato oppure organi interni dell’organo collegiale”.
Sulla definizione si ritiene utile qualche semplice annotazione esemplificativa.
Che la titolarità dell’organo collegiale spetti a più persone come se fossero un’unica persona (“agire come unità”) significa nel nostro caso, cioè negli organi della scuola, che né un membro (il docente Tizio o il genitore Caio) né una componente dell’organo collegiale (i docenti, gli alunni, i genitori o il preside) possono credere di rappresentare unilateralmente l’intero organo.

L’affermazione che “ogni membro partecipa in condizione di parità” rafforza tale idea, significando che nessuno può pretendere di influenzare la volontà unitaria dell’organo collegiale accampando una qualche speciale prerogativa.
Questa regola non trova eccezioni nemmeno per quanto riguarda il ruolo di colui che presiede l’organo collegiale, il quale deve limitarsi a garantire il corretto svolgimento dei lavori: 1) facendo le convocazioni con la preventiva comunicazione dell’ordine del giorno (gli unici problemi che il collegio può discutere e su cui può deliberare); 2) dando la parola a tutti i i partecipanti che ne fanno richiesta; 3) assegnando a chiunque e quindi anche a sé stesso un tempo massimo per esporre le proprie argomentazioni ed evitando così interventi troppo lunghi che danneggiano l’economia del dibattito; 4) impedendo interventi non pertinenti rispetto all’ordine del giorno; 5) invitando i membri del collegio a presentare tutte le mozioni ritenute soggettivamente opportune e che solo secondo il vaglio dell’organo collegiale possono essere accolte o respinte; 6) sottoponendo al voto le singole mozioni presentate, con le procedure (voto palese o segreto , per alzata di mano o per appello nominale) stabilite, di volta in volta, dallo stesso organo in base al principio di autoregolamentazione; 7) garantendo la corretta verbalizzazione di tutte le delibere e dei soli interventi per i quali ne sia stata fatta esplicita richiesta; 8) specificando gli esiti delle votazioni (unanimità o maggioranza dei voti validamente espressi).

Il presidente dell’organo collegiale, ad esempio un rappresentante dei genitori nel caso del Consiglio di Istituto, non guida i lavori del collegio nel senso di suggerire, né tanto meno di imporre, il proprio punto di vista in quanto più alto e qualificato rispetto ad altri punti di vista. Egli è guida solo nel senso di garantire un regolare, ordinato ed efficiente svolgimento dei lavori. Su questo punto il Mortati è molto chiaro, quando afferma che i singoli componenti il collegio non sono “organi interni dell’organo collegiale”; in altre parole, ogni membro di un organo collegiale si presenta, in quella sede, spoglio di qualunque ruolo esso possa di norma ricoprire all’esterno di tale organo.
Quando sorgono dubbi su quale debba essere il regolare funzionamento di un qualunque organo collegiale della amministrazione statale, può sempre essere utile un riferimento a quelli che sono i più importanti organi di questo tipo: i due rami del Parlamento. Far assistere gli alunni e, perché no?, anche docenti e genitori (per i presidi si presuppone già una buona conoscenza di questi meccanismi procedurali) ai dibattiti parlamentari trasmessi dalla televisione in occasione di decisioni politiche importanti, sarebbe una lezione molto utile per capire e “praticare” le principali regole della democrazia a tutti i livelli.
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1. Nato a Corigliano Calabro nel 1891, morto a Roma nel 1985. Professore di Diritto costituzionale, deputato alla Costituente, giudice della Corte Costituzionale.

2. Al voto segreto si ricorre quando la decisione riguarda le persone.
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* Questo articolo fa parte del mio saggio “Il disagio degli insegnanti”, pubblicato a dicembre del 2000 a Rossano (CS) e riproposto sui siti www.unicobas.it  nel 2001 e sul mio sito personale www.itineraricataldolesi.it  nel 2007.
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