lunedì 28 giugno 2010

Sul Po, dai mulini alle armi

Quando su google si inizia a digitare un nome, già alle prime lettere il motore di ricerca ne suggerisce alcuni fra quelli più noti. Ad esempio, non appena componete le lettere“umbe”, google lo trasformerà subito in “Umberto” e a fianco appariranno in ordine i cognomi di Saba, Bossi, Eco, Galimberti e Veronesi. Fatto salvo il poeta, vedere questi ultimi tre essere preceduti da Bossi, lì per lì m’ha fatto un po’ senso, ma subito mi sono dato una ragione del fatto che quest’ultimo fosse più “cliccato”: chi non prova una certa curiosità a saperne qualcosa di più, di quanto non emerga oggi sui media, sul profilo del politico? Al momento dell’exploit della Lega, i giornali avevano fatto trapelare qualcosa sul suo passato ma, con l’incalzare degli eventi, l’occhio della stampa si rivolse maggiormente al quotidiano, e alle sue imprevedibili sortite. Di quelle prime indagini biografiche, ricordo qualche accenno a una sua precedente iscrizione al partito comunista e poi un curriculum degli studi, per il quale neppure il figlio-trota ha motivo di provare invidia.

Non disponendo in casa di una sua biografia (di Berlusconi ce ne sono tante, di suo invece c’è poco o nulla) e rinunciando, per ovvi motivi, alla consultazione della vecchia Treccani ereditata dalla suocera, proseguo dunque la mia ricerca su google, accontentandomi di quanto dice Wikipedia. Bene, dall’enciclopedia “volatile” risulta che oggi egli ha sessantotto anni (gliene davo di più!) e su di essa trovo anche conferma di quanto ricordavo circa la sua prima militanza politica e gli studi. Si aggiunge poi che a 34 anni si sposa mentre è ancora iscritto alla Facoltà di Medicina. Quando di anni ne ha 38, la moglie, la prima, gli dà però un ultimatum: un lavoro fisso è necessario per portare avanti la famiglia. Ma dopo tre anni si vede costretta a chiedere il divorzio: al marito, ormai quarantunenne, per la laurea mancano ancora 11 esami!

Ma proprio in quell’anno il nostro moderno Brancaleone scopre le sue nuove radici etniche, si dà arie di moralizzatore della vita pubblica, ritrova nel proselitismo quell’occupazione stabile verso la quale la moglie lo aveva inutilmente spinto, e in Italia trasforma il conflitto sociale in conflitto territoriale. “Melàno” dice storcendo la sua larga bocca, per ridicolizzare i suoi primi nemici, gli immigrati provenienti dalla “terronia”. E su questa scia trova in fretta i primi seguaci: evidentemente la cultura non serve molto per far politica, visto che l’unico suo titolo di studio è ancora quello di perito tecnico, ottenuto nella scuola per corrispondenza RadioElettra.

A 43 anni conosce poi Manuela Marrone, che sposa, però, solo quando di anni ne avrà 53. Cosa abbia indotto questa maestrina siciliana a sposare, oltre che lui, anche la passione antimeridionale del marito, è cosa che sul momento lascia alquanto perplessi; ma una spiegazione sociologica è possibile: un ribaltamento di status che la sottrarrà stabilmente alla subalternità subìta e la farà salire sul “carroccio”. E lei non è l’unica a farlo fra i terroni del nord: avranno tutti avuto la loro bella convenienza!

Questo è il personaggio che precede, su google, i proff. Eco, Galimberti e Veronesi, e che dice di poter disporre di dieci milioni di uomini pronti ad imbracciare il fucile ad un suo cenno. La prima cosa che mi si affaccia alla mente è l’ingratitudine di quest’uomo: nel 2004, dopo due mesi di coma, il Padreterno lo tira su per i capelli, e subito dopo lui parla di fucili. Il secondo pensiero riguarda un enigma: come farà a trasformare tre milioni di voti in dieci milioni di fucili? Le tre regioni in cui la Lega è presente contano 19 milioni di abitanti. Tolte le donne, che probabilmente e saggiamente preferiscono continuare a fare il risotto, tolti vecchi e ragazzi, che solo Hitler nel mondo occidentale mandò a combattere, e tolto infine quel 75% di persone che, la Lega, neppure la vota - è ancora possibile, mi chiedo, trovare dieci milioni di persone disposte a imbracciare il fucile? Al massimo si potrebbe trovarne due milioni e dare ad ognuno di esse cinque fucili, ma ciò comporterebbe uno spreco troppo deprecabile per uno che antepone l’economia a tutto il resto. E chi li imbraccerebbe poi questi fucili? Non lui, mi pare, data l’età e le condizioni psico-fisiche. Chi altri allora, se non i giovani padani? Felici, lui pensa, lasceranno in massa le fabbriche e le aziende familiari, diranno addio alla moto e alle discoteche, daranno un bacio alla morosa e alla mamma e s’inerpicheranno su per l’Appennino tosco-emiliano, per sparare. Cosa c’è di più esaltante per un signor perito, quasi settantenne, del vedere il sangue delle camicie rosse e delle camicie verdi bagnare le dolci colline toscane e i lembi della fertile pianura padana?



Forse sono troppo pessimista, ma io temo che, se si continuerà a fare orecchio da mercante, o a dire che si tratta solo di scherzi e malintesi, le scene qui paventate possano anche diventare realtà. Perché se Bossi veramente disponesse di tanti fucili, anche gli altri potrebbero armarsi. Forse lo farebbero i nipotini di quelli che nel 1915 dalle città e dalle campagne di Palermo, Bari, Napoli, Roma e Firenze risalirono su per le Alpi per sparare contro gli Austriaci. Ma a sparare forse sarebbero anche i bolognesi e i genovesi, che poco hanno da spartire, per tradizioni e cultura, con la Lega. E a questo punto, forse, Austriaci e Tedeschi, aiutati dalle teorie leghiste, si ricorderebbero che in Alto Adige si è sempre parlato il tedesco e che il principio di autodeterminazione vale anche per loro. E forse gli Sloveni potrebbero pensare che sulle Alpi carniche e giulie qualche cocuzzolo potrebbe far comodo anche a loro. Ci saranno fucili anche a nord del nord e ad est dell’est? Insomma tante cose potrebbero essere rimesse in discussione, finchè non spuntasse un nuovo Metternich o non si tornasse a fare due chiacchiere a Yalta. Peccato che le letture del sig. Bossi si siano fermate ai manuali di Scuola RadioElettra ed ai riti celtici: una buona infarinatura di storia patria avrebbe evitato a tutti noi alcuni pericoli, e a lui tante, ma tante, figuracce.
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mercoledì 2 giugno 2010

Grecia, la piccola madre


Da cosa si giudica oggi un uomo? Dai vestiti, la casa, la macchina, la facilità con cui può spendere. E da cosa si giudica oggi uno Stato? Dal debito pubblico e dal Pil. Solo e sempre, il denaro.
E’ per questo che la madre della civiltà mediterranea è oggi considerata solo un piccolo Stato. Che l’Europa dei “grandi” ha a malapena ammesso nell’Unione, e comunque è sempre pronta ad allontanare come si farebbe con un vecchio barbone che ha cercato di fregarvi cinquanta centesimi.
La storia ormai non conta più, si sbriciola in giorni, mesi ed anni, e lo sguardo non si allunga più ai secoli e ai millenni. E così la Grecia è oggi solo un paese di dieci milioni di abitanti, con poche industrie e poche strade. Il fatto che ci abbia insegnato l’abc del ragionamento e dei canoni estetici, non è più nella memoria collettiva e, se anche vi fosse, non varrebbe a nulla perché, quando l’unico valore che guida l’azione è l’arricchimento, non esiste più il sentimento della gratitudine, capace di legare il presente al passato.
E’, ormai, la Grecia, simile a una piccola madre che ha generato, allattato, insegnato a stare in piedi e a correre, fatto capire la realtà con le favole e i discorsi e indicato la via della virtù. Ma, adesso, vecchia, povera, malandata, incapace di tenere il passo dei più giovani, viene rimproverata, derisa e minacciata di essere cacciata via.
Io ne provo vergogna. E lei, signora Merkel?
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