giovedì 29 marzo 2012

Riflessioni pedagogiche: "I tempi dell'apprendimento"

Il mondo della scuola visto dall’esterno sembra molto semplice. Forse tutti i lavori, visti dall’esterno, sembrano semplici. Ma non è così, e per rendersene conto, senza ricorrere all’esagerazione del primo socialismo reale con la teoria della rotazione fra lavoro intellettuale e manuale, non sarebbe del tutto errato se almeno qualche mese all’anno i contadini facessero gli insegnanti e questi i contadini. Anche l’idea di cambiare lavoro almeno per tre o quattro volte nella vita non è poi del tutto stupida, ha un suo fascino: sarebbe “come vivere” tre o quattro volte. Forse significherebbe vivere tre o quattro volte, senza “come”. (1)
Dunque, si diceva, il mondo della scuola non è così semplice come potrebbe sembrare. Le pagine dedicate alla “Tipologia della valutazione” hanno già gettato un cono di luce sulla complessità di quell’aspetto della didattica.(2) Ora si vuole invece analizzare sia pur brevemente un altro aspetto dell’insegnamento: quello del rapporto fra quantità di programma svolto in un’unità di tempo, ad esempio un anno scolastico, e numero di allievi che raggiungono un soddisfacente livello di preparazione su quel programma svolto.
A tal proposito diciamo subito una cosa tanto ovvia da rischiare consapevolmente il dileggio: si tratta, usando il concetto con una certa elasticità, di un rapporto di proporzionalità inversa. Se il programma è minimo (ad esempio venti concetti, venti pagine del libro di testo, venti formule o teoremi, l’unità di misura più adatta dipende naturalmente dalla materia), a fine anno tutti gli alunni avranno imparato tutto, anche quelli con un livello di partenza basso o con capacità logiche limitate. Ma via via che aumentiamo il programma svolto, ad esempio non venti ma duecento concetti o formule, i ritmi di trattazione degli argomenti devono diventare più sostenuti, gli alunni meno capaci o meno attratti dallo studio incominciano a non farcela più, diventano demotivati e smettono di apprendere. A fine anno ci si ritroverà allora con un venti o trenta per cento che ha “mollato”. (3)
Se, per continuare nel ragionamento, arriviamo all’ipotesi paradossale di un programma di duemila concetti o formule, possiamo ragionevolmente ipotizzare che in tal caso saremo seguiti solo da quei pochi mostri di intelligenza e di bravura che forse abbiamo la fortuna di ritrovarci in classe.
Si pone allora per ogni insegnante un problema fondamentale: è più giusto svolgere un programma minimo ed essere seguiti da tutti o un programma “completo” ed essere seguiti da pochissimi ? Sarebbe molto bello poter risolvere il dilemma con una delle tipiche ed esilaranti battute del simpatico attore della banda Arbore, Massimo Catalano: meglio fare un programma ponderoso ed avere alunni tutti preparatissimi. Ma poiché programma e risultati dell’apprendimento, come prima detto, sono legati in modo inverso, ciò non è possibile.
Allora bisognerà fare una scelta drastica? Non necessariamente. A metterci in guardia contro l’eccessivo lavoro, causato agli allievi da uno svolgimento sconsideratamente frettoloso del programma, forse basta il consiglio taoista di Lao-Tsu: “Frustare in continuazione il cavallo non è un modo per giungere lontano”. (4) A metterci in guardia contro l’errore opposto, cioè un’esagerata riduzione del programma, basta invece un minimo senso dell’onestà: annoiare gli alunni per un anno intero sempre con le stesse quattro nozioni, si configurerebbe come inadempienza nel rapporto di lavoro, con tutte le conseguenze giuridiche e morali del caso.
Per fortuna ci sono soluzioni più equilibrate, come quella del “giusto mezzo”, propostaci da un pensatore di prim’ ordine come Aristotele, il quale invitava costantemente ad evitare sia l’eccesso che il difetto. (5)

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Note

.* Questo articolo è tratto dal mio pamphlet “Il disagio degli insegnanti” distribuito ai colleghi della mia città nel 2000, quando ero ancora in piena attività professionale, e ripubblicato nel 2007 sul sito personale http://www.itineraricataldolesi.it/  oltre che sul sito ufficiale del sindacato Unicobas e su altri siti amici.

.1 Oltretutto si concilia molto bene con la “flessibilità”, un’innovazione dell’organizzazione del lavoro, sempre più di moda nei salotti buoni dell’industria tradizionale come in quelli della new economy. Il riciclaggio dei lavoratori è un’idea che va sempre forte fra gli imprenditori, perché permette loro di assumere e licenziare alle condizioni che il mercato fa risultare di volta in volta più convenienti.

.2 Successivamente riportate nel blog alla pagina web http://www.ilsemedellutopia.blogspot.it/2011/01/una-tipologia-della-valutazione.html  

.3 Man mano che i risultati degli alunni meno dotati per l’apprendimento peggiorano, questi reagiscono allontanandosi emotivamente dallo studio. Gli insuccessi sono sempre demotivanti. Non convince l’idea che il dare voti bassi inciti allo studio, gli psicologi dicono il contrario. Per chi si è sacrificato una volta, occorre un “rinforzo” che giustifichi il secondo sacrificio. In tal modo si attiva un circuito virtuoso, mentre le frustrazioni attivano un circuito negativo.

.4 Lao-tzu (secolo VI o V a.C.): “Wen-tsu” (Capire i misteri), cap. 10.
Si tratta di uno dei più importanti testi del taoismo, ricco di massime accattivanti come quella sopra menzionata. A titolo di esempio, per diletto e a fini pedagogici, mi piace riportarne qualcun’altra.
- “Quando sono promulgate troppe leggi, ci sono tanti ladri e banditi” cap. 10.
- “La Via del cielo consiste nell’abbassare l’elevato e nel rialzare il basso, nel ridurre l’eccessivo e nell’aumentare l’insufficiente” cap. 39.
- “I saggi, quando vogliono convincere gli altri, per prima cosa convincono se stessi” cap. 67.
- “Gli uomini esemplari devono fare del bene, ma non necessariamente possono raccoglierne i frutti” cap. 66.

.5 Ogni persona che ha conoscenza fugge l’eccesso e il difetto, invece è il giusto mezzo che cerca ed è questo che sceglie.” (Aristotele “Etica nicomachea” libro II, 1106 b 5- 6)
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