lunedì 10 agosto 2015

Racconti di un pellegrino russo, Kazan 1881

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…ove affermo che una dottrina è assurda, non intendo menomamente affermare implicitamente che è nociva alla società, anzi può essere utilissima. Viceversa ove affermo che una teoria è utile alla società, non intendo menomamente affermare implicitamente che è vera sperimentalmente. Insomma una stessa dottrina può essere derisa sotto l’aspetto sperimentale, e rispettata sotto l’aspetto dell’utilità sociale, e viceversa  (Vilfredo Pareto, Trattato di sociologia generale, § 73).

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E’ nello spirito di questa strana dissociazione fra ‘verità’ e ‘utilità’ che ho deciso di riportare sul blog parte di un racconto autobiografico di natura religiosa, scritto da autore anonimo verso la metà dell’Ottocento e pubblicato in Russia nel 1881.
E’ la storia di un pellegrino che cerca, e trova, rifugio spirituale nella ripetizione costante di una brevissima preghiera, pronunciata ritmicamente e sincronizzata coi battiti cardiaci. La ripetizione costante di una serie di parole - come nel mantra - è, insieme agli esercizi fisici dello yoga, uno dei cardini delle tecniche meditative orientali, ma non c’è da stupirsi che essa sia giunta, attraverso il monachesimo ortodosso della Grecia e della Russia, nei rituali delle altre chiese cristiane dell’Occidente. Il sopravvivere del ‘rosario’, una collana, simbolo di una corona di fiori, dalla quale pende un piccolo crocefisso, ne è una testimonianza materiale che attraversa i secoli per giungere fino ai nostri giorni.

Se dovessimo sottoporre a indagine sperimentale, così come intesa da Pareto, la spiegazione dell’atto di ripetere per decine o centinaia di volte l’identica preghiera, dovremmo certamente ammettere che ci troviamo di fronte ad una ‘azione non logica’. La preghiera viene infatti considerata soggettivamente un mezzo per comunicare con Dio, ma, essendo Dio un’entità metafisica, dal punto di vista sperimentale non può essere collegata al fine di una comunicazione reale: essa nasce, si riflette e rimane dunque nell’ambito psichico del soggetto agente.
Perché, allora, questa pratica religiosa resta intatta nei secoli e sopravvive alle ‘azioni logiche’ suggerite dalla scienza e dalla tecnica? Non sarà perché, come dice Pareto, pur non contenendo una ‘verità’, essa permette di raggiungere un qualche risultato ‘utile’, anche se diverso da quello ad essa assegnato dalle tante istituzioni religiose e dai loro fedeli? Secondo l’enunciato paretiano citato all’inizio, sembra di poter dare una risposta affermativa.
Così come, nelle società politeiste, un oracolo favorevole poteva rafforzare la convinzione della riuscita di un’operazione militare e costituire un rinforzo psicologico per il combattimento, allo stesso modo la preghiera, nelle religioni monoteiste, può dare alle avverse vicende della vita individuale e collettiva un carattere transitorio, in vista del loro superamento e di un esito finale positivo.

Sono conscio del fatto che l’interpretazione paretiana qui accolta - in relazione alla preghiera che guida il pellegrino nel suo percorrere a piedi centinaia o migliaia di verste (una versta corrisponde a circa un chilometro) attraverso “la steppa e la campagna siberiana” - scontenterà tanto i più zelanti fedeli quanto gli atei più radicali o i più accaniti anticlericali. I primi mi rimprovereranno di non riconoscere la verità rivelata e di ridurre la comunicazione con Dio a un fatto utilitaristico, gli altri mi rimprovereranno di non rispettare il rapporto logico che lega ogni atto utile ai suoi presupposti scientifici. Il tiro incrociato dovrebbe essere la riprova dell’inesattezza di entrambi, e comunque giro le accuse al sociologo di Losanna. Non potrà più rispondere personalmente, è vero. Ma per lui risponderanno i suoi scritti.

Questa la premessa di carattere sociologico al libro di cui parliamo. Ma la sua riproposizione non si esaurisce qui nell’interpretazione della preghiera come ‘un fatto sociale diffuso e sentito’ da parte di larghi strati della popolazione. Il racconto autobiografico dello strannik (pellegrino russo) nasce da uno stato d’animo estremamente sincero, e ciò ne rende facile e piacevole la lettura. Come è scritto nella prefazione all’edizione italiana “La immediatezza del linguaggio ‘parlato’, il procedere confuso della narrazione, l’assenza di ogni ombra di letteratura e insieme la ricchezza delle scene e delle osservazioni, la ingenuità fresca e saporosa del racconto, la vivacità popolare, la sincerità della testimonianza di una esperienza rara di vita mistica, la pienezza di gioia che tutto lo pervade e l’illumina, fanno di questo racconto un libro forse unico….”

Il testo integrale dei ‘racconti’ è facilmente reperibile su vari siti web digitando il titolo del libro. Se ne può effettuare anche il download gratuito in formato pdf ed epub, facendo scorrere l’elenco di altri testi a carattere religioso, nella pagina www.laparola.it/ebooks/index.php  

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Racconti di un pellegrino russo - Secondo racconto

A lungo ho viaggiato per ogni sorta di paesi, accompagnato dalla preghiera di Gesù, che mi dava forza e consolazione in tutti i miei viaggi, in ogni occasione e in ogni incontro. Alla fine mi parve che avrei fatto bene a fermarmi in qualche luogo per trovare una solitudine più piena e studiare la Filocalia, che fino allora avevo potuto leggere solo di sera, quando mi fermavo, o durante la siesta di mezzogiorno. Avevo un desiderio ardente di immergermi a lungo in quella lettura per attingervi con fede la dottrina vera della salvezza dell’anima con la preghiera del cuore. Purtroppo, per soddisfare il mio desiderio, non potevo impegnarmi in alcun lavoro manuale, perché fin dalla prima infanzia avevo perduto l’uso del braccio sinistro; così, nell’impossibilità di fissarmi in qualche luogo, mi diressi verso i paesi della Siberia, verso sant’Innocente d’Irkutsk pensando che, attraverso le pianure e le foreste della Siberia, avrei trovato un grande silenzio e mi sarei potuto dedicare con più agio alla lettura e alla preghiera.

Mi misi in viaggio recitando senza posa la preghiera. Dopo un po’ di tempo sentii che la preghiera scorreva da sola nel mio cuore, o meglio, il mio cuore, battendo regolarmente, si metteva in certo qual modo a recitare da sé le parole sante a ogni battito; per esempio, 1: Signore, 2: Gesù, 3: Cristo, e via dicendo. Cessai di muovere le labbra e ascoltai attentamente quel che diceva il mio cuore, ricordandomi quanto fosse piacevole, secondo le parole dello starets defunto. Poi avvertii un lieve dolore al cuore e nello spirito un amore così grande per Gesù Cristo che, se l’avessi veduto, mi sarei gettato ai suoi piedi, li avrei stretti, baciati e bagnati di lacrime, ringraziandolo per la consolazione che egli ci dà con il suo nome, nella sua bontà e nel suo amore per la sua creatura colpevole e indegna. Si accese presto nel mio cuore un confortevole calore che si diffuse in tutto il petto. Questo mi portò in particolare a un’attenta lettura della Filocalia per verificare in essa queste mie sensazioni e studiare così lo sviluppo della preghiera interiore del cuore; senza questo controllo avrei avuto paura di cadere nell’illusione, di scambiare le azioni della natura per quelle della grazia e di inorgoglirmi così per quella rapida conquista della preghiera, come mi aveva ben spiegato il mio starets defunto. Per questo camminavo soprattutto durante la notte e passavo la giornata a leggere la Filocalia seduto nei boschi sotto gli alberi.

Quante cose nuove, profonde e ignorate scoprii con quella lettura! In quella occupazione gustai una beatitudine più perfetta di quanto mai avessi potuto immaginare fino a quel momento. Senza dubbio, alcuni passi rimanevano incomprensibili al mio spirito limitato, ma gli effetti della preghiera del cuore illuminavano quello che non riuscivo a comprendere; per di più, vedevo talvolta in sogno il mio starets defunto che mi spiegava molte difficoltà e piegava sempre di più la mia anima verso l’umiltà. Trascorsi i due mesi della piena estate in questa perfetta felicità. Passavo specialmente per i boschi e per i viottoli di campagna; quando arrivavo a un villaggio, domandavo un sacco di pane, un pugno di sale e riempivo d’acqua la mia borraccia, quindi ripartivo per altre cento verste.

Certamente per causa dei peccati commessi dalla mia anima incallita, o per il progresso della mia vita spirituale, verso la fine dell’estate si fecero sentire le tentazioni. Ecco come avvenne. Una sera che ero sbucato sulla via principale, incontrai due uomini che avevano un berretto militare sul capo; mi chiesero del denaro.
Quando io risposi loro che non avevo un centesimo, non mi vollero credere e gridarono con violenza:
– Non raccontarci storie; i pellegrini mettono sempre via un mucchio di soldi!
Uno dei due aggiunse:
– È inutile perder tempo a parlare!
E mi colpì sul capo con il suo bastone: io ruzzolai per terra svenuto. Non so se rimasi così molto tempo, ma quando tornai in me, vidi che ero nel bosco vicino alla strada; ero tutto strappato e il mio sacco era scomparso; non c’erano più che i capi delle due cordicelle con le quali lo tenevo. Grazie a Dio, non mi avevano rubato il passaporto, che io serbavo nel mio vecchio berretto per poterlo esibire in fretta quando ce n’era bisogno. Rimesso in piedi, piansi amaramente non tanto per il dolore al capo, quanto piuttosto per i miei libri, la Bibbia e la mia Filocalia, che erano nel sacco rubato. Tutto il giorno, tutta la notte mi rammaricai e piansi. Dov’è finita la mia Bibbia, che leggevo da quando ero bambino e che avevo sempre portata con me? Dov’è la mia Filocalia, dalla quale traevo insegnamento e conforto? Infelice, ho perduto l’unico tesoro della mia vita, prima di essermene saziato fino in fondo. Sarebbe stato meglio morire che vivere così, senza nutrimento spirituale. Non li potrò mai comperare di nuovo.

Per due giorni potei a malapena camminare tanto ero afflitto; il terzo giorno mi lasciai cadere stremato di forze presso un cespuglio e mi addormentai. Ecco che in sogno mi vedo nella cella del mio starets e gli racconto in lacrime la mia pena. Lo starets mi consola e mi dice:
– Sia questa per te una lezione di distacco dalle cose terrene per andare più liberamente verso il cielo. Questa prova ti è stata mandata affinché tu non cada nella voluttà spirituale. Dio vuole che il cristiano rinunci alla sua volontà e a ogni attaccamento ad essa, al fine di affidarsi completamente alla volontà divina. Tutto quello che egli fa è per il bene e la salvezza dell’uomo. Egli vuole che tutti siano salvi (1Tm 2,4). Fatti animo, e credi che con la tentazione il Signore procurerà anche la via d’uscita (1Cor 10,13). Quanto prima tu riceverai una consolazione più grande di tutto il tuo dolore. A queste parole mi svegliai, sentii nel mio corpo delle forze nuove e nell’anima quasi un’aurora e una calma nuova.
– Sia fatta la volontà del Signore! – dissi.
Mi alzai, mi feci il segno della croce e partii. La preghiera agiva di nuovo nel mio cuore come un tempo e per tre giorni camminai serenamente.

A un tratto incontro per la via una colonna di forzati, che venivano condotti con la scorta. Quando mi furono vicini, riconobbi tra loro i due che mi avevano derubato e, dato che camminavano a un lato della colonna, mi gettai ai loro piedi e li supplicai di dirmi dove erano i miei libri. In un primo momento essi finsero di non riconoscermi, poi uno di loro disse:
– Se ci dai qualche cosa, ti diremo dove sono i tuoi libri. Vogliamo un rublo d’argento.
Giurai che glielo avrei dato senz’altro, a costo di mendicare per metterlo insieme.
– Prendete il mio passaporto, tenetelo come pegno.
Mi dissero che i miei libri erano nei carri, insieme con gli altri oggetti rubati che avevano dovuto consegnare.
– Come posso fare per riaverli?
– Chiedili al capitano della scorta.
Corsi dal capitano e gli spiegai la cosa in tutti i particolari. Così, parlando, egli mi chiese se sapevo leggere la Bibbia.
– So leggere, non solo, ma anche scrivere; sulla Bibbia troverete una scritta di mio pugno, che prova che quel libro è mio; ed ecco qua sul passaporto il mio nome e il mio cognome.
Il capitano mi disse:
– Questi briganti sono dei disertori, vivevano in una capanna e depredavano i passanti. Un vetturino in gamba ieri li ha arrestati, mentre quelli cercavano di portargli via la troika. Non chiedo di meglio che di restituirti i tuoi libri, se sono là dove ti hanno detto; ma bisogna che tu venga con noi fino alla prossima tappa; è solo a quattro verste di qui, non posso fermare tutto il convoglio per causa tua.

Camminavo tutto lieto a fianco de cavallo del capitano e parlavo con lui. Vidi che era un brav’uomo e non più tanto giovane. Mi domandò chi ero, da dove venivo e dove andavo. Gli risposi in tutta verità; e così arrivammo al luogo di tappa. Il capitano andò a cercare i miei libri e me li rese dicendo:
– Dove vuoi andare, ora? È notte ormai. Ti conviene restare con noi.
Rimasi. Ero così felice di aver ritrovato i miei libri che non sapevo come ringraziare Dio; li strinsi al mio cuore fino ad averne i crampi alle braccia. Lacrime di gioia inondavano i miei occhi e il cuore mi batteva di un palpito di gioia. Il capitano disse guardandomi:
– Si vede che ti piace leggere la Bibbia!
Nella mia gioia non riuscii a rispondere una sillaba. Non facevo che piangere. Il capitano continuò:
– Anch’io, fratello, leggo ogni giorno con attenzione il Vangelo di Kiev che è rilegato in argento. Siediti qui, ti racconterò come mai ho preso quest’abitudine. Olà! Portateci la cena!
Ci sedemmo a tavola. Il capitano cominciò il suo racconto.

– “Dalla mia giovinezza in poi ho sempre servito nell’esercito e mai nella guarnigione. Conoscevo bene il servizio e i miei capi mi consideravano un soldato modello. Ma ero molto giovane e altrettanto giovani erano i miei amici; per mia disgrazia, imparai a bere e mi abbandonai a tal punto a questo piacere che finii per ammalarmi. Quando non bevevo, ero un ottimo ufficiale, ma anche una sola goccia di alcool voleva dire sei settimane di letto. Mi sopportarono un bel po’, ma alla fine, avendo io insultato un capo dopo aver bevuto, fui degradato e condannato a prestar servizio tre anni in guarnigione; se non avessi rinunciato a quel vizio, mi minacciavano pene anche più severe. In quella misera situazione ebbi un bel cercare di frenarmi, di farmi curare, non potei liberarmi dalla passione del bere, e fu deciso allora di inviarmi al battaglione di disciplina. Quando ne fui informato, mi abbandonai alla disperazione. Un giorno che ero seduto nella camera e ruminavo queste cose, ecco che viene un monaco a questuare per una chiesa. Ognuno dava quel che poteva. Arrivato vicino a me, mi chiese: "Perché sei così triste?" Parlai un po’ con lui e gli raccontai le mie disavventure.

Il monaco mostrò molta comprensione per i miei guai e mi disse: "A mio fratello è successo lo stesso, e se l’è cavata in questo modo. Il suo padre spirituale gli diede un Vangelo e gli ordinò di leggere un capitolo ogni volta che avesse desiderio di bere; e se il desiderio tornava, doveva leggere il capitolo successivo. Mio fratello mise in pratica il consiglio e di lì a qualche tempo la passione di bere cessò. Da quindici anni non assaggia una bevanda alcolica. Fa’ lo steso e ne proverai il beneficio anche tu. Ho un Vangelo, se vuoi te lo porterò". A queste parole gli dissi: "Cosa vuoi che faccia il tuo Vangelo, se i miei sforzi e i mezzi medici non sono serviti a nulla?" (parlavo così perché non avevo mai letto il Vangelo). "Non parlare così – replicò il monaco – ti assicuro che ne ricaverai un bene". L’indomani infatti il monaco mi portò questo Vangelo che ora vedi. Lo aprii, lo guardai, lessi qualche frase e dissi: "Non lo voglio, non ci capisco nulla; non ho l’abitudine di leggere i caratteri dei libri di chiesa". Il monaco continuò a persuadermi dicendo che nelle parole del Vangelo c’è una forza benefica, perché sono parole che Dio stesso ha pronunciato. "Non importa se non capisci nulla, basta che tu legga con attenzione. Un santo ha detto: “Se tu non capisci la parola di Dio, i diavoli però capiscono quel che tu leggi e tremano” (cfr. Gc 2,19), e certamente il desiderio di bere è pure l’opera dei demòni. E ti dico anche questo: “Giovanni Crisostomo scrive che anche il posto in cui viene tenuto il Vangelo sgomenta gli spiriti delle tenebre e serve di ostacolo ai loro complotti”.

Ora non ricordo bene; mi pare di aver dato qualcosa a quel monaco; presi il suo Vangelo e lo ficcai in un baule con le cose mie, ma ben presto lo dimenticai completamente. Qualche tempo dopo giunse il momento di bere; morivo dalla voglia e aprii il mio baule per prendere il denaro e correre alla mescita. Mi cadde sotto l’occhio il Vangelo, e mi tornò in mente immediatamente tutto quello che il monaco mi aveva detto. Lo aprii e cominciai a leggere il primo capitolo di Matteo. Lessi fino in fondo, senza capirci nulla. Ma mi ricordai quello che aveva detto il monaco: non importa se non capisci, basta che tu lo legga con attenzione. Bene – dissi tra me – leggiamone un altro capitolo. La lettura mi sembrò più chiara. Ecco già il terzo: non l’avevo cominciato che squillò il segnale della ritirata. Non c’era più modo di uscire dalla caserma, e rimasi senza bere. Il mattino dopo, mentre stavo per uscire a cercare un po’ d’acquavite, mi dissi: e se leggessi un altro capitolo del Vangelo? Stiamo un po’ a vedere. Lessi e non mi mossi di là. Un’altra volta ancora mi venne voglia di bere dell’alcool, ma mi misi a leggere e mi sentii rinfrancato. Ne fui tutto riconfortato, e a ogni richiamo del mio vizio, mi precipitavo su un capitolo del Vangelo. Più il tempo passava e meglio andavano le cose. Quando ebbi finito i quattro Vangeli, la mia passione per il vino era completamente scomparsa; ero diventato di sasso a tal riguardo.

Ed ecco, da più di vent’anni non assaggio più una bevanda alcolica. Tutti furono stupiti del mio mutamento. In capo a tre anni fui riammesso nel corpo ufficiali, percorsi i gradi successivi e divenni capitano. Presi moglie, capitai in una bravissima donna; abbiamo messo da parte qualcosa e ora, grazie a Dio, le cose vanno benino; aiutiamo i poveri come possiamo e ospitiamo i pellegrini. Ho un figlio che è già ufficiale, un gran bravo ragazzo. Ebbene vedi, dopo la mia guarigione, mi sono ripromesso di leggere ogni giorno, per tutta la mia vita, uno dei quattro Vangeli per intero, e non c’è ostacolo che valga. Quando sono carico di lavoro e mi sento spossato, mi corico e prego mia moglie o mio figlio di leggere il Vangelo accanto a me, così non vengo meno al mio impegno. In testimonianza di riconoscenza e per la gloria di Dio, ho fatto rilegare il Vangelo in argento massiccio e lo porto sempre sul mio petto.”

Ascoltai con vivo piacere i propositi del capitano e gli dissi:
– Ho conosciuto un caso analogo al vostro; nel mio villaggio, alla fabbrica, c’era un bravissimo operaio che sapeva molto bene il suo mestiere; ma per sua disgrazia gli piaceva bere, e spesso. Un uomo devoto gli consigliò, ogni qualvolta avesse voglia di acquavite, di recitare trentatré preghiere di Gesù in onore della santissima Trinità e degli anni di vita terrena di Gesù. Egli eseguì il consiglio e smise di bere. E non è tutto; dopo tre anni, entrò in un monastero.
– E che cosa vale di più, la preghiera di Gesù o il Vangelo? Chiese il capitano.
– È una cosa sola, risposi. Il Vangelo è come la preghiera di Gesù, perché il nome divino di Gesù Cristo racchiude in sé tutte le verità evangeliche. I Padri dicono che la preghiera di Gesù è la sintesi di tutto il Vangelo.
Poi recitammo le preghiere; il capitano cominciò a leggere dall’inizio il Vangelo secondo Marco e io lo ascoltai pregando entro il mio cuore. Il capitano terminò la lettura alle due del mattino e ci andammo a coricare.

Secondo la mia abitudine, mi alzai presto il mattino; dormivano tutti; l’alba spuntava allora e io mi immersi nella lettura della mia diletta Filocalia. Con quale gioia l’apersi! Mi pareva di aver ritrovato un padre dopo una lunga assenza o un amico risuscitato da morte. Baciai il libro e ringrazia Dio di avermelo restituito; quindi cominciai a leggere Teolepto di Filadelfia nella seconda parte della Filocalia. Fui meravigliato di vedere che egli propone di dedicarsi contemporaneamente a tre ordini di attività: “seduto a tavola – egli dice – dai nutrimento al tuo corpo, al tuo spirito la lettura e al tuo cuore la preghiera”. Ma il ricordo della benefica sera trascorsa mi spiegò praticamente questo pensiero. Fu allora che compresi il mistero della differenza tra il cuore e lo spirito. Quando il capitano si svegliò, andai a ringraziarlo della sua bontà e a dirgli addio. Mi versò il tè, mi diede un rublo d’argento e ci separammo.

Io ripresi la mia via di buonumore. Dopo la prima versta, mi ricordai che avevo promesso ai soldati un rublo e ora possedevo proprio un rublo. Dovevo darglielo o no? Da un lato – mi dicevo – essi ti hanno bastonato e derubato, e non possono farti niente perché sono in arresto. Ma d’altro canto ricordati quel che scrive la Bibbia: Se il tuo nemico ha fame dagli da mangiare (Rm 12,20), e Cristo stesso ha detto: Amate i vostri nemici (Mt 5,44) e anche: Se qualcuno vuole portarti via la tua veste, dagli anche il mantello (Mt 5,40). Così persuaso, tornai sui miei passi e giunsi alla stazione di tappa proprio mentre il convoglio si stava rimettendo in marcia; corsi verso i due malfattori e feci scivolare in mano a uno di loro il mio rublo, dicendo: – Pregate e fate penitenza; Gesù Cristo è l’amico degli uomini. Non vi abbandonerà! Con queste parole mi allontanai e ripresi la mia strada nell’opposta direzione.
Dopo aver percorso una cinquantina di verste sulla strada principale, mi addentrai per i viottoli di campagna più solitari e più adatti alla lettura.

* Filocalia è una raccolta di testi di ascetica mistica della Chiesa cristiana ortodossa. Fu pubblicata in greco a Venezia nel 1782 da Nicodemo l’Agiorita (cioè del Monte Athos) e Macario di Corinto. Ebbe un immenso successo nel mondo slavo grazie alla traduzione di Paisij Velicovskij. […] E’ una delle più ammirate e feconde testimonianze a stampa della pietà cristiana ortodossa. All’assidua lettura di essa da parte dei fedeli si fa continuamente riferimento nei celebri “Racconti di un pellegrino russo”. (Wikipedia)