lunedì 24 marzo 2014

Paolo Jedlowski. “Il mondo in questione. Introduzione alla storia del pensiero sociologico”

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Dal 1984 al 2007 ho avuto la gioia di trascorrere le vacanze estive nel villaggio turistico più dolce e sereno che abbia mai conosciuto. A 1.300 metri di altitudine, nel cuore dell’altipiano silano, con lo sguardo poggiato sulle acque chete del lago e sulle rotonde spalle delle montagne, Lorica fu per me la sospensione dalle preoccupazioni e dagli impegni di lavoro del resto dell’anno. Quieto il lago, quieti quei monti, quiete le persone che incontravo per strada; ma tutta quella quiete suggeriva idee e sentimenti migliori e più numerosi che non il fervore cittadino della altre stagioni. Il luogo selezionava gli abitanti: chi voleva luci, chiasso e marciapiedi affollati rimaneva al mare o si trasferiva nel vicino villaggio di Camigliatello; chi voleva restare con se stesso e passeggiare per strade tranquille, veniva a Lorica.

Fu lì che vidi, senza mai parlarci, due sociologi che si ponevano i problemi, forse insolubili, del funzionamento delle istituzioni e dei rapporti sociali. Il primo, il più vecchio e famoso, abitò in agosto nell’appartamento attiguo a quello che ospitava la mia famiglia. Si trattava di uno studioso, politicamente e culturalmente impegnato, di cui fino ad allora avevo conoscenza solo tramite la stampa e le dotte citazioni accademiche. Ma tale rimase la mia conoscenza, nonostante il vivere per due estati in abitazioni separate da un semplice muro divisorio. Usciva ogni mattina e ogni sera a testa bassa, ignorando i gioiosi rapporti che da molti anni legavano le famiglie ospitate nella casetta sul lago. Antesignano della lotta alla mafia e del digiuno di protesta, si avviava ora per la stradina che conduceva ai luoghi di incontro della piccola élite culturale del borgo, per partecipare a conversazioni e dibattiti. Quando andò via per mai più ritornare, di lui conoscevo solo una cosa in più rispetto al suo arrivo: la solitudine e, fatta salva l’attenuante dell’età, la difficoltà nell’instaurare rapporti col “prossimo”.

Il secondo sociologo era molto giovane, credo più giovane di me. Abitava in una bellissima villetta al centro di un prato circondato dal bosco. Si vedeva poco in giro. Ogni tanto, nella tarda mattinata, si sedeva a uno dei tavolini del bar centrale con sopra qualcosa da consumare e il giornale in mano; non conoscevo il suo nome, ma sapevo che lavorava in qualche modo all’Università della Calabria; il profilo ed i capelli crespi mi suggerivano un’origine slava, confermata poi, nonostante la nascita a Milano, da un cognome con lettere a noi inconsuete, Jedlowski. Data la scarsa frequentazione del centro del borgo da parte di Paolo Jedlowski, fra me e lui non ci fu mai occasione di fare conoscenza personale.
Rimanendo ancora ferma in me la vecchia immagine del docente universitario, mai al di sotto dei cinquanta, nutrii delle perplessità sull'adeguatezza di quel giovane all'importante ruolo svolto. Ma oggi, ritrovandomi fra le mani un suo manuale di storia della sociologia, devo dire che quel signore che ogni tanto vedevo seduto ai tavolini del bar, io lo avevo sicuramente sottovalutato.

Poiché la storia della filosofia è materia di insegnamento nei Licei, di quella disciplina esiste una infinità di manuali; in Italia, invece, di storia della sociologia, io – forse per non aver continuato a coltivare intensamente la disciplina studiata all’Università di Trento negli anni ’60 – conosco solo il ‘Trattato’ di Ferrarotti, le ‘Tappe’ di Raymond Aron, la ‘Storia’ di Alberto Izzo e, da pochi mesi, la ‘Introduzione alla storia del pensiero sociologico’ del Prof. Jadlowski. E se, fra le quattro opere, ne dovessi consigliare una a un giovane studente, lo indirizzerei sicuramente verso la quarta.
Il Trattato di Ferrarotti, oltre ad avere il merito di aver preceduto di molto in Italia le altre opere, è un testo approfondito e raffinato, ma si ferma agli anni ’60; e poi, nel presentare ogni autore, seguendo la moda di quei tempi, spesso si dilunga in modo eccessivo sull’intreccio fra la vita personale, le considerazioni storiche e le teorie elaborate. Con buona pace di gran parte della sociologia della conoscenza, questo intreccio lo ritengo inutile e noioso.
Altrettanto poderosa è la ricostruzione del 1965 del francese Raymond Aron, il quale non trascura anche gli aspetti marginali delle teorie degli autori maggiori, ma con questo si espone spesso al rischio di una trattazione dispersiva, che alla fine non consente di tirare le fila per una sistemazione organica. Le ‘Tappe’ di Aron si fermano comunque a Max Weber, lasciando scoperti tutti i successivi, importanti sviluppi.
La ‘guida’ di A. Izzo è, anch’essa, un’opera molto valida. In tre volumi raccoglie il nucleo centrale di ogni autore o corrente di pensiero, cui seguono ampi stralci delle loro opere. Credo però che il mescolare le due cose non sia stata una scelta molto felice; le antologie raccolgono parti separate di un discorso unitario. Salvo alcune eccezioni, il metodo va bene per i primi approcci o per utilizzare al meglio il tempo libero, ma non per uno studio sistematico.

E veniamo ora al bel libro del Prof. Jedlowski. Si tratta di un’opera che, come l’autore dichiara nella Premessa, intende privilegiare la chiarezza all’esaustività. Un pregio che ne dovrebbe favorire la divulgazione tanto in ambito accademico quanto in quelle fasce sociali italiane che, seppur ben acculturate, non hanno finora avuto interesse o occasione di avvicinarsi ai problemi metodologici o teorici della sociologia europea ed americana.
Con linguaggio asciutto e lineare esso segue le principali correnti sociologiche ed i loro maggiori esponenti partendo dalla Rivoluzione francese e giungendo al 1999, anno della pubblicazione del volume. Del pensiero di ognuno di essi coglie in modo rigoroso il nucleo centrale e le sue diramazioni, facendone dunque una esposizione stringata, ma fedele ed unitaria.
Dopo aver dedicato ampie analisi ai precursori della sociologia positivistica e al pensiero di Marx, l’autore dà il meritato rilievo a Durkheim, Simmel e Weber. Segue un’ordinata trattazione delle prime grandi ricerche negli Stati Uniti, delle teorie élitiste elaborate in Italia e della scuola critica austriaca e tedesca, per ritornare poi ai successivi sviluppi della sociologia sistematica americana (1). Il testo, ora integrato per gli studenti da una più recente dispensa, chiude con una rassegna degli autori contemporanei, preziosa per qualità e rarità.

In questa dotta ed efficace esposizione è stato sacrificato solo un autore a me molto caro, al quale in questo blog ho dedicato alcuni modesti contributi, miei e di altri: T. Veblen (2). Nella speranza che le prossime edizioni del libro, nel capitolo sulle origini della sociologia americana, diano il giusto spazio anche al sottile, caustico, irriverente critico del consumo finalizzato al prestigio sociale (3), mi auguro che, nella patria di Croce e Gentile - ma anche di Mosca, Pareto e Gramsci - la sociologia possa far capolino nelle scuole superiori e che il libro di Jedlowski ne sia uno dei principali veicoli.

Note

1) Per una trattazione particolarmente approfondita di Pareto, Durkheim e Weber consiglio la lettura de “La teoria dell’azione sociale” di Talcott Parsons (1937). Ad essi sono dedicate oltre cinquecento pagine, dalle quali il massimo sociologo statunitense parte per la sua personale elaborazione teorica, condizionante anche in Europa fino agli anni Sessanta, cioè fino a quando Marcuse e i forti movimenti di contestazione mettono in crisi l’idea di un sistema sociale sempre in equilibrio.

2) Su Veblen segnalo qui tre post del settembre 2012 e un ultimo del 10 luglio 2013:
- La teoria della classe agiata (C. Zanin)
- Il consumo vistoso: radici sociali di un fatto economico (C. Marino)
- Veblen, pioniere dell'Istituzionalismo (G. Dostaler)
- Recensione a "La teoria della classe agiata" (Lester F. Ward)  

3) Nella Dispensa di cui sopra, in relazione al problema dei gusti e dei consumi, Jedlowski riconosce in Veblen un precursore delle tesi esposte nel 1979 da Pierre Bourdieu nel libro “La distinzione. Critica sociale del gusto”. Riporto qui di seguito un passo della Dispensa:
“Il primo risultato (della ricerca di Bourdieu) è l'evidenza di una differenziazione del gusto e degli stili di vita sulla base dell'appartenenza dei soggetti a classi diverse e, all'interno della medesima classe, a ceti diversi. Nonostante appaia così "soggettivo", il gusto possiede dunque un versante socialmente determinato. […] Lo studente di sociologia avvertirà qui un'eco e un ampliamento della teoria del "consumo vistoso" di Veblen e delle idee sulla moda di Simmel.” 
(P. Jedlowski, Dispensa integrativa del manuale “Il mondo in questione”, Università “L’Orientale” di Napoli, Anno Acc. 2008-2009, Cap.13 § 5)
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