domenica 15 maggio 2011

Burocrazia. I moderni feudatari

Da poco più di un mese la mia città è piena di fotografie con i volti dell’aspirante sindaco e degli aspiranti consiglieri comunali: sono sulle apposite bacheche, sulle automobili, sui muri, sui cassonetti, nella buca delle lettere, dappertutto. Volti sorridenti e messaggi di ottimismo.
Poi ci sono le telefonate e gli incontri di persona, e qui gli argomenti cambiano. Non c’è più un generico ottimismo per la città, ma un messaggio mirato, ad personam, veicolato dagli intermediari dei voti: quelli che rendono più facili le pratiche per l’invalidità, la pensione, una licenza edilizia o commerciale, una pratica finanziaria oppure la soluzione di una controversia col fisco, l’assunzione di un parente, il ricovero sollecito in strutture sanitarie ecc.. Chi non ha un problema del genere da risolvere? Tutti, chi più e chi meno, ne siamo schiavi.


In tanti subiscono l’influenza dei manifesti e di questi contatti personali nella convinzione che a mandare avanti una città o a risolvere i problemi individuali siano i politici usciti vincitori dalla competizione elettorale. E invece non è così.
Chi decide cosa fare in una città, come in una regione o nel Paese, non è tanto il politico quanto il burocrate, e il motivo è semplice. Gli uomini politici ogni cinque o dieci anni cambiano, mentre i burocrati restano al loro posto per tutta la vita lavorativa. I politici non hanno il tempo di acquisire una certa competenza nel settore loro affidato, mentre i burocrati conoscono bene leggi e regolamenti. Cosa può sapere il politico sul bilancio di un ente pubblico? Delle norme tecniche sull’edilizia? Delle modalità con cui si svolgono le gare di appalto di lavori pubblici? Delle modalità concrete di assistenza ai malati? Il politico dà un indirizzo generale, ma è poi il burocrate a tradurre le direttive in atti concreti. E, se il sindaco uscente, durante la sua legislatura, ha gratificato i burocrati secondo le loro aspettative, chi gli succederà non potrà fare nulla, a meno che non riesca a gratificarli ancora di più. Da questo punto di vista il ricambio sistematico dei dirigenti di settore e dei responsabili dei principali uffici, rendendo precaria anche la posizione del burocrate, ne attenuerebbe il potere. Per contro c’è lo svantaggio di avere tecnici meno competenti dal punto di vista amministrativo.

La continuità dell’apparato burocratico, a tutti i livelli, è stata rilevata da alcune analisi storiche sulle rivoluzioni. Il potere in Francia passò da Luigi XVI a Robespierre e poi a Napoleone, in Russia da Nicola II a Lenin, ma le classi dirigenti, civili e militari, segnarono sempre una qualche continuità e contiguità sia con i vecchi e che coi nuovi regimi. In Italia si è passati dalla dittatura fascista alla democrazia e successivamente, in modo meno cruento, dal pentapartito di Giulio Andreotti e Bettino Craxi al bipartitismo di Silvio Berlusconi e Massimo D’Alema, ma l’apparato amministrativo non è cambiato, tanto nelle persone quanto nei metodi.
Sembra dunque che contro la burocrazia - il sistema in cui la necessità dei servizi e dei controlli pubblici facilmente sconfina nell’arroganza e l’abuso - non ci sia rimedio. E infatti qual è in Italia oggi quel partito che osa puntare il dito contro questa piaga? Non la destra, che se ne avvale nel modo più sconsiderato e plateale; non la sinistra, che ne ha timore.

Forse servirebbe un partito che a prescindere dall’orientamento ideologico, nel nome e nei programmi mettesse al primo posto la battaglia contro gli abusi della burocrazia, nel rispetto dell’art. 54 della Costituzione: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore…” e prevedesse l’inasprimento delle pene per i funzionari pubblici che strumentalizzano il proprio ufficio per interessi personali. (“I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti ”, art. 28 della Costituzione).
Naturalmente il provvedimento dovrebbe essere accompagnato da una semplificazione legislativa, nella quantità e nella qualità: un minor numero di norme ed una formulazione che ne riduca i margini di interpretazione. E’ utopia? Sì, un mutamento difficile da realizzare, ma che, come la stella polare, ci aiuti sempre a trovare la direzione giusta.
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