giovedì 30 settembre 2010

Guardie e ladri. I limiti delle scienze umane

Da quando è stato riconosciuto il diritto alla proprietà dei beni, c’è sempre stato qualcuno che ha cercato di sottrarne ad altri il possesso e l’utilizzo e, da parte sua, naturalmente il proprietario si è sempre attrezzato per contrastare il pericolo di furto. All’inizio la difesa era individuale e col tempo è stata affidata agli specialisti, le guardie. Ma, nonostante questa evoluzione, i furti hanno continuato a verificarsi e le contrapposte figure del ladro e della guardia ancora si perpetuano; anzi le loro tecniche si sono progressivamente affinate.

Il “gioco” di guardie e ladri è, in qualche modo, paradigma di un altro gioco, quello tra il filosofo e il ricercatore sociale, da un lato, e l’uomo, oggetto delle loro speculazioni teoriche e delle loro indagini concrete, dall’altro. Anche qui c’è un soggetto che insegue e un altro che tenta di sfuggirgli, e anche qui vi sono diversi livelli di raffinatezza.
Il tentativo dello studioso a volte è inizialmente visto dall’indagato come un fatto positivo: “Se lui capisce come io sono, forse potrà aiutarmi a risolvere i miei problemi”, pensa. C’è però sempre un momento in cui il soggetto indagato tende a sottrarsi all’indagine, quasi avvertendo in essa un pericolo piuttosto che un aiuto. Gli etnologi, già nel primo Novecento, avevano messo in rilievo il fatto che la presenza di un osservatore, in una tribù , modificava il comportamento dei suoi membri, ed anche oggi, quando qualcuno cerca di registrare la voce o filmare le azioni di altri, notiamo come questi finiscano in qualche modo quasi per recitare secondo un copione diverso da quello consueto.

Questa reazione di cautela e di più o meno volontaria mistificazione rende i risultati della ricerca sempre provvisori. Il ricercatore non riuscirà mai a mettere definitivamente nella sua gabbia di conoscenze l’attore umano: le sue conclusioni sono sempre delle conquiste precarie, perché il soggetto osservato poi a sua volta osserva e riesce a modificare i propri comportamenti. Tornando allo schema del furto, è come se il ladro una volta acchiappato tentasse sempre di evadere e la guardia, aprendo la porta della cella, con stupore vi trovasse dentro un detenuto molto diverso da quello prima arrestato, quasi irriconoscibile.

Un compagno di studi universitari, in una riunione, a proposito delle possibilità e dei limiti delle scienze umane disse: “Una volta capito ciò che spinge un gruppo di persone a comportarsi in un determinato modo, siete poi capaci, voi studiosi, di prevedere il loro comportamento futuro?”. Intendeva con questo dire che il filosofo, lo psicologo e il sociologo possono ben comprendere il comportamento umano ma, a causa della capacità dell’uomo di rielaborare le situazioni e di inventarsi risposte sempre nuove, difficilmente possono anticiparlo.

Gli economisti – i quali diversamente dagli altri ricercatori prima citati indirizzano i loro sforzi in un campo molto più delimitato dell’agire umano – riescono, ad esempio, a spiegarci quotidianamente ex post le cause e gli scopi di certe decisioni, ma, quando si tratta di fare delle previsioni, succede che le sbaglino abbastanza di frequente. Prova ne sia che pochi fra di loro sono in grado di trarre un vantaggio economico dalle proprie conoscenze in materia e che quei pochi ci riescono solo scrivendo e parlando, e mai compiendo concrete operazioni speculative sul mercato. Immaginiamo a quali maggiori difficoltà va incontro chi aspira a comprendere, prevedere, e talvolta forse presume anche di controllare, i più complessi meccanismi della psiche individuale e delle dinamiche sociali.
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