venerdì 30 ottobre 2015

"La nuova scuola feudalizzata" - Interventi sul sito 'gildains.it' (2003)



Nel 2003 il Manifesto pubblicava un articolo a firma di Antonio Peduzzi dal titolo “La nuova scuola feudalizzata”. Qualche giorno più tardi l’associazione professionale “Gilda degli Insegnanti” lo riprendeva, aprendo un dibattito fra i frequentatori del proprio sito.

Riporto qui di seguito tutti gli interventi, eliminando solo due brevissime repliche che, a mio parere, nulla aggiungevano alla discussione. Lo faccio perché - pur essendo stati a lungo presenti sul sito nazionale della Gilda, alla pagina www.gildami.it/feudo/feudo.htm, e sui siti della Gilda di Milano e di Venezia – di quegli interventi oggi sul web non si trova più traccia.

Indice degli interventi:

1) La nuova scuola feudalizzata
Antonio Peduzzi ('Il Manifesto' 7/1/2003)
2) Nella Scuola dell'Autonomia la dimensione organizzativa e gestionale è nettamente prevalente sull'insegnamento e sulla didattica
Giuseppe Lorenzo (7/1/2003)
3) Feudatari governativi e valvassini lamentosi
Giorgio Ragazzini (22/1/2003)
4) Sempre più ridotta l'autonomia decisionale del collegio dei docenti
Alessio Alba
5) I veri problemi degli insegnanti
Gianni Mereghetti
6) Non dimentichiamo le responsabilità di tutti gli attori in gioco
Renza Bertuzzi (7/2/2003)
7) Riflessioni sulla democrazia (a scuola)
Grazia Perrone (11/2/2003)
8) Scuola feudalizzata: alla radice anche un conflitto di interessi
Cataldo Marino (14/2/2003)


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La nuova scuola feudalizzata
di Antonio Peduzzi, Il Manifesto, 7 gennaio 2003

La scuola è entrata nell'ancien régime. La riforma è stata realizzata con la trasformazione ope legis del preside in dirigente scolastico. Titolare di un incarico a tempo (tre anni), alla scadenza il dirigente può essere confermato, oppure no. E' infatti soggetto a valutazione da parte del direttore regionale (di nomina governativa). Dal momento che il direttore regionale è parte integrante dello spoil system, questo modo di funzionamento della scuola viene proiettato a cascata dalle direzioni regionali ai vertici di ogni scuola. Per essere confermato nell'incarico il direttore regionale deve essere omogeneo alla maggioranza di governo. A sua volta il dirigente scolastico deve mostrare alla valutazione risultati che contribuiscano alla carriera del direttore regionale. Conseguentemente il dirigente scolastico deve essere anch'egli governativo. E deve scegliere per sé collaboratori omogenei su questa linea.
Chi - anche in ambienti sindacali - ragiona nella vetusta ottica degli obiettivi di efficacia ed efficienza (scoperti dalla scuola italiana alcuni decenni dopo che essi erano stati teorizzati e sistematizzati dalla sociologia americana dell'organizzazione), dovrebbe rendersi conto di uno stato di cose di facile definizione: la scuola è stata feudalizzata.
Difatti alle spalle dei criteri di omogeneità tra livelli dirigenziali e tra essi e governo vige quello, assai più pratico, di fedeltà personale.
Gli aspetti, dunque, che le scienze dell'organizzazione dovrebbero porre sotto analisi sono due. Da una parte, l'introduzione di una sorta di führerprinzip. Il principio-guida non appare oggi per la prima volta negli apparati dell'istruzione. Significa che la scuola funziona grazie a un processo per cui tutto proviene dall'alto e tutto è organizzato in modo da risultare collaborativo verso l'alto.
Questo stato di cose spiega la ripugnanza sistemica della scuola nei riguardi di residui di procedura in cui sia prevista la modalità del voto. Già nei governi di centrosinistra è prevalsa la tronfia retorica della scuola come comunità. Ora la ripugnanza sistemica tra la scuola new age e le procedure democratiche è divenuta patologia. Alla procedura del voto la scuola tende a rinunziare, perché il voto divide, e in una comunità è male dividersi.
Questo spiega perché le procedure elettive sopravvissute (ma di prossima estinzione) siano state trasformate in atti di cooptazione. I collegi dei docenti non possono votare liberamente. E' invalso ormai il criterio dell'affidabilità degli eletti agli occhi del dirigente. Conseguentemente le procedure di voto si sono trasformate in atti di ratifica dei desideri del dirigente.
Altro aspetto della feudalizzazione compiuta è costituito dalla formazione degli staff scelti dal dirigente. Si tratta di collaboratori scelti dal dirigente scolastico sulla base di fedeltà personale, affidabilità, contiguità, doti la cui prestazione privatistica viene ricambiata con misure parastipendiali e la concessione di benefici.
La feudalizzazione della scuola italiana, chiesta dai dirigenti e dalla loro lobby e voluta dalle organizzazioni sindacali, ha liquidato gli ultimi residui di democrazia procedurale e edificato un insieme sistemico che per qualche aspetto richiama le corti orientali. Nelle corti orientali, eunuchi e favorite. Nella scuola italiana new age, yesmen e yeswomen.

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Nella Scuola dell'Autonomia la dimensione organizzativa e gestionale è nettamente prevalente sull'insegnamento e sulla didattica 
di Giuseppe Lorenzo

Un breve contributo in merito all' ormai dilagante fenomeno della rifeudalizzazione della scuola, ingenerata dal più incauto e sciagurato tassello della riforma (meglio sarebbe dire controriforma) dell'autonomia: la dirigenza ai presidi. Sarà perché il problema della democrazia e, con esso, la tutela della dignità personale e professionale mi sta particolarmente a cuore, ma io penso che il problema, sollevato da Peduzzi nelle pagine del Manifesto, sia una vera e propria emergenza che bisognerà affrontare con un'efficace strategia comune. Se è pur vero che questa svolta neoautoritaria nella scuola è la tragica conseguenza del qualunquismo, opportunismo e della mediocrità morale di chi ha lasciato languire i principi della democrazia partecipativa, che fu la grande conquista degli anni settanta del secolo passato, e cioè in primis gli insegnanti, oggi non possiamo cedere su questo fronte; non possiamo e non dobbiamo perché in questa assurda quanto insensata e immeritata attribuzione di poteri a questi cosiddetti dirigenti scolastici vi è il concreto rischio di una riduzione se non proprio una perdita della libertà d'insegnamento. Sono rimasto decisamente sconcertato dall'idea di scuola che è emersa dall'ultimo congresso dell'ANP che si è tenuto a Montecatini agli inizi dello scorso dicembre: sembrerebbe che siano le cosiddette "alte professionalità" e cioè quelli che Peduzzi definisce yesmen e yeswomen i veri pilastri della scuola dell'avvenire a cui si riserva accoglienza nell'associazione e un prospero e ricco futuro. Che cosa vuol dire tutto ciò? Ma che naturalmente la dimensione organizzativa e gestionale è nettamente prevalente sull'insegnamento e sulla didattica. Se una tale sciagurata idea di scuola dovesse affermarsi (e la scuola dell'autonomia solo questo è riuscita a fare finora) il definitivo funerale della scuola pubblica sarà quindi celebrato.
Che fare? Tutti noi della GILDA sappiamo che fare e già lo facciamo da sempre, come si capisce dai resoconti delle battaglie che si combattono quotidianamente nelle province. Occorre tuttavia una strategia comune, un buon coordinamento e tanta determinazione: ma tutto ciò non basterà se non avverrà il miracolo di un risveglio (o forse una rinascita?) a breve della categoria e, con esso, uno scatto di orgoglio professionale e morale e una forte presa di coscienza.

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Feudatari governativi e valvassini lamentosi
di Giorgio Ragazzini

Ancien regime e bel tempo che fu: in filigrana, è questa la filosofia dell'intervento di Antonio Peduzzi sul "Manifesto", che evidentemente rimpiange il buon vecchio preside inamovibile anche se inetto, con il corollario dell'elezione dei collaboratori, di cui nessuno, però, ricorda epiche battaglie in difesa del Collegio Docenti. Ma se lo spoil system frattiniano è senz'altro criticabile, i collegi non sembrano, nel complesso, esenti da pesanti responsabilità, quando accettano per quieto vivere (ma sono una minoranza secondo un'indagine condotta dal collega padovano Lino Giove) di essere espropriati delle loro prerogative, come quella di eleggere commissioni e coordinatori di area, nonché di bocciare inesorabilmente progetti e progettini che prevedono imponenti emorragie di denaro pubblico per paracadutare nelle scuole i mille esperti delle cento educazioni. E inoltre: quanti hanno proposto e deliberato un regolamento dei propri lavori che imbrigli l'eventuale tendenza a straripare del signore feudale? Quanti colleghi appoggiano - iscrivendosi, però, non a chiacchiere - la proposta della Gilda di affidare a un docente la presidenza del Collegio, secondo la logica della divisione dei poteri? E quanti hanno capito che l'autonomia ha un senso solo se intesa come dimensione organizzata della libertà di insegnamento? Organizzata, dico: e cioè incardinata sull'elezione di fiduciari del Collegio scelti per coordinare e promuovere la ricerca didattica e l'aggiornamento su base seminariale, nel presupposto che i docenti abbiano, guarda caso, un'esperienza da comunicare e discutere. E ancora: commissioni non aperte a tutti coloro che vogliono solo lucrare qualche gettone di presenza, ma votate a scrutinio segreto, e sulla base di una rigorosa analisi delle necessità didattiche effettive.
La democrazia non deve essere un paralizzante sistema di veti incrociati, ma chiara definizione e distinzione di poteri, assunzione di responsabilità, trasparenza, controlli efficaci. Difficilmente un collegio in cui figuri un certo numero di insegnanti forniti di adeguata coscienza e fierezza professionale si farà manipolare senza obbiezioni da un dirigente autoritario.
Smettiamola quindi di piangerci addosso, abbandonando (direbbe la Klein) l'infantile modalità schizoparanoide (quella che addita sempre e soltanto le responsabilità altrui) e cominciando a costruire, anche con comportamenti un po' più coraggiosi, l'alternativa al vassallaggio.

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Sempre più ridotta l'autonomia decisionale del collegio dei docenti
di Alessio Alba

Condivido le pessimistiche considerazioni di Peduzzi, quello che succede in contrattazione ci sta dando ragione.
Trovo molto centrata questa riflessione che probabilmente farà inorridire tanti convinti assertori della bontà del vecchio o del nuovo 'corso'.
Il fenomeno della regressione verso l'Alto Medio Evo […] è incominciato già negli anni '90 e sta continuando, facendo registrare una certa accelerazione negli ultimi tempi. Avevo già segnalato i sintomi di questo andazzo nel breve articolo (cfr. Professione Docente, settembre 2001) dedicato alla denuncia dei meccanismi cooptativi di funzionamento del sistema delle SSIS rimasto intatto nel passaggio dal vecchio al nuovo sistema governativo.
Di nuovo c'è solo un po' più di approssimazione e di rozzezza.
Certo, la questione ruota proprio intorno alla sempre più ridotta autonomia decisionale del collegio dei docenti, che è invece, per l'importanza delle ricadute sulla scuola, ben più rilevante dell'autonomia decisionale del D.S. a cui invece è stata consegnata una centralità politica determinante e soffocante per i "dipendenti".
Prima dal "centrosinistra" poi dal "centrodestra": non dimentichiamolo!
È vero che il collegio può individuare docenti con incarichi funzionali specifici, ma se costoro non sono graditi al capo hanno vita difficile.
Ogni giorno dobbiamo combattere contro decisioni di Dirigenti che ignorano, molto spesso deliberatamente, le norme contrattuali e il rispetto per il ruolo dei docenti, abbandonandosi a nefandezze di ogni tipo (si comincia di solito con l'estromissione da ogni attività, per poi procedere con una qualsiasi "contestazione degli addebiti", che fa tanto - vediamo intanto chi comanda qui! hai cinque giorni per giustificarti! - e così via).
Il D.S., comunque, può sempre avvalersi, e si avvale, del fatto che le sue decisioni sono definitive e il malcapitato di turno per difendersi non ha altra via che quella giurisdizionale, lunga, onerosa e incerta.
Capita anche, diciamolo pure, che i colleghi lascino detto malcapitato da solo perché temono ritorsioni. È una esagerazione? ... ne avrei di esempi concreti da raccontare!
Le RSU vengono messe nella condizione di non funzionare perché i dirigenti sanno di non aver alcun obbligo di firmare i contratti e quando pure li firmassero sanno che possono tranquillamente non rispettarli. Sarà poco onorevole, ma non succede nulla, non ci sono norme.
E il veterosindacato tradizionale in questi casi di solito non interviene perché vincolato dal ruolo contraddittorio di difendere gli interessi dell'Uno e degli altri.
Accade così che, tranne casi eccezionali, Confederali e Snals ignorino queste contrapposizioni ma, dovendo scegliere, optino per la tutela di coloro che hanno maggior peso politico.
E così i docenti sono condannati alla sottomissione.
Sarà chiaro per tutti? o, almeno, per molti?

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I veri problemi degli insegnanti
Gianni Mereghetti

L'interessante botta e risposta tra Giorgio Ragazzini e Antonio Peduzzi, riapre la questione seria della scuola, ma mi pare che non ci vada al cuore!
Per farlo occorre avere il coraggio di non fermarsi alle questioni strutturali e organizzative che condizionano, e pesantemente, la vita di noi insegnanti, per far emergere i problemi veri.
Tra questi ve ne sono due che mi dispiacerebbe rimanessero ancora una volta in ombra, per lasciare spazio a questioni di potere o di sindacalismo spiccio.
Il primo è la vera piaga dei collegi docenti e in genere di ogni organismo scolastico, ma purtroppo anche della normale vita quotidiana della scuola. Questa piaga è una vera e propria cospirazione a tacere di istruzione e di educazione! Di tutto si parla, ma raramente di ciò che c’entra con il far scuola, delle domande che un insegnante vive quotidianamente in classe, delle esigenze che emergono dall’affronto del suo lavoro, del cammino degli studenti che si hanno di fronte.
Finchè questo non diventerà l’oggetto privilegiato del dialogo tra gli insegnanti, non ci sarà nulla di nuovo dentro la scuola, se non apparentemente.
Il secondo problema riguarda il punto da cui si possa avviare un cambiamento reale. Non è il Collegio dei Docenti, né se sia meglio che a guidarlo sia il Preside o un insegnante, ma che esistano degli insegnanti che si assumano la responsabilità di educare e di istruire in condizioni di libertà.
Per questo se non si può prescrivere che un insegnante abbia i connotati specifici della professione, si possono però garantire le condizioni perché chi li ha possa insegnare e chi non li ha possa cambiare mestiere. Allora c’è un’unica cosa da fare, quella di realizzare l’autonomia scolastica e la parità! Infatti è solo in una condizione di reale libertà che un insegnante può far valere tutte le sue capacità, sia di tipo didattico sia di tipo educativo.
In conclusione non soffermiamoci su questioni secondarie, ma battiamoci perché nella scuola ci sia una reale libertà per i soggetti che la fanno quotidianamente. (28 gennaio 2003)

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Non dimentichiamo le responsabilità di tutti gli attori in gioco.
di Renza Bertuzzi

L’articolo di Antonio Peduzzi, prontamente pubblicato dal sito della Gilda Lombardia, ha proficuamente innescato un bel dibattito. Sarà perché ha agito da cartina di tornasole, attribuendo un nome ed una mappa al disagio quotidiano del nostro vivere a scuola.
Nell’ intervista che Peduzzi ha rilasciato ad Angelo Scebba per “Professione docente” on line (www.gildaprofessionedocente.it) il giornalista ribadisce i termini del suo teorema: la scuola sta ritornando al Medio Evo. Al principio della cooptazione, contro quello dell’elezione, all’idea di un vertice che decide, contro un gruppo, sempre più vasto, che deve eseguire.
Giustamente molti colleghi vedono in questo progetto un attacco alla libertà di insegnamento – cuore del sistema pubblico di istruzione, come sostiene Carlo Marzuoli, nell’ intervista rilasciata a Professione docente di Gennaio 2003. Ma, altrettanto giustamente, altri colleghi rilevano che questa situazione rischia di non essere nemmeno percepita in un contesto in cui la libertà di scelta, di fatto, non è mai esistita poiché i detentori di quella stessa libertà spesso hanno abdicato ad essa, in cambio di ben poche e modeste cose.
In sostanza, Peduzzi descriverebbe uno scenario già esistente, anche se non ancora di diritto. Su questo (apparente) contrasto vorrei soffermarmi.
Non vi è dubbio che l’analisi di Peduzzi è ineccepibile. L’eliminazione degli strumenti elettivi, l’assunzione a rango giuridico della cooptazione: questi sono tutti elementi che disegnano un sistema personalistico.
Così aveva anticipato Alessio Alba, in un intervento apparso su Professione docente, nel Settembre 2002 (“La scelta”). Negli stessi termini, Tommaso De Grandis, in un suo studio, presentato a Bari e a Foggia, nell’ ambito di due convegni della Gilda, aveva sottolineato come – nella vicenda delle RSU- “il ruolo elettivo, cardine del nostro sistema democratico- fosse stato sottomesso al prevalente ruolo del sindacato”. ( Cfr. C Biadene, Del Mostriciattolo chiamato RSU, in Professione docente, Gennaio 2003).
Come si vede, la tendenza è in atto. Che fare, dunque? Quale intervento politico potrebbe essere efficace?
Il principio di realtà ci comunica un dato di fatto: la democrazia nella scuola non ha avuto un buon successo. Gli strumenti elettivi, nella maggior parte dei casi, sono stati malamente inutilizzati.
Se il giornalista ci racconta come, nelle scuole, molti dirigenti riescono a manovrare i Collegi, non possiamo tacere di come essi abbiano buon gioco, di come non gli costi nemmeno troppa fatica.
Poiché essi non si servono né di mezzi coercitivi (a meno che per coercizione intendiamo i ricatti sulla distribuzione dell’orario di servizio ecc.) né dispongono di poteri sulla carriera o sulla vita, come mai riescono ad ottenere ciò che non si dovrebbe ottenere?
Io credo che un franco riconoscimento del clima di accondiscendenza alla tirannide e di noncuranza verso i sistemi democratici, presente in forma massiccia nelle nostre scuole, sarebbe salutare.
Penso, infatti, - consapevole di esprimere un giudizio morale e non politico - che siano più o meno sullo stesso piano sia i tiranni che chi permette al tiranno di essere tale.
Per questo trovo alcune difficoltà a condividere analisi che, descrivendo situazioni di illegittimità, trascurino di sottolineare le responsabilità di tutti gli attori in gioco.
Di chi attua sistematicamente le illegalità e di chi le subisce bellamente.
Rino Di Meglio, in un intervento al Convegno di Bari nell’ottobre di quest’ anno, ha affermato una bella verità: “Gli insegnanti dovrebbero essere più cittadini degli altri.” Se questo accade non troppo frequentemente, quale successo possono avere sistemi di controllo per difendere una cittadinanza che non è percepita come tale? E’ ragionevole pensare che la difesa dei propri diritti avvenga per imposizione?
E, ancora […] l’intervento di pochi “in nome di” molti ha speranza di modificare la situazione?
Per una risposta a questi quesiti, rimando all’articolo di Gaetano Bonaccorso, che apparirà sul numero di Febbraio di Professione docente, intitolato La spigolatrice di Sapri. E’ sufficiente qualche reminiscenza storica per capire quale sia la direzione del suo argomentare.
In conclusione, ritengo necessarie tutte le analisi che aiutino a comprendere la complessità che ci schiaccia (come cittadini e come docenti), purché si tratti proprio di tutte le analisi. Senza dimenticarne nessuna: non è tempo né di oblii, né di occultamenti. E’ tempo di occhi aperti.

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Riflessioni sulla democrazia (a scuola)
di Grazia Perrone

La bella intervista rilasciata a Professione Docente dal Prof. Antonio Peduzzi mi induce a formulare alcune considerazioni sullo “stato” della democrazia ovvero, sulle reali condizioni di agibilità democratica esistenti nelle scuole con l’avvento dell’autonomia gestionale e con il conferimento – de facto – di ampi poteri decisionali (e discrezionali) nelle mani di un singolo soggetto. Individuato – ope legis – nel dirigente scolastico.
Per esplicitare meglio il mio pensiero in merito credo sia necessario esplicitare in premessa il concetto sociologico di democrazia prevalente in dottrina.

La definizione di Karl Popper
Secondo il noto sociologico la democrazia è un sistema (…) “che rende possibile liberarsi di un governo senza spargimenti di sangue (…)” [1]. Questa espressione – indubbiamente laconica e restrittiva che poteva adattarsi nel contesto storico in cui fu formulata – mal si adatta ad una società complessa (o globale) come quella nella quale ci troviamo ad operare. Ragione per la quale a questa originaria definizione è possibile aggiungere altre tre definizioni che scaturiscono dalla risposta a tre quesiti:
· In che modo i voleri e le aspirazioni dei popoli (nel nostro caso del Collegio docenti) possono essere tradotti in azioni?
· Qual è il metodo corretto per consentire una efficace rappresentazione delle opinioni “in campo” consentendo – contestualmente – una corretta discussione ed una efficace diffusione di idee… ”controcorrente”?
· In che modo si garantisce in concreto – a tutti i soggetti interessati – il libero accesso all’informazione (ovvero, nel caso specifico della scuola, alla documentazione) necessaria alla acquisizione di una opinione propria?. [2]

La realtà scolastica
Dalla lettura dell’intervista citata in premessa e dalle conoscenze dirette che ciascuno ha della propria realtà scolastica si evince molto chiaramente che nessuna delle tre condizioni necessarie (secondo la definizione di Dahrendorf) ad una corretta esplicitazione delle prerogative democratiche viene applicata nella stragrande maggioranza delle scuole.
1. per quanto attiene il primo punto troppe testimonianze (e lo stesso Peduzzi) concordano nel riferire che le “aspirazioni del Collegio” nella stragrande maggioranza dei casi corrispondono a quelle del… manager;
2. nel secondo caso la libertà di espressione – principio costituzionale tutelato dalla legge – è un optional del quale si fa volentieri a meno e che non trova – quasi mai – riscontro nei verbali collegiali. In moltissimi casi la tutela di questo diritto e la reiterata richiesta di verbalizzazione integrale, puntuale e corretta costituisce motivo sufficiente per suscitare aggressioni verbali da parte degli stessi colleghi e vessazioni “padronali” assimilabili a tipologie mobbistiche;
3. stesso discorso per il terzo punto. Tutte le scuole “autonome” hanno adottato nei rispettivi regolamenti interni e nella Carta dei Servizi consegnata agli utenti le norme relative alla trasparenza e all’accesso degli atti amministrativi utili alla tutela di diritti soggettivi giuridicamente rilevanti. Sempre più spesso – però – questo diritto soggettivo bisogna reclamarlo nelle … sedi giudiziarie! Con tutte le conseguenze - in termini di peggioramento delle condizioni psicologiche in cui ci si trova ad operare e lavorare – che questa scelta implica.

Considerazioni finali
In che modo allora è possibile – in questo contesto degradato - preservare e affermare spazi di agibilità democratica nelle scuole? Qual è la maniera professionalmente ed eticamente corretta per opporsi al processo di “feudalizzazione” in atto nelle scuole e che si traduce nelle nuove parole d’ordine (fatte proprie anche dal centro-sinistra) di flessibilità, efficienza, produttività, competitività? Indubbiamente efficace potrebbe essere la sottrazione (nelle mani di un unico soggetto) dello strumento economico con il quale “il Principe” – utilizzando fondi pubblici – costruisce e consolida la corte di… “famigli” che – attraverso una fitta rete di connivenze e di controllo capillare del “territorio/scuola - avalla ogni sua decisione. Altrettanto valida l’ipotesi di nominare (eleggere!) un docente alla guida del Collegio al fine di farne un “contrappeso” di potere reale. Questa scelta non garantisce – automaticamente - la possibilità che questa carica possa essere “fagocitata” da una dirigenza particolarmente autoritaria ma è indubbio che il controllo (e la possibilità di revoca del mandato) esercitato dal Collegio avrebbe una propria esplicitazione reale.
Queste potrebbero essere delle proposte operative che – per concretarsi in azione politica – avrebbero bisogno di un soggetto sociale che se ne faccia promotore. Ma …esiste, oggi, un simile soggetto politico? Le proposte legislative fin qui formulate dal centro-sinistra non sono, forse, speculari a quelle del centro-destra? Dovremmo forse – per dirla con Righetti [3] – riconoscere mestamente che il moderno (…) equivalente del movimento socialista di fine Ottocento non esiste più (dal momento che) (…) si è spezzato il legame solidaristico tra le persone e i gruppi sociali?
Che ognuno naviga a vista in un mare di incertezze e l’orizzonte non è solo lontano ma, soprattutto, frantumato in un proliferare di individualismi, piccoli egoismi, frustrazioni che generano chiusura in un privato più o meno vivibile? (…)”.
In questo contesto la … scuola delle venti regioni autonome con potestà legislativa esclusiva insite nella modifica costituzionale del Titolo V ipotizzato dal polo di centro-destra assume una connotazione … “sinistra”!.
Note:
[1] cfr. K. Popper - La Società aperta - Armando Editore
[2] cfr. Ralf Dahrendorf - Dopo la democrazia - Laterza Editori
[3] cfr. M. Righetti - Educazione permanente e mercato globale – F. Angeli Editore

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Scuola feudalizzata: alla radice anche un conflitto di interessi
di Cataldo Marino

L’articolo del Prof. Peduzzi (Il Manifesto, 7 gennaio) ha innescato finalmente un dibattito sul problema cruciale delle riforme scolastiche di Berlinguer e della Moratti, sulla cui convergenza nutre dubbi, in mala fede, solo la cgil, artefice e sostenitrice del tentato concorsone, dell’istituzione delle funzioni-obiettivo e del passaggio della figura del preside, allora collega “primus inter pares”, a quello di Dirigente Scolastico con poteri simili a quelli di un feudatario, e non di un imprenditore come si vorrebbe far credere (l’imprenditore rischia il proprio denaro, il funzionario pubblico spesso sperpera il denaro dei cittadini).
Denunciai il tentativo di feudalizzazione della scuola nel dicembre del 2000 nel mio saggio dal titolo “Il disagio degli insegnanti. La crisi della scuola di fronte alle riforme”, pubblicato nel 2001, in cui già prevedevo come “i nuovi testi normativi (avrebbero potuto) segnare la triste transizione verso una scuola ritagliata sullo stampo di un modello organizzativo medioevale”.

Nel capitolo “Le riforme scolastiche e la sinistra” dicevo poi: “Oggi nella scuola è in atto da parte dei presidi una energica ed efficace azione di svuotamento dei poteri degli organi collegiali. La maggior parte di questi dirigenti diventa sempre più arrogante nella libera interpretazione delle poco trasparenti norme che giungono dal ministero. Spesso essi, facendo leva sulle loro nuove attribuzioni e su un diffuso timore riverenziale, riescono a far approvare dagli organi collegiali tutto ciò che ritengono opportuno. Tendono inoltre, per rinsaldare i rapporti con tutti coloro che collaborano nel processo di gerarchizzazione della scuola, a favorire… l’utilizzo delle consistenti risorse che troppo generosamente Ministero, Regioni, e persino gli ingenui e fiduciosi responsabili dell’U.E., dispensano per attività spesso inutili o inverosimili”.

E sulle funzioni-obiettivo: “In una struttura autoritaria, accanto ai capi ci devono sempre essere i capetti. Non fanno niente? Fanno cose sbagliate? Non importa. Basta che si instauri una gerarchia: presidi, collaboratori, responsabili delle funzioni-obiettivo, seimilionisti e infine un buon 75 % di marmaglia. L’organigramma, salvo forse certi diritti tipici dell’epoca, ricorda molto l’ordinamento feudale”.

Sul rapporto fiduciario fra D.S. e vicario affermavo: “Dal prossimo anno il collaboratore-vicario potrebbe non essere più scelto nella rosa di nomi indicata dal Collegio dei docenti. Finora, votando per un collega, i docenti spesso contrapponevano al capo una personalità forte, per bilanciarne le tendenze spesso prevaricatrici, per garantire una certa trasparenza nelle scelte, per difendere l’idea di una democrazia partecipativa nell’istituzione. Se davvero le nuove norme dovessero affidare unicamente ai poteri discrezionali del Preside la scelta del vicario, questo, se vorrà ancora conservare il suo incarico, dovrà per forza essere un suo alleato “fedele”, che è più e peggio di un amico leale e corretto”.

Il concorsone fu spazzato via dall’urto dell’onda breve ma impetuosa di un grande sciopero organizzato da Gilda, Cobas e Unicobas, ma l’impianto globale del progetto a mosaico di Berlinguer resistette…e sinceramente non vedo come rimproverare alla Moratti di non voler buttare giù qualcosa che è nel dna della destra, anche se a costruirlo è stato qualcuno con l’etichetta di sinistra.
Ciò che si prevedeva nel 2000, è diventato progressivamente realtà fra il 2000 e il 2003. Ci siamo. E’ la realtà denunciata da Peduzzi: una scuola fatta di rapporti di fedeltà personale da parte dei docenti (yesmen e yeswomen) verso il Dirigente Scolastico, e di questi a loro volta verso i Dirigenti Regionali, e di questi a loro volta verso il Ministro; la fedeltà personale viene ricambiata, come nei rapporti feudali, dalla concessione di benefici e dalla più ampia discrezionalità nell’applicazione delle norme nel proprio ambito.

Peduzzi, nell’intervista successivamente concessa a Professione Docente e ripresa da 'Educazione&Scuola', amplia ed approfondisce il discorso e tenta una analisi delle cause politiche che hanno trasformato gli insegnanti da uomini liberi e dignitosi in yesmen e yeswomen. Egli dice che si tratta di una “deriva…che discende dalla logica della cultura come prodotto aziendale – ormai accettata da chiunque – per cui non ci si può ribellare: è un processo, un destino più forte di chi gestisce i ministeri…E’ lo spirito del tempo”.
Mentre condivido appieno l’analisi di Peduzzi sullo stato della scuola, non ne condivido invece, almeno non completamente, l’identificazione delle cause. E’ vero che va prevalendo nella società una logica aziendalistica, ma è anche vero che nell’ambito delle aziende private le forze politiche di sinistra continuano a difendere i lavoratori. Nell’ambito della pubblica amministrazione, invece, queste stesse forze, rinnegando la propria matrice culturale, spingono verso l’aziendalismo ed in più parteggiano per i funzionari anziché per i lavoratori ad essi subordinati. E’ vero anche che, come contrappeso al potere dei manager della sanità e della scuola, hanno istituito le rsu, ma a queste hanno poi dato competenze solo simboliche: nelle scuole i Dirigenti spadroneggiano e dilapidano il denaro pubblico per avere ubbidienza più che consenso.

Perché la sinistra si è comportata in questo modo? Un primo motivo è politico: l’unico modo per scalzare Berlusconi è, secondo i “riformisti” di D’Alema (e, fino a un certo momento, anche di Cofferati), quello di seguirne le idee guida e rosicchiare consensi elettorali fra i moderati. Cinquant’anni fa questo avrebbe comportato delle “scomuniche”, oggi invece per contro viene sostenuto, con arrogante ambiguità, come saggezza, che per gli attuali riformisti italiani coincide con la “realpolitik”.
Il secondo motivo è ancora meno nobile del primo. Chi sono quelli che ieri hanno sostenuto apertamente il mostriciattolo berlingueriano ed oggi, solo a causa del cambio della guardia al Governo, fingono, e come fingono, di opporsi al mostriciattolo morattiano, fratello sputato di quello di Berlinguer? Chi ha firmato e firma contratti che danno agli insegnanti pochi spiccioli non pensionabili, mentre per i Dirigenti apre una trattativa separata, gli concede aumenti di milioni sullo stipendio e ricche prebende su progetti e progettini e gli dà completa libertà negli orari di lavoro?
Chi ha spaccato il corpo docente con i contratti integrativi di istituto? Chi ha creato le figure di sistema nella scuola, i caporaletti che fanno codazzo ai dirigenti e ne diventano amici, confidenti, organizzatori del potere o manovalanza?
La risposta è semplice: i sindacati confederali e lo Snals. Ma chi sono i Segretari Generali di questi sindacati? Eccoli: Enrico Panini, cgil, Dirigente scolastico della Scuola Media di Correggio; Fedele Ricciato, snals, Dirigente scolastico dell’IPSSAR di Potenza; Sandro D’Ambrosio, Segretario Nazionale Aggiunto della cisl, anch’egli Dirigente scolastico.

Questi signori presidi si sono auto-nominati Dirigenti con l’aiuto di Luigi Berlinguer, allora Magnifico (!) Rettore dell’Università di Siena. Cosa poteva venirne fuori, se non ciò che ne è venuto?
Se questo è lo ‘spirito dei tempi’, caro Peduzzi, hai ragione tu. Ma questo non è solo lo spirito dei tempi, questo è anche conflitto di interessi, perché Dirigenti e dipendenti sono categorie antagoniste anche nel pubblico impiego (a livello di Istituzioni scolastiche sono “controparti”) ed i primi non dovrebbero poter fare contratti in nome dei secondi.
Nell’agosto del 2001, quando ho fatto notare queste cose nel forum del sito cgil-scuola, mi si è obiettato che il loro segretario, anche se preside, era stato eletto da insegnanti e quindi li rappresentava legittimamente.
Certo, anche Berlusconi, imprenditore di grandi aziende nazionali e proprietario di tre reti televisive, è stato eletto dagli operai e governa legittimamente; però il suo conflitto di interessi, anche se lui continua a negare, è palese a livello nazionale e internazionale. Invece, nel caso dei tre Segretari Nazionali prima citati – che nel ruolo di Dirigenti Scolastici sono portati, per mentalità se non per egoismo, a firmare contratti a loro favore e contro gli insegnanti - il conflitto di interessi viene sapientemente occultato prima che contestato.
Quanti insegnanti iscritti a cgil, cisl e a snals sanno che a difenderli (!) è un preside? Diciamoglielo, e forse rimetteremo a posto una categoria che ha perso il senso del tempo e della misura. Vecchi baroni travestiti da moderni manager!