mercoledì 22 gennaio 2014

Il premio di maggioranza, da Mussolini a Renzi


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Renzi, diversamente dai dirigenti afasici o logorroici che si sono alternati nel suo partito negli ultimi anni, è un ragazzo intelligente e dinamico, ma ora sulla legge elettorale sta per compiere un errore gravissimo. Ignorando la storica opposizione della sinistra italiana al premio di maggioranza, in questi giorni ha concordato con Silvio Berlusconi di mantenere in vita il Porcellum, pensando di farlo rientrare nei limiti invalicabili della costituzionalità attraverso una modifica sostanzialmente insignificante. Se tale modifica verrà approvata, per ottenere il premio di maggioranza al primo turno d’ora in poi sarà necessario, ma anche sufficiente, che una delle coalizioni ottenga almeno il 35% (*) dei voti; se nessuna di esse dovesse raggiungere questa soglia minima, è previsto un secondo turno elettorale riservato ai due schieramenti che hanno ottenuto la percentuale più alta.

Perché dico che, su questo importante punto della legge elettorale, la differenza col Porcellum è 'insignificante'? Perché già nelle elezioni del 2013 le due principali coalizioni alla Camera avevano raggiunto il 29,55 e il 29,18% con uno scarto dello 0,38% e, in virtù di quello scarto politicamente irrilevante, ad una delle due coalizioni sono stati assegnati 340 seggi e all'altra 124. Una mostruosità, una distorsione della volontà degli elettori, che col sistema proposto da Renzi potrebbe nuovamente verificarsi, anche a favore del centrodestra o del M5S. Ipotesi non peregrina, quest’ultima, perché la sinistra è tradizionalmente più frastagliata e perciò maggiormente soggetta alle ‘rotture’. E, anche in questa fase, se ne avvertono gli scricchiolii.

Per rinfrescare la memoria a chi ha dimenticato, o finge di aver dimenticato, la storica opposizione della sinistra italiana al premio di maggioranza, riporto di seguito alcuni brevi stralci dell'articolo di G. Pezzella pubblicato nel 2011 dal sito Treccani.it.  Chi è interessato al più corposo articolo integrale può rintracciarlo alla pagina web
www.treccani.it/scuola/tesine/elezioni/pezzella.html 
 
Cataldo Marino

(*)  Questa percentuale nel 2015 è stata portata al 40% dei voti.

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QUANDO IL PROPORZIONALE VIENE FORZATO:
IL PREMIO DI MAGGIORANZA

Nella storia dei 150 anni unitari, l’Italia ha sperimentato in tre occasioni l’implementazione del premio di maggioranza sul sistema proporzionale per garantire una maggiore stabilità di governo.

Mussolini, 1923. Negli scranni della Camera eletta nel 1919 sedevano i rappresentanti di undici partiti e due anni dopo, con le nuove votazioni, il numero era salito a quattordici e nessuno raggiungeva il 25%. Con l’avvento del fascismo, nel 1923 la Legge Acerbo introdusse una modifica sostanziale: un esagerato premio di maggioranza in base al quale con il 25% dei voti si aveva accesso ai 2/3 degli scranni parlamentari. (Votarono contro la legge i socialisti, i comunisti, la sinistra liberale ed i popolari di don Sturzo)

La “legge truffa”, 1953. La Camera della prima legislatura (repubblicana) vide l’avvicendarsi di tre governi guidati da De Gasperi, che decise di coinvolgere i partiti di centro a fianco della Democrazia Cristiana; nonostante la maggioranza fosse forte dal punto di vista numerico, la sua instabilità era evidente e la soluzione a cui si pensò fu un correttivo della legge elettorale. Nel 1953, dunque, fu approvata quella che l’opposizione definì la “legge truffa”: il partito o la coalizione che avesse ottenuto il 50% più uno dei voti avrebbe ottenuto il 65% degli scranni parlamentari. L’opposizione protestò fortemente: il ricordo della Legge Acerbo e delle sue conseguenze politiche era ancora vivo e il “premio di maggioranza” evocava il timore che la nuova legge fosse l’anticamera di un nuovo regime. Quando il 21 gennaio si aprì la votazione, l’opposizione lasciò l’aula. La “legge truffa” venne abrogata nel 1954.

Il "Porcellum". Nel 2005, quando ormai il sistema maggioritario (introdotto nel 1993) sembrava aver messo le sue radici, il Porcellum ristabilì il sistema proporzionale con una serie di correttivi, tra cui il premio di maggioranza. In questo modo si garantiva alla lista o alla coalizione vincente un minimo di 340 seggi. La nuova normativa fu decisamente contrastata dall’opposizione tanto che i suoi rappresentanti non parteciparono al voto in segno di protesta.

Considerazioni sui premi di maggioranza. Rileggendo velocemente le diverse tappe della legislazione elettorale italiana, per tre volte si trova la “sperimentazione” del premio di maggioranza, un “correttivo” del sistema proporzionale, finalizzato secondo i promotori a rafforzare la stabilità politica dello schieramento di governo. Certo è che questa variante è in contraddizione con il principio più generale che sostiene la scelta del sistema proporzionale rispetto agli altri, cioè di avere un Parlamento che rifletta il più possibile nella sua composizione la situazione politica reale del Paese.
A ben vedere, delle tre leggi in esame, quella che prevedeva un correttivo più coerente con i risultati ottenuti fu proprio la cosiddetta “legge truffa”: il premio, infatti, veniva attribuito alla lista (o alla coalizione) che avesse ottenuto almeno il 50% + 1 dei voti validi.
Maggiori elementi in comune hanno, invece, la legge del 1923 e quella del 2005. In entrambi i casi, infatti, non si parla di maggioranza assoluta ma di maggioranza relativa (con un premio ipoteticamente sproporzionato rispetto ai risultati). Anche se nel primo caso il premio previsto era più alto di quello stabilito dalla legge del 2005, la sostanza cambia poco perché anche il sistema attualmente in vigore prevede numeri tali (340 seggi) da garantire la governabilità.
Se da una parte, dunque, il ritorno al proporzionale è stato sostenuto dal desiderio di avere una Camera-fotografia del sentire politico del Paese, dall’altra l’attuale legge Calderoli attribuisce una “comoda” maggioranza assoluta alla lista o alla coalizione che riesce a superare le altre di almeno un voto, con un quorum minimo fissato al 10%. La totale contraddizione con il principio proporzionale, dunque, inizierebbe a essere evidente già in un contesto politico con tre schieramenti in grado di “spartirsi” l’elettorato in modo più o meno omogeneo: quello con un voto in più farebbe la parte del leone, ottenendo un premio di maggioranza tale da raddoppiare quasi il numero dei seggi rispetto alla percentuale di voti ottenuti.

G. Pezzella
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