martedì 24 gennaio 2012

Articolo 18. Giusta causa e giustificato motivo

"Ciò che non fecero i barbari fecero i Barberini" dicono i romani da quattro secoli, cioè da quando il papa Maffeo Barberini, per le sue opere architettoniche, divelse i bronzi del Pantheon e i marmi del Colosseo. Applicai quel motto a D’Alema, quando nel 1999 fece agli insegnanti quello che non era stato fatto né da Mussolini né dalla DC, e lo applico adesso al prof. Monti, dopo le parole pronunciate l’altro ieri nella trasmissione televisiva di Lucia Annunziata: “L’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori non è un tabù”, il che equivale a dire chiaramente che lo si può e, fra le righe che lo si deve, modificare.
Era da anni che la Confindustria batteva su questo chiodo senza riuscire a conficcarlo, ma, essendo essa la controparte dei lavoratori, il suo interesse era troppo evidente per poter fare breccia nel muro. Il professore è invece un amico; come Cincinnato salvò l’Urbe e poi tornò ai campi, lui proverà ad abbassare lo spread e poi tornerà all’Università, quindi non avrà bisogno di sfidare coloro che sono contrari alla norma sulla ‘giusta causa’: basta convincerli con parole dolci e dotti ragionamenti.
Io ho stima del prof. Monti - ci ha liberati dalla costante, invadente, nauseante presenza del viso e del nome di Silvio Berlusconi ed ha ridato un certo decoro all’Italia nel consesso internazionale - però non mi è piaciuto molto che abbia iniziato a risanare i conti partendo dalle pensioni e soprattutto che adesso prosegua cercando di ridisegnare i confini dell’art. 18.

La vita lavorativa non è fatta solo di rapporti economici: sto otto ore al giorno a fare una certa cosa in cambio di tot euro. Durante quelle otto ore si intrecciano rapporti sociali con gli altri lavoratori, con il responsabile del reparto, con i dirigenti e col proprietario e, se non c’è protezione legale, basta un saluto sbagliato, una parola fuori posto, un attimo di disattenzione, la manifestazione di un’idea non in linea con il ‘sistema di idee’ che guida l’impresa, per essere buttati fuori. Per arrivare a questo basta anche un raffreddore che ti tiene a casa oltre il tempo considerato normale, basta dichiarare che sei di sinistra, basta aderire a un sindacato e sostenere uno sciopero, basta – a una donna – rifiutare le attenzioni del satiro di turno, basta avere una vita privata diversa da quella prevista. Non si tratta di ipotesi balzane, prima dello Statuto dei Lavoratori questa era la realtà.
Qualcuno potrà dire che, abrogando o modificando l’art. 18, tutte le libertà prese in considerazione negli altri articoli restano in piedi, ma non è così. L’art. 18 contiene la prescrizione sulla quale si incardina tutto il resto: se all’art. 1 mi si garantisce la libertà di fede religiosa, ma poi l’imprenditore, irritato per la mia eventuale fede buddista, mi può licenziare “senza giusto motivo e senza giusta causa”, in che modo posso difendere quella libertà?

Nel 2002, in piena era barbarica - come Brenno e Alarico, dal nord erano calati su Roma Bossi e Berlusconi - ci fu il tentativo di aggredire l’art. 18. Ricordo che i lavoratori risposero con degli scioperi che impedirono l’azione vandalica e, in quel contesto, per alcuni siti amici scrissi un articolo (ripubblicato nel 2007 sul sito http://www.itineraricataldolesi.it/), in cui cercavo di ricordare che l’art. 18 non impedisce di licenziare, ma si limita a tutelare la dignità dei lavoratori.
Pensavo in questi ultimi anni che si trattasse ormai di un argomento obsoleto, ormai inutile da rispolverare, e invece ecco che il prof. Monti inaspettatamente gli ridà vita. Per le argomentazioni in esso contenute, e in particolare per la chiara e sintetica spiegazione data dell’art. 18 dai giuristi Zatti e Colussi, docenti di Diritto Pubblico presso l’Università di Bologna, potrei limitarmi a rinviare a quell’articolo attraverso un link, ma, per venire incontro ai lettori più pigri, lo riporto nuovamente qui di seguito, nella speranza che i liberisti di sinistra (il bipolarismo in Italia è ormai bloccato fra liberisti di destra e liberisti di sinistra) diano una rispolveratina alle loro reminiscenze politiche e giuridiche. Se ancora ne hanno.

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Uno sciopero in difesa della dignità dei lavoratori
di Cataldo Marino - 14 aprile 2002

Un attento esame dell’art. 18 evidenzia come, già adesso, verificandosi determinate condizioni negative, relative al comportamento del lavoratore (carenze nelle prestazioni di lavoro) o alle esigenze dell’impresa (riduzione della produzione), l’imprenditore abbia la possibilità di procedere al licenziamento.
La modifica, che oggi si prospetta per l’art. 18, darebbe invece al datore di lavoro la possibilità di licenziare il dipendente anche per i motivi più ignobili. Ciò diventerebbe possibile solo perché il lavoratore svolge attività sindacale o politica o perchè rifiuta lavoro straordinario o, nel caso di una lavoratrice, solo perchè si ribella alle molestie sessuali, ecc. Sul piano sociale si tornerebbe insomma a situazioni che offendono la dignità dei lavoratori, tenendoli in condizioni di estrema “ricattabilità”.
Sul piano economico, l’incertezza del rapporto di lavoro indurrebbe inoltre i lavoratori a ridurre quei consumi che comportano un impegno finanziario di medio o lungo periodo (piccoli prestiti al consumo e mutui edilizi), che sono stati alla base dello sviluppo economico dei paesi occidentali. Da un’economia creditizia si tornerebbe così, almeno in parte, ad un’economia monetaria ed i vantaggi immediati degli imprenditori si ritorcerebbero in pochi anni contro loro stessi, oltre che contro l’intero sistema economico.
Per consentire una più agevole lettura dello "Statuto dei lavoratori" se ne riporta qui di seguito una selezione delle parti di maggiore rilievo (in grassetto l’art. 18 e la nota dei proff. Zatti e Colussi)

Legge 20/5/1970, n. 300 - Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori

*Art. 1. (Libertà di opinione). I lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei principi della Costituzione e delle norme della presente legge.
*Art. 7. (Sanzioni disciplinari). Le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni (…) ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti. (…) Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l'addebito e senza averlo sentito a sua difesa (…)
*Art. 8. (Divieto di indagini sulle opinioni). E' fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell'assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell'attitudine professionale del lavoratore.
*Art. 9. (Tutela della salute e dell'integrità fisica). I lavoratori, mediante loro rappresentanze, hanno diritto di controllare l'applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l'elaborazione e l'attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica.
*Art. 15. (Atti discriminatori). E' nullo qualsiasi patto od atto diretto a: a) subordinare l'occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad una associazione sindacale ovvero cessi di farne parte; b) licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero.
*Art. 16. (Trattamenti economici collettivi discriminatori). E' vietata la concessione di trattamenti economici di maggior favore aventi carattere discriminatorio a mente dell'articolo 15.
*Art. 17. (Sindacati di comodo). E' fatto divieto ai datori di lavoro ed alle associazioni di datori di lavoro di costituire o sostenere, con mezzi finanziari o altrimenti, associazioni sindacali di lavoratori.
*Art. 18. (Reintegrazione nel posto di lavoro). Il giudice, con la sentenza con cui… annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo ordina al datore di lavoro… di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro.
Nota: “Il giustificato motivo (…) può consistere in un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del prestatore di lavoro (motivo soggettivo) o in ragioni inerenti all’attività produttiva o all’organizzazione del lavoro (motivo oggettivo). La giusta causa consiste in un fatto tale da non consentire la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto come, per esempio, un atto di sabotaggio (…), un furto, ecc.” – “Lineamenti di diritto privato” di Paolo Zatti e Vittorio Colussi, Cedam, 1997, pag. 714.
*Art. 28. (Repressione della condotta antisindacale). Qualora il datore di lavoro ponga in essere comportamenti diretti ad impedire o limitare l'esercizio della libertà e della attività sindacale nonché del diritto di sciopero (…), il pretore (…) ordina al datore di lavoro… la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti.(…)
*Art. 40. (Abrogazione delle disposizioni contrastanti). Restano salve le condizioni dei contratti collettivi e degli accordi sindacali “più favorevoli” ai lavoratori.
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