martedì 13 aprile 2010

In difesa del Sud

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Con il passaggio dalla monarchia assoluta a quella costituzionale, a partire dalla metà del secolo XIX sono sorti in Italia tanti partiti politici. Erano tutti “per” qualcosa: per la libertà, per la cristianità, per il socialismo, per la patria ecc. Poi, circa trent’anni fa, a tutti questi “partiti per” se n’è aggiunto uno di natura molto diversa: un “partito contro”. E’ sorto nel Nord con l’obiettivo viscerale, più e oltre che mentale, di denigrare e isolare il Sud del paese perché, secondo i suoi sostenitori, fatto di gente incapace e sfaticata.

Questo antagonismo non mi era nuovo. Già negli anni Sessanta con le mie orecchie sentii dire, con impietosa allusione ai frequenti terremoti, che il Sud era terra “ballerina”, che dover pagare ad ogni acquisto cinque lire per la Cassa per il Mezzogiorno faceva girar le palle e sottolineare come l’economia meridionale fosse arretrata e legata all’agricoltura, da cui l’epiteto sprezzante e irriguardoso di “terroni”. Fu però con la Lega che queste ostilità si trasformarono da pettegolezzo diffuso in un fatto politico e che si ipotizzò, sotto la guida ideologica del prof. Gianfranco Miglio, un diverso assetto istituzionale dello Stato, che soppiantasse in larga misura il governo centrale con ampi poteri locali. Tutto ciò, inasprendo le presunte differenze etniche e a scapito dell’analisi storica.

A questi signori, come pure a quelli che li hanno preceduti sulla stessa linea - premesso che mio nonno nel 1917, per aiutare il Nord a riconquistare Trento e Trieste, per molti mesi in un campo di prigionia austriaco si nutrì di bucce di patate - vorrei fare un paio di ragionamenti. Innanzitutto uno di tipo storico.
Il prof. Amintore Fanfani, toscano per nascita con parziale ascendenza calabra, nella sua dotta "Storia economica" sostiene, e credo che non sia l’unico, che dopo la scoperta delle Americhe il baricentro dell’economia si spostò dal Mediterraneo alle coste dell’Atlantico, favorendone lo sviluppo dei commerci, che trascina sempre con sé quello delle attività produttive.
Ora è chiaro che, se si fosse potuta capovolgere l’Italia reale così come lo si può fare con una semplice cartina geografica (i se non fanno storia ma a volte permettono di capirla), la Sicilia avrebbe condiviso i confini con la Francia, la Svizzera e l’Austria, e non con i mari della Libia e della Tunisia; e da Palermo, come oggi in realtà da Milano, si sarebbero potute più facilmente raggiungere Parigi, Ginevra, Vienna e Monaco di Baviera. E allora la scoperta delle Americhe avrebbe danneggiato non il Sud ma la terra del sig. Bossi. Dico “signore” perché, che io sappia, non ha titoli professionali, fra questi non rientrando la carica di rappresentante nel parlamento e non ravvedendo comunque, come prova la foto in alto, i dovuti motivi di onorevolezza.

C’è poi un ragionamento sulla conformazione geografica del territorio. Il grande vantaggio dei diversi popoli padani – chè diversa è la mentalità di un veneziano e di un brianzolo - è quello di vivere in una delle più vaste pianure d’Europa. Dico un vantaggio e non un merito, perché, se i genitori padani avessero fatto l’amore sulle Madonie o sul Pollino, i loro bimbi non avrebbero dischiuso gli occhi su una grande pianura ma sulle cime delle montagne o su una lunga sequela ondulata di colline.
In pianura è più facile arare col trattore e scavare fossati geometrici per irrigare, ma soprattutto è meno difficile costruire strade che collegano le campagne alle città e le città fra di loro. Anche nel Sud dove c’è pianura c’è un certo sviluppo: nel Tavoliere e nel Salento, a Metaponto e Vibo, ai piedi dell’Etna e nella Conca d’Oro. Naturalmente, da questi territori pianeggianti, fazzoletti di terra rispetto alla pianura padana, per trasportare le merci nel cuore dell’Europa bisogna macinare quasi duemila chilometri di binari o di autostrade, il che comporta maggiori costi.
Fa bene dunque il sig. Bossi a riempire l’ampolla lì dove nasce il Po. Se non avesse avuto il bel culo di nascere e pascolare nella fertile distesa prodotta da quel suo dio pagano, forse starebbe a munger capre con le basette lunghe e la coppola calcata in testa e, al passare di un distinto signore, si inchinerebbe salutando con un rispettoso “Vossia” e baciando le mani.

Se la scoperta delle Americhe e il maestoso fluire delle acque del Monviso, arricchite a destra e a manca da altri mille corsi d’acqua grandi e piccoli, dall’ ‘800 hanno dato ai padani il primato del Pil, essi non sono tuttavia riusciti a dar loro anche il primato della cultura. Molti avvocati, ingegneri, fisici, medici e docenti universitari vengono reclutati fra quei terroni che sono andati anch’essi ad abbeverarsi alle acque del Po. Che se poi in vacanza a Stoccolma si sentono chiedere quali siano i maggiori autori padani di romanzi, e dipinti, e film, e musiche, non credo che potrebbero rispondere con una sfilza molto lunga di nomi. Per un più ricco bagaglio di questo genere bisogna allungare la vista a quella parte dell’Italia che sta oltre il Passo della Futa.

Alla prossime …puntate. Probabilmente sui prevedibili effetti del federalismo sulla finanza pubblica, sul ruolo delle banche nell’economia post-unitaria, sugli effetti economici dell’immigrazione nel dopoguerra, su alcune imprecisioni nel calcolo del Pil, sulla laboriosità degli uomini sopra e sotto il 44° parallelo ecc. Insomma, di carne da mettere sul fuoco ce n’è in abbondanza.
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