domenica 30 settembre 2012

Thorstein Veblen, pioniere dell'Istituzionalismo (di Gilles Dostaler)

Chiudo questo 'settembre vebleniano' con la traduzione, spero fedele, di un articolo di Gilles Dostaler pubblicato dall’“Institut Veblen pour les réformes économiques” alla pagina web http://www.veblen-institute.org/Pourquoi-Veblen?lang=fr   e ripreso col permesso della redazione dalla rivista Alternatives économiques n. 215 del 2003

 
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Critico implacabile della società del suo tempo, Veblen apre la strada all’opposizione eterodossa contro la dominazione del pensiero neoclassico.
Thorstein Veblen è l’iconoclasta per eccellenza. La sua vita quanto le sue opere sono marchiate dallo stampo dell’anticonformismo e della dissidenza. Nato 1857, egli è allevato in una comunità rurale norvegese emigrata negli Stati Uniti, ma molto ripiegata su se stessa. Dopo aver sostenuto una tesi di dottorato ispirata alle idee di Kant e di Spencer, egli si ritira per sette anni nella fattoria della sua famiglia, dove si immerge in un mare di libri che divora con una sveltezza prodigiosa. Non comincia a guadagnarsi da vivere che all’età di 34 anni. I suoi comportamenti insoliti, il suo abbigliamento, i suoi metodi di insegnamento poco convenzionali, la sua vita sentimentale tempestosa, la sua ostilità alla religione hanno complicato una carriera accademica, punteggiata da mancati rinnovi contrattuali e periodi di disoccupazione.

E tuttavia i suoi colleghi hanno riconosciuto il valore di un’opera che combina brillantemente la critica sarcastica e l’analisi originale, alla frontiera dell’economia, della sociologia e della storia. Nel 1925 , allorché si avvicinava ai 70 anni, Veblen si vide anche offrire il posto prestigioso di presidente della American Economic Association, a condizione tuttavia che egli accettasse di divenirne membro! Fedele a se stesso, egli declinò questo onore, aggiungendo che avrebbero dovuto offrirglielo quando lui ne aveva bisogno. L’anno successivo egli si ritirò in una capanna rustica, per la quale costruì da sé i mobili, su una collina della costa californiana.

Critica della teoria economica

Critico impietoso e sardonico della società del suo tempo, Veblen lo è anche delle teorie che pretendono di spiegare questa società, e più particolarmente della teoria economica. E’ lui che conia l’espressione “economia neoclassica”, per ben sottolineare la continuità, piuttosto che la frattura, tra l’economia politica classica e la nuova scuola marginalista. Come spesso accade nell’ambito delle idee sociali, Veblen sostiene che la teoria neoclassica è in ritardo rispetto alla realtà di cui essa pensa di rendere conto. Astratta, deduttiva e statica, essa è incapace di spiegare la crescita economica e le crisi. Essa si chiude verso le altre discipline quali la sociologia e la storia mentre, per comprendere l’evoluzione sociale e la trasformazione delle istituzioni, è necessario un approccio multidisciplinare. Essa ha una concezione ristretta dell’essere umano, contraddetta dagli insegnamenti della biologia, dell’etnologia e della psicologia. L’homo oeconomicus è un atomo passivo, un “fascio di desideri”, un calcolatore del piacere e delle pene, che non corrisponde a nulla di reale.

Critico dell’economia classica, Veblen lo è altrettanto del marxismo, benché egli sia ad esso manifestamente più vicino. Egli rimprovera a Marx, come al suo ispiratore Hegel, la loro concezione deterministica della storia. Egli considera che la teoria del valore del lavoro e del plusvalore non è adattata alla complessità della società industriale moderna, dominata dalla meccanizzazione. Egli non crede nella lotta di classe così come Marx la concepisce. Egli ritiene che il proletariato non cerca di ribellarsi, ma è corrotto dalle classi superiori, di cui assimila i valori e che cerca di imitare.

Istinti, evoluzione e istituzioni

Lungi dall’essere un mondo di armonia ed equilibrio, la società è, dopo un periodo originario, il teatro di conflitti e di dominazioni. Lungi dall’essere un calcolatore edonista e razionale, l’essere umano è mosso da istinti e pulsioni irrazionali. Questi istinti si evolvono in seguito alle trasformazioni che, partendo dalle comunità primitive, conducono alle società industriali moderne.
Tra gli istinti primitivi, quello più importante è l’istinto predatorio, che determina l’appropriazione della sovrapproduzione da parte di una piccola minoranza. Esso si manifesta all’inizio nelle relazioni tra uomini e donne. In seguito mette in opposizione la “classe agiata” - che si occupa delle attività sportive, religiose, militari e di governo - e quella dei lavoratori. L’istinto predatorio si accompagna allora alla propensione alla prodezza e alla conquista, istinti guerrieri e sportivi. Nella società moderna esso prende la forma di una rivalità finanziaria, che si manifesta con la messa in mostra di consumi e di agiatezza e l’ostentazione di sprechi. Quanto più si è elevati nella scala sociale, meno si consuma per soddisfare i propri bisogni e più si consuma per rendere manifesta la propria superiorità, il proprio potere, la propria ricchezza. E’ per questo che definiamo “Beni di Veblen” quelli la cui domanda diminuisce quando il loro prezzo diminuisce. (...)
Veblen non crede che questi istinti siano appannaggio esclusivo di una sola classe sociale. Li si ritrova, in gradi diversi, in tutti gli essere umani. Anche i più poveri, influenzati dalla pubblicità e dall’esempio, si dedicano ai consumi ostentatori.

Ammiratore di Darwin, Veblen, accanto agli istinti, mette l’evoluzione e le ‘istituzioni’ al centro della sua visione della società. Egli definì queste ultime, non come delle organizzazioni, ma come delle “abitudini mentali predominanti, dei modi molto diffusi di pensare i rapporti e le funzioni particolari dell’individuo e della società” (“Teoria della classe agiata”). Si tratta di costumi, consuetudini, regole di comportamento, principi giuridici. Queste istituzioni hanno dunque una dimensione culturale importante e si evolvono adattandosi a un ambiente in trasformazione. Ma esse manifestano, per la maggior parte del tempo, un ritardo in rapporto al progresso scientifico e tecnologico, ritardo che è la principale origine dei problemi economici e sociali.

Critica dell’economia moderna

Questa analisi in termini di dualità, Veblen l’applica allo studio dell’economia moderna. All’istinto produttivo corrisponde, nell’economia moderna, l’industria; all’istinto predatore corrisponde il mondo degli affari. Il progresso industriale è collegato all’avanzamento delle scienze e della tecnica. L’industria moderna si caratterizza in particolare per il ruolo centrale della meccanizzazione.
Lo scopo dell’attività industriale è la fabbricazione di prodotti per il miglioramento del benessere della popolazione. Si è constatato invece che, nel capitalismo moderno, le attività produttive sono gestite nel quadro dell’impresa di affari. Queste imprese investono al fine di ottenere guadagni finanziari, un profitto, e non si preoccupano di produrre beni, ma di guadagnare denaro.

Niente ci assicura che gli interessi della produzione e quelli dei loro affari coincidano, anzi è precisamente il contrario. Per un’impresa può essere redditizio, anche se antisociale, ridurre la produzione, aumentare indebitamente i prezzi, perdere delle risorse o produrre oggetti inutili o dannosi. Vi fu un tempo, al momento della nascita del capitalismo, in cui l’impresa era diretta da industriali autentici mossi dall’istinto artigiano. Da quel momento in poi il potere economico è passato nelle mani di questi predatori moderni, che sono i capitani di industria e i finanzieri. Veblen è uno dei primi a descrivere gli effetti della separazione tra la proprietà e la gestione delle imprese, e l’emergere della “proprietà assenteista” che si impose nel dopoguerra come forma dominante del capitalismo. Le crisi economiche e la disoccupazione sono il prodotto del “ rallentamento della produzione che la proprietà del capitale esercita mediante il sistema dei prezzi” (“Gli ingegneri e il capitalismo”). L’inflazione del credito e la eccessiva capitalizzazione delle borse creano una distorsione crescente fra il capitale reale, produttivo, tangibile, e il capitale monetario, intangibile.

Per uscire da questa impasse, Veblen sperava in una presa di controllo dell’industria da parte dei genuini portatori dell’istinto produttivo, i tecnici e gli ingegneri, alleati dei lavoratori manuali. Egli non spiegò, tuttavia, come questo regime di “soviet dei tecnici” poteva essere messo in piedi e fatto funzionare. Negli ultimi anni della sua vita era sempre più amareggiato e pessimista, per affrontare ciò che egli vedeva come una collusione crescente nel mondo degli affari, in quello della religione e in quello della guerra. Se resuscitasse oggi, senza dubbio ne resterebbe disorientato.

Morto quasi isolato, Veblen ha lasciato due discepoli, John R. Commons e Wesley C. Mitchell, che sono gli autentici artigiani della corrente istituzionalista, della quale egli può essere considerato il padre. Principale opposizione eterodossa alla dominazione neoclassica negli Stati Uniti, l’Istituzionalismo ha preso forme diverse, talvolta molto differenti dalle idee di Veblen. Dopo aver ispirato il New Deal di Roosevelt, Veblen nel dopoguerra ha conosciuto una lunga ritirata nel deserto. Ha avuto una rinascita importante solo dopo gli anni ’60, specialmente con la fondazione della Association for Evolutionary Economics.
 
Gilles Dostaler
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