venerdì 7 maggio 2010

Lingua, dialetto e identità

Qualche giorno fa ho letto su Leccoprovincia.it l’articolo della signora Irene Riva sull’importanza dell’uso del dialetto.
La lettera, contrassegnata da uno stile asciutto e una logica rigorosa, tocca anche le corde emotive e morali, quando, a un certo punto, la signora si augura che la nipotina, figlia di una lecchese e di un campano, possa “fare l’esperienza di tutti i suoi dialetti e non per marcare il suo territorio, ma per capire chi è, nel profondo”.
Di fronte a questo suggestivo messaggio ho avvertito il desiderio di esprimere la mia ammirazione per l’autrice e di aggiungere sullo stesso giornale qualche mia considerazione sulla complementarietà fra dialetto e lingua nazionale, il primo essendo espressione dell’identità di una “comunità” e la seconda di un “popolo”. Concetti per noi importanti, non solo perché fra un anno si celebrerà il 150° anniversario della formazione dello Stato italiano, ma anche perché parliamo, e soprattutto scriviamo, nella lingua italiana da più di sette secoli.
Ripropongo qui di seguito entrambe le “Lettere al Direttore” di Leccoprovincia, Prof. Enrico Baroncelli, verso il quale nutro sentimenti di profonda stima per la sensibilità e il costante impegno civile.

* * *

Dialetto e identità
di Irene Riva - 26 aprile 2010

Egregio Direttore,
un vecchio documento, mai andato in prescrizione, assegna alla mia e ad altre tre famiglie di Pescarenico il diritto di uso di un tratto di lago.
E’ un segno tangibile delle mie profonde radici lombarde e lecchesi. I miei genitori parlavano tra loro in dialetto: suoni familiari mi permettono ancora oggi di capire due persone che si esprimono in vernacolo e di seguire con curiosità e interesse la rubrica di Gianfranco Scotti sul quotidiano locale.
Non so invece parlare in dialetto. Mio padre e mia madre me lo impedivano. Pensavano che più correttamente dovessi sforzarmi di esprimermi in italiano e temevano che parlare abitualmente come loro facevano me lo avrebbe impedito. Oggi ne sono rammaricata e vorrei spiegarne il perché dopo aver letto il parere di Umberto Aondio nella rubrica “Le lettere” de “La Provincia di Lecco”.

Condivido l’eliminazione del “Va’ Pensiero” dal telefono del Comune di Lecco. L’appropriazione da parte di un gruppo politico di un’aria così intensa, che esprime il profondo amore per la terra natia, è fuorviante in quanto le assegna un valore di parte. Decidano i Cittadini lecchesi cosa vogliono sentire quando telefonano in Comune. L’inno di Mameli sarebbe sicuramente più appropriato perché è un simbolo che ci appartiene e ci rappresenta come nazione.
Condivido anche l’eliminazione dei cartelli in dialetto, ma solo per il motivo per il quale sono stati posti: la demarcazione di un territorio, un po’ come fanno gli animali per ragioni di gerarchia. Come a dire: qui ci siamo noi, padroni a casa nostra, gli altri valgono di meno e …stanno sotto.
Ecco, questo è il dialetto che non mi piace.
Me ne piace un altro: quello che sta scritto nei miei ricordi più cari e nella mia tradizione, quello di cui anch’io sono impastata, quello a cui faccio riferimento per trovare modi più efficaci per esprimere un concetto, quello che mi piacerebbe continuasse a restare impresso non sui cartelli stradali, ma nel profondo della nostra identità.

Ho una nipotina, figlia di una lecchese che ha studiato a Milano, che vive a Bergamo con un Vicano, cioè nativo di Vico Equense, che ha scelto un Comune del bergamasco per studiare prima, per lavorare poi e per far crescere sua figlia. Che crogiuolo di identità e quanta ricchezza!
Quale sarà il dialetto della mia nipotina? Quali saranno i suoni e le sensazioni che le arriveranno dalla molteplicità delle sue appartenenze?
Vorrei che potesse fare l’esperienza di tutti i suoi dialetti e non per marcare il suo territorio, ma per capire chi è, nel profondo, perché, come dice una colta pubblicità, “…ti accorgi che per essere veramente liberi occorre avere radici”.
E questo vale per tutti, qualunque sia il paese natio dal quale si proviene.
Ne tenga conto il nuovo Assessore alla Cultura del Comune di Lecco, favorendo, anche attraverso un nuovo approccio al dialetto, il dialogo tra donne e uomini…liberi.

* * *

Lingua e dialetto
di Aldo - 4 maggio 2010

Egregio Prof. Baroncelli, mi sono chiesto varie volte in quale modo potesse interagire, con i lettori del suo quotidiano, una persona che come me vive nel Sud, a così tanti chilometri di distanza. Diversi i problemi, pensavo, e diversa la mentalità, per poterne discutere insieme.
La lettera della signora Irene Riva del 26 aprile (“Dialetto e identità”) mi ha invece fatto capire che avevo torto, che certe barriere sono artificiose, e comunque mai da considerare insormontabili. Una lettera “di testa e di cuore” che contrappone la ragionevolezza agli impulsi, la fiducia alla diffidenza, il coraggio alla paura. Ha ragione la signora Irene ad amare il dialetto. Come pure, però, avevano ragione i suoi genitori nel loro invito a non usarlo “abitualmente”. Sembra una contraddizione, ma entrambe le tesi sono giuste e fra loro compatibili.

I dialetti sono diffusi, pur se in misura diversa, in tutte le nazioni. Non ne conosco esattamente il motivo, ma ognuno di noi può cercare di immaginarselo. Io credo che anche in questo caso, come in tutti gli altri aspetti della realtà sociale, le forme di aggregazione si possano pensare come un numero indefinito di cerchi concentrici. Il punto, che ne segna il centro, è l’identità del singolo essere umano; il cerchio più piccolo e prossimo ad esso include gli amici a lui più affini (qui il linguaggio è comune quasi al 100%), il cerchio successivo include anche la famiglia (e qui ci sono significativi elementi di differenziazione per età e sesso), un cerchio più ampio comprende poi i compagni di scuola o di lavoro (fra i quali in genere vengono meno le differenze di età, ma subentrano quelle di natura sociale e culturale).

Ad un livello organizzativo ancora più ampio, anche gli abitanti di un villaggio o una città hanno qualcosa in comune: nella comunicazione verbale esso consiste nel dialetto di quella città particolare, che in sé contiene tutte le differenziazioni delle sottoaggregazioni prima elencate, ma in una certa misura unifica i suoi membri. Man mano che si ampliano i limiti geografici della zona considerata (dalla città al distretto, alla regione, all’intera nazione), le differenziazioni però si accentuano, e per poter comunicare diventa indispensabile una lingua ufficiale.
Non conosco il dialetto di Lecco, ma capisco benissimo perché la signora Irene vi rimanga affezionata. I lemmi dialettali sono carichi di forza emotiva, evocano sentimenti oltre che idee; le costruzioni grammaticali dialettali, d’altro canto, sono espressione di un modo particolare di ragionare. Col dialetto insomma la comunicazione, caricandosi di forza emotiva e reggendosi su presupposti culturali condivisi, diventa più immediata ed efficace.

Se il dialetto segna l’appartenenza ad una comunità ristretta, la lingua nazionale è anch’essa un fattore identitario ed offre, rispetto al primo, altri tipi di vantaggi.
Innanzitutto agevola gli scambi ed i rapporti interpersonali a distanza, arricchendo le economie e la cultura degli aggregati sociali più piccoli di cui si compone. Ma, soprattutto, le lingue nazionali sono più ricche e favoriscono costruzioni logiche più ordinate. Provino i lettori a tradurre in un qualunque dialetto un brano di un’opera scientifica o letteraria di un certo livello: ci si accorgerà che, spesso, per tradurre una parola si dovrà ricorrere ad una circonlocuzione, perché nel dialetto quella parola non esiste. Il Dizionario della Treccani (non l’Enciclopedia) comprende circa 500.000 lemmi, molti altri dizionari circa 200.000, mentre le parole che usiamo di frequente nella comunicazione quotidiana sono circa 7.000.

E’ di queste 7.000 parole che troviamo facilmente il corrispondente dialettale, per gli altri 193.000 lemmi siamo costretti a ricorrere a un “giro di parole”.
Da qui l’importanza delle raccomandazione dei genitori della signora Irene. Se l’avessero spinta ad usare abitualmente il dialetto, così come taluni oggi stoltamente suggeriscono, la signora Irene non avrebbe potuto scrivere una lettera così ordinata e incisiva, le sue riflessioni sull’argomento si sarebbero forse fermate a pochi chilometri da Lecco …ed io avrei perso l’occasione di conoscere le idee di una donna, madre e nonna, tanto saggia e sensibile. Ringrazio Leccoprovincia di avermene offerto l’opportunità.
.
Copyright 2010 - all rights reserved