lunedì 26 settembre 2011

Bossi, Venezia 18 settembre 2011

Il pendolo leghista, che oscilla fra la secessione e il federalismo a seconda di come tira il vento, una settimana fa s’è fermato. Il leader di quel fazzoletto di terra che confina a nord con le pendici delle Alpi e a sud con la riva gauche del Po (perché dalla riva droite in giù è storia ben diversa), è salito sul palco di Venezia e, per le genti che hanno momentaneamente messo nel cassetto la tuta e indossato una camicia verde, ha recitato come al solito il suo credo.
Su alcune pagine web, quel giorno, vicino al nome di Bossi era proposta “la diretta”, e così ho potuto vedere l’eroe varesotto mentre parlava il suo incerto italiano, con alle spalle un enorme dipinto simil-fascista, un braccio legato al collo e un altro che si alzava minaccioso, per denunciare che… Che in Italia non c’è democrazia, che i giornali(sti) sono “stronzi”, che i lombardi e i veneti, indigeni ed allogeni (vedi per tutti Rosy Mauro), vogliono la secessione e infine che, se quest’ultima non è possibile ottenerla con un referendum, ci sono pur sempre milioni di militanti pronti a trasformarsi in milioni di militi.
Nessun timore per tutto questo. Sono slogan che ripete da trent’anni accompagnandoli con faccia feroce e gesti triviali, ma poi resta sempre fermo lì, al palo. Dove sono, infatti, i numeri? Dove sono le armi?

Nelle urne, alle regionali del 2010, in Veneto, di schede verdi se ne sono ritrovate una su tre (1/3); una su quattro (1/4) in Lombardia; una su sei o sette (1/6) in Piemonte, Emilia e Friuli; una su dieci (1/10) in Liguria; una su venti (1/20) in Toscana, Umbria e Marche! Dove sono, dunque, i numeri? Il referendum ventilato è poi illegittimo in base all’articolo 138 della Costituzione. Ma, se pure, in via puramente ipotetica, riuscisse in qualche modo a farlo, i voti reali di cui dispone ed i sondaggi dicono che la consultazione lascerebbe le cose come stanno. Appare allora evidente come la stramba idea non sia che un semplice… “bluff” e che, a giocare e scoprire le carte, i promotori la pagherebbero cara. Tanto più cara quanto più alzassero la posta in gioco, e cioè l’ampiezza del territorio e delle popolazioni coinvolte.

Ho in altre occasioni osservato come i voti leghisti abbiano avuto nel corso degli anni un “andamento ciclico con trend negativo” e come siano stati racimolati in prevalenza nelle campagne più che nelle città. Ma le rivoluzioni - tanto quelle sociali quanto quelle indipendentiste - sono sempre partite dalle grandi città, e non dalla provincia o dai borghi o dalle campagne. Conosco le gloriose “Cinque giornate di Milano” e le “Quattro giornate di Napoli”, ma mai ho sentito parlare delle quattro, o cinque, giornate di Sondrio o Benevento. E poi, dove sarebbero le armi? Nelle fabbrichette dei commendatur, che le canottiere di Bossi le mettono solo sulle isole felici del Pacifico? O nei cascinali, sotto il culo delle mucche?
Probabilmente le armi non ci sono, ma se davvero ci fossero, ci sarebbero anche gli estremi per riconoscere nel partito leghista una associazione “che persegue scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare”, le quali “sono proibite” (art. 18 Cost.). Organizzazione, scopi politici (contrari all’art. 5 della Costituzione), simboli (inno, bandiera e alzabandiera), divisa e infine armi; in una parola un nuovo “squadrismo”; cos’altro occorrerebbe per schiaffarli in galera?

Il secessionismo e la minaccia della forza sono ormai, come si diceva, slogan vecchi e un po’ consunti. Ma nel comizio di Venezia c’era, nascosto fra le pieghe, anche qualcosa di nuovo, del quale lì per lì non si nota la rilevanza.
La pedagogia moderna tende a valorizzare la comunicazione mediante immagini per l’immediatezza e la facilità con cui viene recepita, ma io penso che ciò vada a scapito della riflessione. E’ per questo che ho pensato di "sbobinare" (così si diceva quando ancora si usava il registratore) il comizio e ricavarne una pagina che offrisse l’opportunità di valutare, in tempi più adeguati, quei messaggi che - nel frastuono degli applausi, nello sventolio di bandiere e nell’impeto teatrale dell’oratore – spesso sfuggono all’attenzione dello spettatore, fisico o virtuale che sia.
Lasciando da parte i consueti intoppi linguistici ed alcuni blackout logici - che pure appaiono evidenti a un qualunque lettore di media cultura - poniamo ora la dovuta attenzione a una nuova argomentazione dell’oratore:


Se l’Italia va giù, la padania vien su”.

L’affermazione è la dimostrazione lampante del fatto che Bossi & C. non possono più, per legge (infedeltà alla Costituzione), fare i ministri. Basti per questo un sillogismo:
a) Bossi vuole fortemente che la valle padana venga su;
b) la valle padana viene su, se l’Italia va giù (è lui a dirlo);
c) Bossi, ergo, non può che desiderare che l’Italia vada giù.
E’ cioè un ministro che rema contro lo Stato, di cui, in modo ingannatore, si fa rappresentante.
Questo non è un “giochino” logico. Credo che egli non si limiti ad essere contento che in Italia ci siano problemi di declassamento del debito pubblico, di grave disoccupazione giovanile e di instabilità politica. Molto probabilmente lavora proprio per questo! Fa il doppio gioco!
Basta o non basta per prenderlo a calci in culo?

Documenti. E’ possibile rivedere il comizio finale tenuto da Bossi a Venezia il 18 settembre 2011 su: http://www.youtube.com/watch?v=a9y3J1hc8rM (gli ultimi minuti del video evidenziano bene la stanchezza e il disorientamento dell’uomo politico). Qui di seguito inserisco inoltre la fedele trascrizione del discorso cui accennavo. Può essere utile per una più approfondita analisi da parte degli amici lettori.

"Mi chiedevo 'Chi è quel genio che ha trovato la soluzione? Secessione'. Ehhh, ehhhh, come si fa a restare in un paese… (“Se-ces-sio-ne”, Se-ces-sio-ne” ), come si fa a stare in un Paese che sta addirittura perdendo anche la democrazia? Giorno per giorno. Se qualcuno pensa che il fascismo è finito, mi sembra che è ritornato; con altri nomi, con altre facce, però… Addirittura hanno aggredito i corridori del Giro di padania, ehhh. Per dirvi come è finito il sistema italiano: non è più neppure in grado di essere democratico.
Ebbene, non c’è – che siano dei vigliacchi è fuori discussione – ma non c’è il minimo dubbio che i popoli vincono sempre. Non vincono gli eserciti, vincono i popoli, alla fine, ehhh. E quindi bisogna trovare la via democratica per – forse quella referendaria – perché un popolo storicamente importante, dignitoso, lavoratore, che fino adesso è stato costretto a mantenere l’Italia, non allegramente, eh?, noi non è che siamo contenti di mandare a Roma un treno di soldi al giorno, no? Siamo stati costretti. Però è evidente che così non si può andare avanti. D’altra parte, se l’Italia va giù, eh?, la padania vien su, non c’è santo che tenga.
Sono coltelli, i giornali sono dei grandissimi stronzi, sono degli Jago, sono degli Jaghi. Jago era quello che nell’opera verdiano parlava male continuamente della donna di un amico finché, finchè diciamo, fece provocare una tragedia. Gli Jago della carta stampata, che raccontano bugie sistematicamente, adesso stanno un po’ esagerando. Ho visto che, non potendo attaccare me, attaccano anche la mia famiglia. Sono dei delinquenti. E sì, devo dire ai nostri Jago che le cose cambieranno perché, quando finiscono i soldi, la gente perde la pazienza, e come se la perde, non si fa mica fermare da quattro saltimbanco che minacciano in strada la gente comune, che va a picchiare i corridori. Quattro saltimbanc.
Vi devo dire a proposito che in primavera ci sarà la prossima manifestazione, una grande manifestazione come quella che abbiam fatto sul Po. Eh, questa volta però non sarà sul Po. No, non lo dico ufficialmente, pubblicamente, per non dargli, per non dargli la soddisfazione ai giornalisti, che così sanno prima. Sapranno dopo, dopo i nostri militanti. Quella sarà una grande manifestazione.
Abbiamo salvato le pensioni, tanto per dirne una. Se non c’eravamo noi, mi sa che questa volta l’Europa, i poteri quelli van da soli, eh?, i poteri forti, l’Europa, tutti i partiti italiani. E’ un mondo alla rovescia: la sinistra dovrebbe salvare le pensioni, e invece era dall’altra parte. Per fortuna c’era la vecchia Lega che le pensioni ha messo il veto, nonostante che Casini dice “Bossi mostra il dito”. Si, si, mostro il dito perché sono soldi di chi ha lavorato una vita e ha pagato una vita, e ha diritto di avere la sua pensione. Adesso addirittura non vuole più neppure, i sindacati volevan mangiarsi anche le pensioni, ehhh. Calma, calma, è bastata la vecchia Lega. Eravamo in pochi, però in pochi si son dati da fare.
Molti sono i popoli amici della padania, sono molti. Ogni giorno abbiamo un popolo nuovo che dice “Avete ragione. Come avete fatto a sopportare un peso così grave?”. Tutti i nostri soldi costretti a regalarli, con gli altri che se li mangiano anche, e sa la ridono sotto i baffi. Ebbene, tutto arriva, alla fine tutto arriva a bersaglia. Noi siamo qui per dire che da adesso in avanti ritorna la grande battaglia per la lotta, la grande lotta di liberazione, per la libertà dei nostri popoli, i popoli padani (“Se-ces-sio-ne”, “se-ces-sio-ne!). Ehhh, ehhh. Ebbé!
Ho visto subito che quel signore lì che ha scritto “Secessione” è un genio, ha capito qual è la soluzione. Però piano piano, ragazzi, uno può sognare, illudersi che possa cambiare qualcosa senza fare la secessione, senza fare i cambiamenti che si poi diventa necessario. Un popolo non può vivere schiavo del centralismo politico, no non può vivere. I popoli hanno diritto alla loro libertà, soprattutto noi. Abbiamo diritto alla nostra libertà… E abbiamo anche la forza per ottenerla, se fosse necessario.
Fratelli padani, la prossima volta che ci vedremo, in un…, in posti bellissimi, la grande manifestazione, ma prima di allora alcune cose, alcuni diritti saranno già stati presi. Innanzitutto in via referendaria. Ehhh, bisogna che tutti noi si abbia, gli altri fan questo ragionamento: “Noi non gli diamo la possibilità di far le cose democratiche. Così, se vogliono, devono combattere”. State attenti, perché in padania ci sono milioni di persone disposte a combattere per la pada…, per la libertà della padania. Eh, Padaniaaaa! Padaniaaaa!
(“Auguriiii!”- Bossi fa le corna). Quali auguri? Io è trent’anni che non faccio più gli anni. Va bene. Auguri perché guarisca subito il braccio. E’ già tutto fatto, ehhh, mi sono già fatto operare, adesso manca solo che passi il dolore, e basta. Ricordatevi, non correte mai giù dalle le scale a casa vostra con le ciabatte, rincorrendo i figli, soprattutto quelli più piccoli, che vanno da tutte le parti, se no vi fate male come mi son fatto male. Però, alla fine, quando appena passerà il dolore, fra pochi giorni, sarò guarito. Vabbé, grazie, grazie, grazieee. Vabbè, un abbraccio, passiamo ad altro."
(Umberto Bossi, Venezia, comizio conclusivo della Festa del 18 settembre 2011)
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giovedì 8 settembre 2011

Classi sociali e classi di età

L’ultima a dirlo è stata Giorgia Meloni: vecchi e adulti devono accettare un più basso tenore di vita per garantire un futuro ai giovani. Lei, ministra della Gioventù, queste cose le sa bene; se pure non le avesse imparate in un istituto professionale alberghiero, ne avrà di sicuro sentito parlare ripetutamente dal prof. Tremonti.
Su questa tesi io nutro però dei dubbi. Se a un pensionato viene decurtata la pensione di 400 euro mensili, l’Inps ne ricava un risparmio equivalente. E se il salario di un operaio viene decurtato di 300 euro, è il datore di lavoro a ricavarne un risparmio. Ora, se l’uno e l’altro fossero sicuri che questi 700 euro finissero nelle tasche dei figli, credo che non opporrebbero grande resistenza. Ma purtroppo, per le stranezze della nostra politica, è difficile avere fiducia sulla correttezza di questo travaso. Il denaro risparmiato dall’Inps potrebbe finire nel calderone del bilancio dello Stato, mentre il denaro risparmiato dall’imprenditore potrebbe essere investito in una villa con piscina. Parte di quegli euro, inoltre, dopo qualche giro o raggiro, potrebbe finire nelle tasche dei politici di turno. Così facendo, evidentemente, non risolveremmo il problema dei giovani.

La Meloni forse sorriderà all’idea di circoscrivere i calcoli al “qui ed ora” e sciorinerà subito la teoria della gobba pensionistica del 2030, con tanti pensionati e pochi lavoratori attivi. La stessa persona che a giugno non sapeva minimamente cosa sarebbe accaduto in luglio, pretenderà di dirci ora cosa accadrà fra 19 anni: sulla base di statistiche demografiche ed economiche, s’intende. Con ciò ritiene infatti di poter prevedere se la natalità continuerà a diminuire o invece aumenterà; se vivremo fino a 120 anni, come spera di sé Berlusconi, o invece verrà fuori qualche piccolo virus che ci stronca molto prima; se ci saranno o no guerre; quali progressi ci saranno nelle tecniche di produzione e, di conseguenza, quanti saranno i lavoratori occupati e disoccupati.
In realtà lei sa tutte queste cose esattamente allo stesso modo in cui noi anziani, nel 1990, sapevamo cosa sarebbe accaduto vent’anni dopo. Indottrinati, ai tempi della “Milano da bere”, coi fulgidi scenari liberisti e l’inarrestabile crescita delle libertà e della ricchezza, ci siamo poi ritrovati di fronte una realtà ben diversa: vaste sacche di povertà e disoccupazione, i ripetuti attacchi alle libertà dei lavoratori, razzismo, terrorismo e guerre preventive. Come si vede, non è poi così facile prevedere il futuro in base alle proiezioni statistiche. Le variabili della storia sono troppo numerose per poter essere controllate nei periodi lunghi.

Se dunque la Meloni vuole veramente aiutare i giovani, non dica più loro, con la leggerezza che contraddistingue la sua fazione, che in futuro non avranno la pensione perché i padri oggi stanno troppo bene. Perché questa è una grossa bugia, ed anche perché seminare zizzania fra padri e figli è mestiere del diavolo, e non dei cristiani. In un paese come l’Italia, poi, con certe sue peculiarità culturali, questo tipo di ingiustizie difficilmente può annidarsi nella famiglia. Credo che abbia origine altrove, forse nella forte, intollerabile discrepanza fra quel 10% di famiglie che possiede il 45% del patrimonio nazionale (i ricchi) e quel 50% di famiglie che ne possiede solo il 10% (i poveri) (1). Conosciamo gli studi di Pareto in materia di reddito, ma non per questo di fronte a ciò cessiamo di stupirci ed indignarci.
Immagino la signora Meloni, inorridita, dire che con queste argomentazioni si mette in dubbio la proprietà privata! Ebbene, non volevo dire esattamente questo: ho preso in considerazione la distribuzione della proprietà, solo perché essa è in buona misura indicativa del reddito. Ma, se pure così fosse, ricorderei che la proprietà privata non è un istituto giuridico universalmente valido nello spazio e nel tempo. La Storia l’ha creato e la Storia lo può cancellare. E pazienza se la “ricchezza delle nazioni” crescerà un poco più lentamente: vuol dire che quel 10% di famiglie di cui parlavamo prima rinuncerà a qualcosa. La ricchezza oltretutto è vissuta in modo diverso a seconda di come è distribuita. Se c’è equità, nessuno rincorre il superfluo, “vanità delle vanità”.
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(1) C’è un 10% di famiglie che possiede in media un patrimonio di un milione e mezzo di euro e c’è un 50% di famiglie che possiede in media un patrimonio di 70.000 euro. Al rimanente 40% tocca il 45% del patrimonio. Si tratta della classe media: finché una classe media ci sarà! (I dati sono della Banca d’Italia, dic. 2010, riferiti al 2008. Fonte:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/12/20/banca-ditalia-il-45-della-ricchezza-in-mano-al-10-della-famiglia/82840/ ).
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