lunedì 15 settembre 2014

Alcuni vantaggi del lavoro autonomo: cumulabilità ed ereditarietà

.

Quando non ci sono statistiche ufficiali su un problema che occupa per un po’ di tempo la mia mente, comincio dal basso, dalla mia esperienza personale, e le statistiche me le faccio da solo: saranno molto parziali e un po’ imprecise, ma possono servire a capire qualcosa.
Da qualche tempo mi chiedo quanti siano coloro che svolgono una libera professione e contemporaneamente occupano un impiego pubblico. I trentacinque anni passati nella scuola mi danno la possibilità di ragionare su questo argomento.
In una scuola con circa 60 docenti ho potuto contare la presenza di commercialisti che insegnavano Discipline aziendali, avvocati che insegnavano Diritto ed Economia, ingegneri che insegnavano Matematica, biologi che insegnavano Scienze e Chimica. In pratica circa 10 insegnanti su 60 (il 16,6%) avevano un doppio lavoro e un doppio reddito.

Questo dato non si può certo estendere all’intero corpo docente italiano, perché la scuola di cui parlo era un istituto commerciale, in cui molte materie di insegnamento si intrecciano con le libere professioni. Il fenomeno esiste forse in proporzioni simili solo negli altri istituti tecnici e negli istituti professionali; nei Licei, nelle scuole medie inferiori e nelle elementari è quasi assente o incide in misura minore. Possiamo dunque correggere quel 16% in una percentuale molto più bassa, che secondo me però non è inferiore al 5%. Se così fosse, su 700.000 insegnanti, ve ne sarebbero almeno 35.000 col doppio lavoro.

Da un punto di vista didattico devo dire che il fenomeno è tutt’altro che negativo. La maggior parte di questi colleghi, per quanto ho potuto constatare, svolgeva il proprio lavoro come, e talvolta meglio, di chi si dedicava unicamente all’insegnamento; e ciò è spiegabile col fatto che riuscivano più degli altri a coniugare la teoria e la pratica; sapevano infatti bilanciare la pedanteria e la pretesa di onnicomprensività dei programmi ministeriali e dei libri di testo con la loro esperienza sul campo. C’erano anche quelli che, privilegiando al massimo la libera professione, vedevano nell’insegnamento solo una fonte secondaria di reddito; questi si assentavano di frequente, si facevano dare degli orari settimanali ‘su misura’ e spesso in classe sonnecchiavano; si trattava comunque di una minoranza quasi irrilevante.

Che tutto questo succedesse negli anni Settanta e Ottanta era una cosa che a nessuno veniva in mente di discutere e tanto meno di contestare. In quegli anni i problemi occupazionali dei giovani riguardavano solo i diplomati e quelli con livelli di istruzione più bassi. Per i laureati c’era invece spazio abbondante sia nelle libere professioni che nel pubblico impiego; i vari ministeri (primo fra tutti quello per l’Istruzione) e le amministrazioni locali assumevano con facilità e, di commercialisti, avvocati, ingegneri ecc. ce n’erano ancora pochi e così ogni nuovo entrato poteva ritagliarsi la sua fetta di clienti.
Oggi la situazione è molto cambiata. Il rapporto Debito/Pil, controllato a livello europeo, impone agli enti pubblici di licenziare più che assumere e nelle libere professioni vi è una massa di laureati che cerca di entrare, ma trova sbarramenti di varia natura, primo fra tutti il carattere ormai quasi ereditario delle libere professioni: stiamo tornando ai privilegi di sangue tutelati come in epoca feudale.

* * *

Cerchiamo di spiegarci meglio con un’altra statistica che parte dall’esperienza diretta. Tutti coloro che, negli anni ’70/ ’80, hanno facilmente trovato spazio nel mercato dei servizi intellettuali hanno orientato i propri figli verso i medesimi titoli di studio da essi prima conseguiti. Non li si può certo criticare per questo, ma il fatto è che questa tendenza faceva parte di una precisa strategia: far fare ai figli, nel proprio studio, un buon tirocinio e poi gradualmente passar loro la clientela. Salvo rari casi, non vi sono ingegneri che non lascino lo studio già ‘avviato’ ai figli o, in mancanza di figli, ai nipoti; e la stessa cosa vale per architetti, commercialisti, medici specialisti, avvocati, notai, farmacisti, proprietari di laboratori d’analisi, ecc. Tutti questi controllano il 90% del mercato.
Tale fenomeno restringe gli spazi occupazionali nelle libere professioni e rende ora discutibile il persistere del ‘doppio lavoro’ per qualcuno e la completa emarginazione di coloro che invece, di lavori consoni agli studi fatti, non ne trovano nessuno.

Quello che è successo nelle professioni intellettuali è accaduto naturalmente fra gli industriali, i commercianti e gli artigiani. In questi momenti di difficoltà occupazionale, il figlio dell’artigiano non desidera più diventare ingegnere o insegnante; ha capito che, a fronte di un maggior prestigio sociale, in mancanza di numi tutelari c’è l’insicurezza del lavoro e perciò s’inserirà nell’attività artigianale del padre. Se questo è un elettrauto, anche il figlio farà l’elettrauto; allo stesso modo il figlio di un fornaio farà il fornaio e il figlio di un piccolo industriale o di un commerciante continuerà il lavoro del padre.
Quale spazio resta a tutti gli altri, in una società dove non c’è più mobilità sociale? Nessuno. Quali lavori restano per il figlio del portalettere o del carabiniere, del bidello o dell’insegnante, dell’operaio della Fiat o dell’Enel, del medico ospedaliero o del giudice? Questi lavori, pur di diverso livello economico e sociale, non si trasmettono di padre in figlio; entro certi limiti si può trasmettere la cultura e la sensibilità familiare, ma non la clientela, perché tutti i lavoratori dipendenti non hanno clienti; una volta andati in pensione, non lasciano che il proprio affetto.

Se gli Usa negli anni ’40 e l’Europa negli anni ’60 erano società caratterizzate da un’alta mobilità sociale, dal 1990 la nascita determina in anticipo il ruolo sociale e il reddito del nascituro. Certo, restano ancora oggi degli esempi di self-made man, ma sono pochi, pochissimi; chi nasce a piano terra lì resterà tutta la vita, chi nasce sull’attico più prestigioso resterà lì tutta la vita. Non ci sono più ascensori e le scale le può fare solo una sparuta minoranza: quelli che imparano a sgomitare, quelli che si assoggettano ai potenti e quelli che nella vita fanno scelte di comodo di varia natura. Tutti questi devono avere le spalle larghe, la vista acuta e il fiato lungo. Gli altri siedano e… stiano zitti.
.
Copyright 2014 - all rights reserved