lunedì 21 gennaio 2013

Pasquale Saraceno, “Riflessioni Senilamare”, Rossano, 1995

Le pagine che seguono sono tratte dal libro del Prof. Pasquale Saraceno, al quale sono legato da profonda stima. L’ho conosciuto in tre momenti diversi e per tre diversi motivi. Nei primi anni Sessanta, quando di lui sentivo parlare alcuni suoi alunni del Liceo classico di Rossano - nostro comune luogo di origine – per sottolinearne la vasta cultura e l’attaccamento profondo alla missione di insegnante. Negli anni Ottanta, quando ho avuto l’onore di diventarne collega ed ho potuto apprezzare di persona quelle sue qualità e pormi la sua figura come modello umano e professionale. Dagli anni Novanta, e ancora adesso, come lettore dei suoi numerosi volumi, dove, con taglio quasi giornalistico, riesce a dipanare i più profondi problemi politici e culturali della nostra società.
Il Prof. Pasquale Saraceno è nato a Rossano Calabro nel gennaio del 1923 e in questi giorni festeggia il novantesimo compleanno, per cui, in questa breve presentazione, oltre ai ringraziamenti per avermi concesso di pubblicare queste sue pagine, desidero fargli i miei auguri. Le persone che hanno sempre mantenuto sveglia la loro passione per la cultura e per l’umanità, restano, e noi dobbiamo augurarci che restino, sempre attivi e in salute.
Riconoscente allievo del Prof. Antonio Aliotta, Pasquale Saraceno si è laureato in Filosofia all’Università di Napoli e per trentacinque anni si è dedicato all’insegnamento con passione, continuando sempre a coltivare i suoi giovanili interessi filosofici ed anzi, come dimostrano i suoi scritti, allargando l’indagine ai problemi economici, politici e… teologici. Anche a quelli teologici, perché, nonostante il suo scetticismo, non ha mai cessato di indagare sulle origini e la natura del sentimento religioso.
Come emergerà da queste poche pagine, l’Autore prende le distanze dalle forme dittatoriali assunte dai regimi comunisti nei Paesi dell’Est europeo, ma non manca di sottolinearne anche alcuni aspetti positivi, che facevano da contraltare agli altrettanto dannosi regimi ultraliberistici dell’Europa occidentale, e soprattutto mette in risalto il valore ancora intatto del pensiero marxiano.
Il giovane e valente filosofo Diego Fusaro nel 2009 ha pubblicato un bel saggio dal titolo “Bentornato, Marx!”. Encomiabile il suo sforzo di recupero del pensiero del grande filosofo di Treviri, ma per il Prof. Saraceno non si tratta proprio di un ritorno. Nel suo cuore, nella sua mente e, lui pensa, anche nella società, le tracce più profonde del pensiero di Marx non sono mai state cancellate. Il suo grande sistema di idee si fa infatti progetto, utopia e, in quanto tale, resta sempre sull’orizzonte dei fini ultimi dell’uomo. In questa ottica, non può sfuggire la sua affinità con il primitivo messaggio cristiano di spiritualità, uguaglianza e difesa dei deboli.

Cataldo Marino

*.*.*

Riflessioni senilamare (brani tratti dalle pagg. 217-231)

Quello che era il ritornello dei discorsi di Reagan e di Wojtyla è sotto i nostri occhi, oggi. Prima il popolo russo, vittima di una dittatura, era sano moralmente e non moriva di fame. Non conosceva la disoccupazione, non pagava alcuni servizi, come quello della sanità, spendeva poco per altri (trasporti, luce, riscaldamento). Ad ogni nucleo familiare era assicurata una casa, il cui affitto corrispondeva al 5% del salario; gli alimenti essenziali avevano prezzi minimi. Eppure si è sempre detto che la mercede di quegli operai era bassissima, ma volutamente non si mettevano in conto tutte le agevolazioni che di fatto rendevano doppio o triplo il salario. Si obietterà: gli alloggi erano piccoli e fatiscenti, il cibo di qualità scadente, la razione di pane veniva data dopo lunga attesa. Oggi gli alimenti sono migliori e più abbondanti, gli appartamenti più decorosi. C'è però un piccolo particolare da tener presente: gli uni e gli altri sono per pochi privilegiati, i padrini, i capimafia, che sono le figure emergenti della società. Secondo i dati dell'Unicef, dopo la caduta del comunismo le famiglie che vivono sotto la soglia della povertà sono tantissime. Si prova sconcerto di fronte al nuovo, portatore solo di miseria, immoralità, disordine e morte. Quanta amarezza, quanta delusione e quanta nostalgia del passato! [...] La logica liberista ha spazzato via 70 anni di assestamento e sicurezza sociale ed è spaventosamente complicato riconvertirsi alla proprietà privata e alla libera iniziativa.

La Russia di oggi è il paese dei malavitosi. A Mosca si contano oltre 5 mila bande che vivono di estorsioni, spaccio di banconote false, atti di teppismo e che spesso la fanno franca per la grave crisi della giustizia, che non riesce più a garantire lo Stato di diritto, anche per la mancanza di prigioni (la criminalità era stata debellata). Il mercato, alimentato da una massa enorme di denaro straniero (quello degli speculatori) è selvaggio, senza regole e costituisce il terreno ideale per l'espandersi della criminalità. "Abbiamo cercato per 70 anni di creare l'uomo nuovo. Ma appena la società è diventata libera è saltato fuori il malvivente". Questo l'amaro sfogo di A. Jakovlev. La delinquenza dilaga, perché non ci sono più freni morali autonomi o imposti dalle leggi. I furti, le rapine, gli omicidi non si contano più. Chi può cerca di arricchirsi con ogni mezzo e, se ci riesce, suscita l'invidia e, qualche volta, l'ammirazione degli altri, non più protetti nei loro diritti fondamentali. I gangster miliardari che girano su auto di lusso, in compagnia di ragazze belle ed eleganti, spesso diventano degli idoli, perfino agli occhi dei bambini, esterrefatti dinanzi ad altri spettacoli.
Scrive Iacovello su "La Repubblica": "Calcutta? Cercatela in Russia. San Pietroburgo assomiglia a Calcutta: allineati sui vialetti... ci sono storpi e scrofolosi, giovani epilettici e vecchie piene di piaghe, vittime della fine dell'assistenza pubblica, dell'inflazione mangiarisparmi che li ha messi letteralmente sulla strada. Dove non sopravvivranno a lungo. È il nuovo questo?" Nessun politico rappresenta milioni di russi emarginati da riforme che favoriscono solo folle di mercanti, convinti che "al mondo non c'è nessuno più forte del ricco", come viene detto a Iliuscia ne "I fratelli Karamazov".

Molto fiorente è il commercio della droga. Altra fonte di guadagno è la prostituzione. Peccato! Prima essa era un fenomeno sconosciuto o molto limitato. Non che le donne russe fossero tutte caste e fedeli, ma difficilmente vendevano il proprio corpo. Decine di migliaia di ragazze oggi si offrono negli alberghi, nelle case, nelle discoteche. Quell'attività è il sogno delle adolescenti: è una via d'uscita dalla miseria. Non a caso la canzone "Prostituta" è ai primi posti delle classifiche russe. Mosca conta più di 200 case di piacere clandestine. Molto diffusi anche romanzi, riviste e giornaletti porno. Insomma, quella del sesso è l'industria più fiorente del Paese.
Durante i 70 anni del comunismo la notte era dedicata da tutti al riposo, che ritemprava il corpo per il lavoro del giorno successivo. Oggi non è più così: la notte "è fatta per amare" e, di conseguenza, si offrono spogliarelli, "servizi erotici" e ragazze a profusione nei locali aperti al pubblico, che, purtroppo, non chiudono più i battenti alle 11 di sera, come era prescritto anteriormente al libero mercato... del sesso. Da quest'orgia è esclusa la classe operaia: certi piaceri sono riservati ai ricchi, agli speculatori.
Prima gli svaghi erano più semplici, non peccaminosi, Santità! Anche nella sua Polonia, che oggi inonda l'Europa di prostitute, in piena libertà e in contrasto con l'invito pressoché quotidiano del suo Papa alla castità.
Questo è solo l'inizio di un'era che promette guai assai peggiori. Quando ciascuna etnia dell' immenso arcipelago russo avrà acquisito piena coscienza di sé e vorrà imporre alle altre la propria cultura, il proprio credo religioso, allora sì che si manifesterà l'errore imperdonabile commesso da quanti si sono battuti per sconfiggere il socialismo.

Come il poeta esalta e rimpiange l'utilità della quercia dopo il suo abbattimento (essa non può più offrire ristoro al viandante e rifugio agli uccellini), così oggi sono in molti a tessere le lodi del socialismo. Alcuni, forse delusi; altri, forse spauriti; altri ancora, riconfermati nella loro fede. Sembra che lo stesso Papa, uno degli artefici principali della caduta dei regimi dell'Est, rimpianga Iaruzelski e arrivi a sfiorare la riabilitazione del marxismo. Egli afferma che i proletari erano veramente sfruttati nel secolo scorso e che questo sfruttamento costituisce "il nocciolo di verità del marxismo che lo ha reso attraente alla società occidentale". E ancora: "Dobbiamo raccogliere i semi che ci sono nel socialismo, nato come reazione al capitalismo degenerato... I bisogni che hanno dato vita a questo sistema erano reali e seri". Aggiunge però il Pontefice che "centro dell'ordine sociale è l'uomo", che la soluzione proposta da Marx non ne ha garantito la dignità e perciò è andata incontro al fallimento.
Va precisato però che non bisogna confondere il socialismo reale dell'Est con la dottrina di Marx. Se è vero che lo sfruttamento dei proletari era largamente praticato, se è vero che era forte la volontà di andare incontro "a bisogni reali e seri", come si fa ad affermare che Marx ha calpestato la dignità dell'uomo? Al contrario, al centro di quel sistema c'è la fede nella redenzione dell'uomo. Chi ha elevato nel mondo certe classi sociali dallo stato di inferiorità e di abbruttimento in cui erano costrette a vivere? Chi ha fatto cadere certi ostacoli che le tenevano lontano dai diritti fondamentali? È il sistema liberale che pone al centro della storia l'economia e non l'uomo. Dice frate Iljia, un giovane francescano croato: "L'Europa ci sta regalando la diffusione della droga, l'edonismo di massa, il guadagno facile e il disprezzo per la solidarietà sociale".

R. Zangheri nel suo ultimo libro "Storia del socialismo italiano" afferma che "senza uno spirito di solidarietà, di fratellanza non eviteremo le catastrofi in agguato, e il socialismo, come altre idee-base della civiltà umana, ha forse qualcosa da dire a questo proposito". Anche nell'incontro-dibattito tenuto a Roma nell'aprile del '93 si conclude che il socialismo non è da buttare. Alla rassegnazione di L. Colletti, il quale sostiene che il capitalismo è il frutto di una selezione naturale, che esso non rappresenta il migliore dei mondi possibili, ma il mondo reale, M. Rocard (l'ex 1° ministro francese) oppone la necessità di un "movimento" progressista, di una sinistra dal cuore socialista, capace di garantire nell'economia di mercato l'elemento umano della solidarietà. Su Civiltà cattolica del febbraio 1993 i gesuiti dichiarano apertamente che dei socialisti l'Italia ha ancora bisogno. "Contro lo strapotere del capitalismo individualista, che tende a sottomettere l'attività economica alla sola legge del mercato e del profitto, una forza socialista, rinnovata nell'ideologia e nella prassi, ha ancora la sua ragion d'essere, a patto che non si ricada negli errori dell'era Craxi, durante la quale il PSI è entrato in perfetta consonanza con l'attuale società consumistica". È quanto sostiene padre Giuseppe De Rosa."II socialismo non può morire. Fin quando gli uomini saranno capaci di un anelito di giustizia e d'altruismo, quell'anelito sarà socialista" dice E. Montanelli, che completa però il pensiero affermando che il socialismo deve avere la funzione di "correttivo del capitalismo, che, abbandonato a se stesso, trasformerebbe la società in una giungla".

In un mondo con poche famiglie sempre più ricche e tutte le altre sempre più povere, quale rimedio più efficace di un socialismo autentico che tuteli chi la ricchezza contribuisce a crearla e, in generale, i destinatari dei beni prodotti? Non si pensi che la lotta tra capitalismo e socialismo si sia conclusa. È terminato solo il 1° round. L'egoismo e l'apertura agli altri sono categorie dello spirito insopprimibili ed il contrasto è destinato a durare in eterno. La difesa del singolo, intraprendente e spregiudicato, si scontrerà sempre con le esigenze della collettività.
La rivoluzione nata per imporre l'eguaglianza è fallita per la ferocia dei capi e la fretta di concludere processi storici che richiedono prudenza e tempi lunghi, ma soprattutto per la reazione decisa e concordata del grande capitale mondiale e di forze religiose anelanti ad esercitare nell'Europa dell'Est la loro suggestione.
[…]

Benedetto Croce sostiene che nella storia non ci sono fatti buoni e fatti cattivi, ma sempre fatti buoni, perché il vero soggetto di essa è sempre in ultima analisi lo spirito.
"La storia non è mai giustiziera, ma sempre giustificatrice; e giustiziera non potrebbe farsi se non facendosi ingiusta, ossia confondendo il pensiero con la vita e assumendo come giudizio del pensiero le attrazioni e le repulsioni del sentimento". In altre parole, tutto nella storia è razionale perché tutto in essa ha la sua ragione d'essere. Bisogna aggiungere che negli ultimi scritti B. Croce cade in contraddizione quando distingue la razionalità della storia dalla razionalità dell' imperativo morale, col quale riemerge quel sempre schernito dover essere che pretende di dar lezioni all'essere.
Se ogni evento ha la sua giustificazione, non si spiega l'accanimento contro alcuni di essi in particolare. A volte non è il caso di tirare in ballo una dottrina come causa di nefandezze. Il cristianesimo è stato causa di lutti e sciagure perché lo si è voluto piegare a interpretazioni aberranti. Scrive S. Tommaso: "Di per sé l'eresia è un peccato tale che l'eretico merita di essere non solo separato dalla Chiesa per mezzo della scomunica, ma anche escluso dal mondo con la morte" (!!!). Innocenze III, ritenuto uno dei più grandi papi, nel 1209 indisse una crociata che portò allo sterminio dei Catari, rei solo, assieme ad altri spiriti liberi (tutti condannati come eretici) di perseguire il ritorno agli ideali evangelici di povertà e giustizia in nome di una rigenerazione religiosa e morale. Fonti insospettabili dicono che furono milioni i roghi su cui finirono, nel Medioevo, eretici e streghe. E tantissimi altri fatti stanno a dimostrare come sia facile travisare una dottrina e compiere ogni sorta di violenze in nome di un Dio che è solo amore.
Anche oggi, se le condizioni fossero le stesse, i roghi chiuderebbero la bocca a molte persone. E si ha anche il coraggio di dire che l'uomo dev'essere riportato al centro della storia, l'uomo mortificato ad Est e ad Ovest perché la modernità, cioè il marxismo e il liberalismo, metterebbero a quel posto l'economia.
[…]

Marx è stato violentato con conseguenze disastrose. Questo non toglie alle sue opere l'alto significato etico, riconosciuto anche da Croce e Gramsci, che pongono l'accento sul senso dell'uomo, sul rifiuto di una società ingiusta. Nel groviglio di quegli scritti, farraginosi e di difficile lettura -tutti ne parlano, ma pochissimi li conoscono a fondo- c'è un solo punto fermo: la glorificazione dell'uomo e della sua attività. […]
Marx resta l'analista insuperabile del capitalismo, il rivoluzionario, il capostipite del socialismo moderno, colui che sogna una società più umana, una società in cui "il libero sviluppo di ciascuno sia condizione per il libero sviluppo di tutti", e in cui possa trovare attuazione il principio sacrosanto 'ognuno secondo la propria capacità, a ciascuno secondo i propri bisogni".
Nei Paesi dell'Est il comunismo è fallito proprio perché s'era allontanato da Marx, al quale non sono assolutamente da addebitare la ferocia e i metodi di Stalin. Se c'è un grosso errore che si può rimproverare a Marx è quello di aver sottovalutato le capacità dei capitalisti: i veri potenti sono i ricchi e contro di loro c'è ben poco da fare. […]
Marx è il cantore della libertà e della dignità dell'operaio, al quale conferisce appunto decoro nel momento in cui lo spinge a non dare al suo lavoro il carattere di asservimento incondizionato al profitto altrui.
L'autore del Capitale è ateo e va bandito?
A parte la constatazione che anche gli atei possono entrare nel "Regno dei Cieli", se si comportano onestamente, bisogna distinguere un ateismo pratico, di fatto, da un ateismo teorico. Chi calpesta il fratello, lo sfrutta, lo riduce in catene, anche se si professa cristiano, in realtà non lo è, perché agisce come se Dio non esistesse. Viceversa, chi coscientemente non riesce ad arrivare a Dio, ma si batte in nome della fratellanza e cerca di inculcarne l'idea anche negli altri, è da pensare che sia molto più vicino a Lui dell'altro. […]

Negli anni Settanta destò grande interesse la "Teologia della liberazione", cioè una nuova maniera di fare teologia, che si cercò di sperimentare nell'America Latina, dove una vergognosa sperequazione vede le masse soffrire in modo incredibile. Senonché, i promotori di questa crociata di salvezza, sacerdoti, anche dell'ordine dei gesuiti, furono sconfessati ufficialmente dalla Chiesa.
Siamo nel 1971 quando Gaetano Gutierrez tiene una conferenza in occasione della giornata di studio della "partecipazione dei cristiani alla costruzione del socialismo in Cile". Vengono esaminati diversi tipi di relazione tra marxismo e cristianesimo. Uno è di rifiuto del marxismo. Errore, se esso è umanismo, se vuole il "ritorno dell'uomo a se stesso", cioè l'ascesa dalla disumanità all'umanità, e se considera la proprietà come disponibilità del lavoro altrui. Non si può respingere una dottrina che auspica una società più giusta. Anche il marxismo ha la sua fede. L'azione politica non è solo scienza, analisi, ma ha un progetto storico, un'utopia, che è l'elemento creativo, qualcosa che muove ad agire, l'ansia dell'uomo nuovo e della società nuova. La fede, come impegno nella storia, dà un contributo all'azione politica. Se ciò che salva è l'amore del prossimo, la comunione, cioè qualcosa che si realizza quaggiù, la salvezza è situata nella storia, che è unica (quella sacra non si distingue da quella profana).

La Teologia della liberazione, che non è quella ufficiale, deduttiva, vuol essere una riflessione critica, alla luce delle parole del Signore, sull'attività umana, quella che Marx chiama "praxis". "Una delle più grandi illusioni cristiane -dice Gutierrez- è quella di dire che non si ricava niente se non si converte l'uomo. Che significa convertire l'uomo se non convertire il mondo in cui l'uomo si trova? Il cuore da solo non si converte: quattro secoli di cristianesimo in America Latina stanno a dimostrarlo... C'è tutto un contesto, qualcosa di molto più vasto da tener presente". Se il processo di liberazione tende a creare una società giusta, un uomo diverso, affrancato dal peccato, inteso come mancanza di amore, esso può essere favorito da una collaborazione fra cristiani e marxisti. Ma ad una condizione, che essi non siano schiavi dell'ideologia, che è il mondo delle verità precostituite. "Nella misura in cui il cristianesimo e il marxismo si presenteranno meno ideologizzati saranno molto migliori". Il loro rapporto, che può concretizzarsi solo nell'azione politica, dipenderà appunto dal tipo di azione politica.

E si insiste su un concetto basilare. Il cristiano ha una visione dell'uomo diversa da quella del marxista. La rivelazione gli dice "che è amato da Dio, che quest'amore è gratuito e che gratuite devono essere le sue relazioni con gli altri" (solo l'amore gratuito è profondo). "Si salva chi rompe col proprio egoismo e si apre agli altri; aprendosi agli altri si apre a Dio, a Cristo". Se i fatti storici esprimono un conflitto tra individui e si muovono verso la comunione degli uomini tra di loro, anche i marxisti, si ribadisce, possono dare il loro contributo all'azione politica. Marx vuole mutare il mondo, dopo che i filosofi l'hanno soltanto interpretato; in lui è grande la volontà di realizzazione politica, il desiderio di una società migliore.
Ora, se i "nuovi" teologi vedono la possibilità di un'intesa proficua sul terreno pratico con i "nemici", perché nei confronti di quelli c'è tanta diffidenza e perfino ostilità?
È proprio vero, come sostiene il buon frate Vittorino, che la Chiesa si allea con i potenti, con i ricchi, dai quali soltanto può ricevere favori e aiuti? In effetti, la storia conferma che l'appoggio dei monarchi e persine dei dittatori, chiesto e ripagato nel corso dei secoli, le ha dato sempre forza e capacità di affermarsi. Ai poveri si apre il "Regno dei cicli", degli altri si consolida quello terreno. Se non fosse così, nell'azione politica i cattolici sarebbero spinti a sinistra, dove sventola la bandiera della solidarietà, cioè dell'amore.

Eppure sembrava, alla fine del secolo scorso, che qualcosa stesse cambiando dietro la spinta del socialismo cosiddetto utopistico e di quello scientifico. Il cristianesimo c'è da venti secoli, ma la dottrina sociale della Chiesa, in forma organica e ben articolata, vide la luce solo con l'enciclica "Rerum novarum" del 1891. Leone XIII tentò di creare un "socialismo cattolico o cristiano" per togliere ai socialisti il merito di essere gli unici occuparsi dei problemi delle masse operaie.
Che gara edificante! Perché non riconoscere umilmente i meriti altrui, dato che il buon Dio può servirsi di chiunque per operare? Era proprio necessario Marx per spingere la Chiesa ad occuparsi esplicitamente dell'operaio e del lavoro? È vero che la questione sociale si pone solo nell'Ottocento con l'avvento della macchina e il passaggio alla produzione di fabbrica o industriale e con lo sviluppo di mezzi di trasporto e di comunicazione. Ma è pur vero che anche nella fase della produzione artigianale o manifatturiera si sfruttava l'uomo, e i testi sacri sono pieni di riferimenti alla sua dignità e alla giusta mercede. […]

Pasquale Saraceno
.
Copyright 1995 - all rights reserved