giovedì 21 ottobre 2010

Film da rivedere: Le mani sulla città, 1963

Napoli, 1963. Eduardo Nottola, spregiudicato costruttore edile e consigliere comunale della sua città, costringe il sindaco e gli assessori del suo partito a modificare il piano regolatore in modo tale che il terreno agricolo, da poco acquistato a prezzi bassissimi, cambi destinazione in terreno edificabile. Il comune, col denaro concesso dal governo centrale, costruirà le strade e porterà luce, acqua, fogne e gas dove lui poi costruirà moderni palazzi. Cosa offre in cambio ai suoi amici? Voti e denaro.
E’ uno schema molto semplice che ancora oggi funziona, proprio così come funzionava negli anni del boom edilizio del dopoguerra. Una delle tante forme di collusione fra potere economico e potere politico, forse la più redditizia.
Naturalmente, se dagli affari loschi c’è qualcuno che ne trae vantaggio, ci sarà anche qualcuno che ne verrà danneggiato. Nel caso specifico, gli altri proprietari di terreni, forse più idonei ma sui quali non si potrà più costruire, ed i cittadini in generale, come conseguenza di scelte urbanistiche che spesso violentano il territorio ed il tessuto urbano, consegnato dalla storia alla città, e che peggiorano la qualità della vita dei suoi abitanti.

Il fatto che, nei cinquanta anni che seguono l’uscita del film di Francesco Rosi, tutte le città italiane di medie e grandi dimensioni abbiano visto sorgere e crescere, oltre il perimetro del centro storico, tanti quartieri in cui è prevalso il criterio economico, ma antiestetico ed antifunzionale, della verticalizzazione degli edifici, dimostra che poche sono le possibilità di opporre resistenza alla speculazione edilizia.
In Le mani sulla città si vede un consigliere dell’opposizione fronteggiare coraggiosamente il gruppo di potere facente capo all’imprenditore, ma dal 1975 in Italia, nelle amministrazioni locali, si sono alternati governi tanto di destra quanto di sinistra, e ciò nonostante la tendenza a sfruttare il suolo con grandi “formicai” non è cambiata.
Pochi sono gli uomini la cui onestà non abbia un prezzo: c’è chi si vende per mille euro, chi per diecimila, chi per centomila e chi cede solo a cifre maggiori – dipende dalle condizioni materiali e culturali - ma la maggior parte di essi, non nascondiamocelo, sono sempre potenzialmente in vendita. Perché il denaro è un passepartout per il potere, per il benessere, per il prestigio sociale e persino per la vita amorosa, altrimenti non si spiegherebbe come sciami di belle ventenni si concedano tanto facilmente ad alcuni magnati che potrebbero tranquillamente essere loro nonni.

Fatta questa amara considerazione, e non senza precisare che esistono anche uomini che per i loro ideali e la loro lealtà hanno dato anche la vita, dobbiamo allora convenire che la lotta contro i palazzinari è persa in partenza?
I costruttori disonesti, i politici corrotti, i molti urbanisti e faccendieri subalterni agli uni e gli altri sono centinaia di migliaia, mentre i cittadini sono milioni. Con una buona informazione capillare, oggi aiutata dalla rete internet, è possibile scoprire i tanti altarini prima protetti dalla connivenza di tv e giornali. La giustizia e le carceri esistono ancora, si tratta solo di riuscire a mandarci i nuovi re del mattone e i loro vassalli. Insieme a mafiosi, grandi evasori, trafficanti di droga e sesso.

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Nel ’63 già da tempo si imponeva la pellicola a colori, ma i grandi registi (Fellini, Antonioni, Visconti) rimasero ancora per un po’ affezionati al bianco e nero, che sarebbe più giusto chiamare, come oggi si fa nei programmi informatici, “scala di grigi”. E’ in questi chiari e scuri, privi di colore, che prende forma la straordinaria interpretazione di Rod Steiger, che dà alla cattiveria e all’egoismo un viso teso e cinico. Due anni dopo, in L’uomo del banco dei pegni, con altrettanta efficacia lo stesso attore darà invece il proprio volto alla sofferenza di un ebreo scampato ai lager nazisti, che, rimpiangendo il proprio passato, non riesce più ad aver cura della sua vita interiore.

Il film, oggi suggerito, dura un’ora e tre quarti e non bisogna scoraggiarsi per i pochi minuti dedicati ai titoli di testa e ad una convulsa seduta del Consiglio comunale: a chi supera queste due prove offrirà un quadro molto fedele di quanto accadeva nell’edilizia mezzo secolo fa, che non è poi molto diverso da quello che accade oggi.
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venerdì 15 ottobre 2010

Librisulcomodino


Fino a una certa età si studia poggiando il libro sulla scrivania, magari con il foglietto degli appunti a fianco. Dopo i vent’anni le giornate vengono assorbite dal lavoro e dalle faccende familiari e, dopo i sessanta, la schiena non regge a lungo nell’incurvarsi e le letterine stampate ballano davanti agli occhi. E’ quello il momento in cui o leggi comodamente in poltrona o metti il libro sul comodino: lo prendi in mano il pomeriggio, prima della pennichella, o la sera, prima della tirata notturna.
Tengo sul comodino dei libri fissi e dei libri che si passano il testimone. Uno dei libri fissi è la Bibbia: la prima copia la comprai a quattordici anni, proprio quando decisi stupidamente di “fare” l’ateo: strana coincidenza. Non la leggo tutte le sere, non la leggo sistematicamente, non ne leggo tutte le parti; ho un tipo di lettura “mordi e fuggi”; rifuggo dai Libri Storici, mentre sono affascinato da quelli Sapienziali e dal Vangelo; torno di frequente sulle poche pagine della Lettera di Giacomo. Mi arrampico su qualche ramo del libro divino, quando resto sconfortato dall’agire umano, nel quale includo i libri umani.
Lo so che non l’ha dettato Dio, come dicono, ma ha un suo fascino. Non tutto è chiaro, ma fa parte del gioco. Solo rimprovero ai tanti cultori che si sono affannati a tradurre: perché appigliarsi a una incomprensibile traduzione letterale? Mettete il punto dove è necessario e nelle costruzioni sintattiche abbiate pietà per il lettore. Vorrei conoscere il tedesco per vedere se Lutero è stato un po’ più lungimirante, ma… ormai è tardi per imparare. Comunque, va bene anche così.

Fra i libri che si passano il testimone, ce n’è uno che “corre” spesso: i tre romanzi di Kafka in unico volume. La frequenza con cui riposa sul comodino forse è dovuta allo stesso motivo della lunga permanenza della Bibbia: è oscuro, entro certi limiti puoi vederci quello che vuoi. C’è però, col primo in classifica, una differenza importante: le parole giuste in ogni frase, le virgole che spezzano nel modo giusto anche i periodi più contorti. Non vorrei essere blasfemo, lo dico un po’ scherzosamente: almeno per la forma, nella trilogia Il processo-Il castello-America, Dio sembra essere intervenuto con maggiore attenzione.
Naturalmente, più è oscuro il racconto, maggiori sono le possibilità di interpretazioni. Su Kafka ho letto la monografia di uno dei più illustri critici, Pietro Citati, ma, nonostante le numerose e qualificate fonti a cui scrupolosamente egli attinge per il suo saggio, non ne condivido l’interpretazione religiosa o mistica dello scrittore praghese; sarà per alcuni aspetti del lavoro che ho svolto fra i venti e i sessanta anni, ma vedo in Kafka soprattutto la denuncia più suggestiva degli infernali meccanismi della burocrazia. Forse in ciò sono stato condizionato anche dalla lettura della tesi di un mio caro e stimatissimo amico, dalla quale ho ricavato la stessa chiave di lettura.
Dopo aver letto i romanzi e i racconti vorrei dare un'occhiata ai suoi Diari, ma l’unica edizione per me disponibile via internet viene a costare quasi 60 euro e non so se il gioco vale la candela: ho letto che sono un po’ noiosi, e poi… tengo famiglia!

Dei libri che sostano una volta e poi restano dormienti negli scaffali, dirò in seguito, di volta in volta. Adesso, smentendomi in parte su quanto detto all’inizio, confesso che alcune pagine le leggo anche sul computer. A parte alcuni autori, sconosciuti al pubblico ma meritevoli di essere pubblicati su carta più di tante firme famose, trovo su internet anche delle belle librerie elettroniche. Ultimamente mi sono imbattuto nel sito http://www.archive.org/ ; è in lingua inglese, ma ci sono anche testi in italiano, che hanno formato e colori veramente gradevoli. Naturalmente se ne può leggere solo qualche paginetta ogni tanto, però, per me che abito in un centro dove non c’è grande scelta, questo è il modo più rapido di trovare a volte ciò che cerco. Per esempio, di Giovanni Papini - autore messo in secondo piano per certe tendenze ideologiche, che neppure io condivido, ma che scriveva bene e col cuore - ho trovato diverse opere difficilmente reperibili, oltre una decina. Uno degli ultimi libri in sosta per qualche giorno sul comodino è stato il suo Sant’Agostino: chi meglio di un convertito poteva scrivere di una conversione?
Al prossimo libro “di passaggio”.
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