venerdì 21 aprile 2017

L’intrigo (Racconto-denuncia della logica clientelare)

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"Aveva circa cinquant’anni e, come molte delle colleghe dell’ufficio in cui lavorava, aveva una cura quasi maniacale della sua persona. Il suo abbigliamento era quasi sempre impeccabile per via di una scelta accurata della qualità delle stoffe e di una costante attenzione per l’abbinamento dei colori, che preferiva in genere vivaci, per meglio spendere il suo buon gusto. Capitava anche a lei ogni tanto di esagerare e di cadere nel kitsch, ma ciò, bisogna dirlo, accadeva raramente.
Oltre che dell’abbigliamento essa aveva molta cura di tutte le altre componenti del suo look: acconciature sempre gradevoli nei colori e nella forma ed un’accentuata sottolineatura delle labbra e degli occhi, operata però con grande maestria; solo il massiccio uso di fard e creme denunciava una preoccupazione un po’ eccessiva per gli effetti degli anni sul viso e sul collo, effetti che con tali ritocchi venivano però mascherati alla perfezione. Con un’operazione mentale tesa a privare la signora Letizia di tutti gli accorgimenti presi per crearsi il suo fascinoso look, si sarebbe potuto anche immaginare che sotto tutto questo potesse albergare la sagoma di un cammello, ma, ad una osservazione breve, superficiale, acritica e possibilmente non troppo ravvicinata, non si sarebbe potuto provare che un sentimento di ammirazione, se non addirittura una certa attrazione, sentimento che attecchiva stranamente soprattutto fra le sue colleghe.
Ad impreziosire il tutto intervenivano infine un portamento deciso e naturale, che diventava goffo solo in particolari circostanze di nervosismo, ed una affabilità, che avrebbe potuto indispettire le migliori attrici del cinema hollywoodiano.
Tutte queste qualità, che ben si accordavano con la sua personalità decisa ed ambiziosa, aiutavano non poco la signora, non solo a risolvere i problemi che le si ponevano di volta in volta, ma anche ad osare in progetti sociali e professionali arditi e di lungo respiro.

Uno di tali progetti nacque nella sua mente allorché nel suo ufficio si rese libero un posto di alta responsabilità. Poiché l’incarico per il prestigioso ruolo rientrava nella sfera delle competenze del dirigente, programmò una serie di contatti con tutti coloro che avevano su di lui una certa influenza, al fine di far emergere le sue particolari attitudini a gestire le pubbliche relazioni e saper in tal modo assicurargli un elevato grado di collaborazione da parte dei dipendenti. In tutti questi contatti dimostrò notevoli capacità di adeguare il suo comportamento alle persone che avrebbero dovuto aiutarla, puntando per alcuni su particolari aspirazioni e per altri invece sulle loro debolezze e sui loro timori.
Alla signora Beatrice, ad esempio, fece capire che, qualora fosse stata aiutata ad ottenere l’incarico, avrebbe fatto il possibile per trasferirla in una stanza che si trovava al piano terra, dalla quale, durante le ore di lavoro, non avrebbe avuto eccessive difficoltà a sgattaiolare e assentarsi per andare a casa di tanto in tanto e dare un’occhiata ai bambini. Alla collega Carla, molto sensibile al fascino del denaro, promise l’assegnazione di lavoro straordinario ben pagato. Alla collega Lucia, sempre timorosa, data la sua speciale tendenza alla distrazione, di commettere errori nella tenuta dei registri contabili, assicurò una piena collaborazione nella revisione degli stessi ed ogni forma di copertura di responsabilità in caso di irregolarità. Al signor Giovanni, un uomo molto attratto dalle lusinghe del gentil sesso, riservò sorrisi venati di strana complicità, mentre al signor Battista, particolarmente pigro, prospettò la possibilità di mansioni di tutto “riposo”.
Quando giunse il momento di fare la scelta, il dirigente si consultò con tutte le signore ed i signori prima menzionati e, dopo un’attenta valutazione delle informazioni e dei giudizi forniti, non ebbe alcun dubbio: per il posto vacante la persona ideale era lei."
c.m.

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Quando dieci anni fa pubblicai questo breve racconto-denuncia sul sito www.descrivendo.com , una lettrice lo bollò con la citazione di Ecclesiaste 1,9: "Niente di nuovo sotto il sole!"
E certo non aveva tutti i torti, perché in fondo i rapporti personali, in tutti i luoghi e in tutti i tempi, sono stati alla base della cooptazione nelle cerchie del potere, e con questa considerazione la mia denuncia cadeva pesantemente nel vuoto. Se questa era la realtà, non ‘qui ed ora’ ma ‘sempre e ovunque’, che senso aveva denunciarla? Cercherò allora di spiegare la mia acrimoniosa e al contempo catartica reazione letteraria, aggiungendo i ‘fatti’ che, così come io li ho interpretati, ne sono stati all’origine.

Quando scrissi il racconto, nell'ambiente di lavoro c’era un conflitto insanabile fra un folto gruppo di colleghe che parteggiavano sempre e comunque per il dirigente, e poi un gruppo più sparuto di colleghi – circa il 25% - che era contrariato dalle discriminazioni fatte in base a una logica puramente clientelare. Questa situazione, pur se carica di discordie e veleni, non avrebbe fatto scattare in me una reazione così forte verso il primo gruppo se non si fosse verificato un fatto estremamente grave.

Poiché qualche anno prima una delle colleghe aveva osato presentarsi a un importante concorso interno, contrapponendosi alla… signora Letizia, quest’ultima, una volta ottenuto il posto di comando, diede una direttiva a tutti i suoi sostenitori: emarginare quella che era stata la sua concorrente. Ebbi la certezza di ciò quando molte amiche di Letizia mi avvicinarono in modo circospetto per invitarmi a stare lontano dalla… malcapitata.
“Ma questo è mobbing!”, pensai, e il mio pensiero divenne certezza quando un giorno, dopo un aspro litigio, sentii la signora Letizia urlare ripetutamente all’altra “Tu non sei nessuno!”, l’espressione estrema usata in genere dal mobbizzatore nel tentativo di spersonalizzare il mobbizzato, ridurne l’autostima e condannarlo all’impotenza sociale.

Per alcuni anni seguii la vicenda, chiedendomi in quale modo questa signora Letizia – pur non avendo i presupposti culturali normalmente esatti - fosse riuscita a conquistare il ruolo di leader indiscussa. Feci un elenco di tutti i colleghi che regolarmente le garantivano il loro appoggio incondizionato e di tutti quelli che avevano un atteggiamento critico. Poi, nel primo gruppo, identificai 1) le persone che ne ottenevano dei vantaggi economici; 2) quelle che ne traevano una qualche autorità, 3) quelle che godevano di copertura per le loro manchevolezze (assenze, scarso rendimento lavorativo, ecc.).

Sapevo che denunciare formalmente questo sistema di potere era inutile quanto il denunciare un capomafia in un territorio mafioso. Tace chi nell’appoggiarlo ne ricava un beneficio, e tace anche chi del testimoniare ha paura: messi insieme, fanno o no la schiacciante maggioranza della popolazione? Mi limitai pertanto a denunciare le singole irregolarità formali: il sistema, in quanto tale, era ormai inattaccabile!
Ma l’animo soffre nell’assistere alle ingiustizie senza la possibilità di contrastarle. Ed ecco allora che qualcuno scrive una storiella, una storiella che non farà succedere “niente di nuovo sotto il sole”, ma che può essere… unguento per le ferite.

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In questo blog, per motivi lunghi da spiegare, non sono previsti commenti, ma solo la possibilità di interloquire attraverso la mia e-mail. Questa volta però, dato il carattere eccezionale di una postfazione a un racconto, ho chiesto un parere alla mia carissima amica Marisa Bonsanti (https://merylho43.wordpress.com/2016/12/20/ribelli-si-nasce-ma-rivoluzionari-si-diventa/), la quale mi ha confortato con queste parole:
“E' racconto-denuncia. I racconti e le favole sono da secoli l'unico modo per dire scabrose verità. […] Proprio perché nulla è cambiato nei rapporti tra gli arrampicatori, l'argomento è sempre attuale.”.
E allora, via alla messa online!