sabato 24 aprile 2010

Paperino e Paperone

Negli anni della rivolta studentesca mi trovavo in una delle sedi e delle facoltà più “calde”. Apprezzai molto alcuni valori di fondo di quel movimento, la passione e la vasta cultura di alcuni suoi leader, ma non partecipai: da tempo militavo in un partito di sinistra e mi sembrava che l’improvvisazione, anche se generosa, non potesse condurre molto lontano.
Con quali motivazioni, ancor prima di quell’esperienza, avevo fatto scelte così precise? Cercai nonostante la giovane età di spiegarlo ad alcuni parenti, rispondendo alle cordiali ma incalzanti domande con cui cercavano di soddisfare la loro curiosità e placare le loro …preoccupazioni sul mondo giovanile. Non era cosa semplice farlo, con interlocutori come un anziano dentista ed uno zelante funzionario di banca, ma ci provai ugualmente.
In una società con forti disuguaglianze - dissi più o meno – le persone deboli soffrono a causa dell’ ”invidia” per ciò che non hanno, e quelle più fortunate a causa della “paura” di perdere ciò che hanno (salute, affetti, prestigio, ricchezze). Due idee semplici, che, con significati di più vasta e profonda portata, ritrovai successivamente nella dottrina buddista ("la sofferenza è …il non raggiungere ciò che si desidera e la separazione da ciò che si ama") e, se pur in forma implicita e con caratteri diversi, nel cristianesimo ("…non accumulate tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano").

La diagnosi fatta dalle due religioni era molto simile a quella suggerita dalla politica, ma c’erano grosse differenze nella terapia. Il buddismo indicava il rimedio nella rinuncia a ogni desiderio, il cristianesimo nell’amore e nella carità verso il prossimo, la politica nella eliminazione delle differenze sociali.
Nessuna delle tre terapie ha però finora funzionato, anzi. I desideri sono aumentati a dismisura per gli stimoli al consumo illimitato; la carità si è sempre concretizzata in un do ut des di spocchiose elemosine in cambio di favori personali e di umili riverenze; la politica ha perso efficacia da quando moderni tribuni della plebe hanno formato una casta che condivide con i ceti agiati gli stessi privilegi prima combattuti.

La storia dunque, almeno sino ad ora, ha respinto le aspirazioni alla giustizia sociale e, facendo prevalere i principi utilitaristici e la fiducia nelle prodigiose ed inesauribili virtù del libero mercato, ha finito per rimuovere o negare la sofferenza. Le immagini della pubblicità sono una prova inconfutabile di tale rimozione: per i produttori di beni e servizi i problemi non esistono e, se esistono, c’è sempre il prodotto giusto per risolverli.
Così almeno vogliono far credere. Eppure a me sembra che la malattia continui ancora a manifestare i suoi preoccupanti sintomi. Non vedo in giro uomini tanto tranquilli. Non è tranquillo Paperino e …neppure Paperone!
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