venerdì 26 agosto 2011

Eboli. Non fu Cristo a fermarsi

Carlo Levi, finito dal Piemonte in Basilicata per attività antifascista, nel suo “Cristo si è fermato ad Eboli” ha tratteggiato in modo suggestivo le arretratezze della comunità di cui fu ospite e volle sottolinearne l’enorme divario con la sua Torino. Lo fece naturalmente da narratore, non aveva alcun obbligo di indagare sulle cause di tale divario; da quanto mi rimane in mente della lettura del suo romanzo autobiografico, mi pare che, sia pur involontariamente, sia caduto nella trappola delle differenze di mentalità e di costumi, lasciando un po’ sullo sfondo le radici storiche e strutturali di quell’arretratezza: il titolo del libro ne è un segno.
Non credo che Cristo si sia fermato ad Eboli. Come poteva fare ciò, colui che ha detto che la fede sposta anche le montagne? No, Cristo ha raggiunto e penetrato gli animi degli abitanti della Lucania e delle altre regioni del sud almeno quanto quelli delle regioni del nord.
Coloro che si sono fermati ad Eboli sono stati invece Cavour, Giolitti ed i loro eredi, gente un po’ meno magnanima. Non è che si siano fermati loro personalmente, hanno fatto fermare le ferrovie, le strade, le scuole e le banche e, quando queste invece di fermarsi hanno attraversato la cittadina che segnava il confine fra due terre, lo hanno fatto per fagocitare ciò che vi trovavano e non per portarvi qualcosa.

Oggi, venendo da nord, giunti alle pendici dell’Appennino meridionale col treno o l’autostrada, anche se con difficoltà si passa. Ma ricordo bene che, ancora negli anni Sessanta, superare quelle montagne con la mia ‘500 era un’impresa. E col treno, per andare fino a Roma dalla Piana che ospitò 2.500 anni fa la città di Sibari, si impiegavano tredici ore.
Adesso a Roma si arriva più velocemente, ma per fare cosa? L’Europa non ha ancora una struttura politica, ma dal punto di vista economico, per produrre e vendere, ha i suoi punti di riferimento nelle regioni che l’Eurostat indica come quelle più ricche, per lo più gravitanti sull'asse Londra-Amburgo-Milano (1). Di fronte a questa nuova realtà l’Italia meridionale è nuovamente spiazzata: niente alta velocità, niente autostrade degne di questo nome e, soprattutto, pochi aeroporti.


Le grandi distanze si coprono ormai con gli aerei e, anche in questo, la classe politica italiana è mancata all’appuntamento con il sud. Nel territorio compreso fra le Alpi e il Lazio, 161.000 kmq con 34 milioni di abitanti, l’Enac (Ente Nazionale per l’Aviazione Civile) segnala la presenza di 21 aeroporti, mentre dal Lazio alla Calabria, un territorio di 90.500 kmq con 20 milioni di abitanti, ce ne sono solo 9. Con un rapido calcolo si può osservare che nelle zone ricche c’è un aeroporto ogni 7.600 kmq e ogni 1.600.000 di abitanti e nelle zone povere ce n’è uno ogni 10.000 kmq e ogni 2.200.000 abitanti.
Gli eredi di Cavour, dopo 150 anni, continuano sulla stessa scia nella dislocazione di ospedali, università, strade, ferrovie, aeroporti. Qualcuno dirà che è lo sviluppo economico a potenziare le infrastrutture, ma io credo che questo sia un dilemma simile a quello dell’uovo e della gallina, per il quale non può esserci che una duplice soluzione. Fra strutture produttive e infrastrutture c'è un rapporto di interdipendenza: la ricchezza crea le vie di comunicazione, così come le vie di comunicazione creano ricchezza.
Spesso cerco di rendere meno aride certe pagine, dove i numeri disorientano, con qualche esperienza personale. Qui l’ho già fatto a proposito dei tempi di percorrenza dei treni negli anni Sessanta, ma voglio aggiungere un esempio circa la raggiungibilità degli aeroporti. Per arrivare a quello di Lamezia con l’automobile, impiego – non sono più un giovanotto – circa due ore e mezza; per arrivarci col treno me ne servono il doppio. E far coincidere i pochi treni coi pochi aerei è difficile quanto riempire gli “incroci obbligati” della Settimana Enigmistica.
Mi chiedo se ci sia, nelle regioni ricche, un qualunque altro paesino dal quale, per raggiungere un aeroporto, ci voglia altrettanto tempo. Invito i lettori a vedere sulle pagina web dell’Enac l’elenco degli aeroporti e delle compagnie operanti in ognuno di essi, per verificare come fra le Alpi e il Gran Sasso nel raggio di cento chilometri ce ne sia sempre almeno uno, comodamente raggiungibile in auto o in treno, e quanto numerosi siano i treni e i voli. E li invito poi a guardare quale vuoto vi sia invece nel quadrilatero Roma, Pescara, Napoli, Bari e nel triangolo Napoli, Bari, Lamezia.


(1) I dati statistici elaborati da Eurostat, organo della Commissione Europea, dicono che il reddito pro-capite nelle regioni del Nord supera i 30.000 euro, nell’Italia centrale oscilla fra i 20 e i 30.000 e nel Sud e nelle isole oscilla invece tra i 15 e i 20.000. Questa suddivisione economica dell’Italia ci è nota da oltre un secolo ed eminenti studiosi l’hanno messa in risalto col titolo di “Questione meridionale”. Eurostat ce ne dà oggi una quantificazione in base a comuni parametri europei, ma gli economisti convengono sul fatto che, per numerosi motivi fra i quali spicca l'evasione fiscale, i dati sul pil non sono poi così precisi e che fra il pil così calcolato e quello reale ci potrebbe essere un notevole scostamento percentuale.
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