mercoledì 29 gennaio 2014

Legge elettorale: voto libero e uguale

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Sono le ore 8.07 del 28 gennaio 2014 e, come al solito, ascolto su Radiotre le telefonate dei radioascoltatori con il giornalista di turno, che tra le 7.15 e le 8.00 ha già dato lettura di quanto appare sulle prime pagine dei quotidiani. A quell’ora sento una voce piuttosto giovanile che espone al giornalista, in modo estremamente sintetico ed efficace, alcune argomentazioni a proposito della riforma del sistema elettorale. Riporto qui di seguito la fedelissima trascrizione della telefonata, a cui faccio seguire la copia dell’interessante lettera del Prof. Luciano Canfora al Direttore de “L’Unità”, a difesa del sistema proporzionale puro.

“Buongiorno, sono Massimo e chiamo da Roma. Ho chiesto di intervenire a proposito del dibattito sulla proposte di modifica alla legge elettorale dopo la sentenza della corte costituzionale. Ora, partendo dall’articolo 48 della Costituzione, noi leggiamo qui che il voto è ‘libero’ e ‘uguale’. Ora questi due aggettivi sono importantissimi. ‘Uguale’ vuol dire che ogni premio di maggioranza è anticostituzionale, perché il premio di maggioranza fa sì che il voto di chi vota per il partito che vince - diciamo questa orrenda espressione, che comunque si usa - ha un voto che vale di più di chi vota per un partito che prende meno voti o addirittura rimane fuori dal Parlamento. Vale di più, circa il doppio… E’ quello che è successo nel 2013. Chi ha votato PD ha il voto che vale circa il doppio degli altri, vale molto di più di chi ha votato per i partiti che sono rimasti fuori.
Ma l’altro aggettivo, il voto è ‘libero’. Ora la soglia di sbarramento produce un ricatto nei confronti dell’elettore, perché l’elettore che si riconosce in un partito che non è dei maggiori rischia di vedere il proprio voto annullato, perché il proprio partito non supererà la soglia di sbarramento. E’ un ricatto.
Quello che è successo alle ultime elezioni è un esempio plateale: a un certo punto, durante la campagna elettorale, nei sondaggi si è cominciato a dire che Rivoluzione civile stava al 3- 3,2%, cioè sotto la soglia di sbarramento, e questo ha poi portato al risultato finale, per Rivoluzione civile, di poco superiore al 2%. Cioè diverse centinaia di migliaia di elettori sotto ricatto hanno rinunciato a votare per quel partito e si sono orientati verso Sel verso il PD. Proprio sotto ricatto. Il voto non è libero.
(“Lei si è candidato?”, chiede la giornalista) No, no, io sono uno che legge la Costituzione, ascolta la rassegna stampa di Radiotre, legge i giornali, ascolta i grandi politologi della stampa on mainstream, e vedo che di questo non parlano. Vedo che l’elettore sotto ricatto non è un elettore libero. Queste cose le capisce un ragazzino di prima media, però bisognerà anche cominciare a dirle. L’ha detto Luciano Canfora, per la verità.”

Da: “Filodiretto” di “Primapagina”, Radiotre, 28 gennaio 2014 dal minuto 7.00 al minuto 9.35 della trasmissione scaricabile da Radiotre-podcast alla pagina
http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/PublishingBlock-546fce50-63a7-4a3a-a677-c01b234511bd-podcast.html


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Lettera del Prof. Luciano Canfora a “L’Unità” del 19.12.2013

Caro Direttore, mentre si escogitano i più stravaganti modelli di legge elettorale e si svolgono trattative più o meno occulte e trasversali per una legge che incontri il gradimento di (quasi) tutti, restano in ombra due dati di fatto macroscopici e però rigorosamente sottaciuti.
Il primo, molto sgradevole, è che - in realtà - non si cerca una legge equa che rispetti la «volontà popolare» presupposto non trascurabile della nozione stessa di suffragio universale. Ma si cerca quella legge dalla quale ciascuno dei corridori in gara immagina di trarre il maggior vantaggio a danno del concorrente. Donde l'estrema difficoltà, se non impossibilità, di trovare un accordo.
Il secondo è che, mentre si elucubra e si intrecciano ultimatum e si fissano scadenze, la legge invece c'è già. È quella che risulta vigente una volta detratti gli «additivi» di tipo maggioritario che la impeccabile sentenza della Consulta ha dichiarato illegali. Detratti gli additivi chimici, detti anche «premi di maggioranza», ciò che resta è la normativa fondata sul principio proporzionale (cioè sull'articolo 48 della Costituzione) con cui l'Italia repubblicana ha funzionato dal 1946 al 1992. Periodo storico fecondo di risultati positivi, durante il quale furono di norma rappresentati in Parlamento assai meno partiti che non nei vent'anni di «maggioritario» che abbiamo dovuto subire e da cui potremmo finalmente uscire.

Da 20 anni facciamo da cavie a un sistema che non ha dato né riduzione dei partiti né stabilità.
L'esperienza di questo ventennio maggioritario ha dimostrato che il famigerato argomento che invoca la «governabilità» a sostegno del trucco maggioritario è del tutto inconsistente. Per un ventennio abbiamo fatto da cavie ad un esperimento in corpore vili: esso ha dimostrato che il maggioritario né riduce il numero di partiti presenti in Parlamento né garantisce maggior durata .ai governi.
Fallisce su entrambi i piani per i quali veniva elogiato e additato come modello e «rimedio unico ai mali». Non è difficile capire il perché di tale fallimento.
Il miraggio del «premio» di maggioranza infatti incrementa la pulsione a creare partiti sufficientemente grandi per ottenere il «premio»: partiti raffazzonati e compositi che prima o poi si sfasciano al seguito di scontri «di vertice», che, tra l'altro, nulla hanno a che fare con la volontà e i bisogni degli elettori. Partiti raffazzonati di tal genere incrementano la instabilità e approfondiscono la frattura tra società politica e corpo civico.

Un altro effetto deleterio del maggioritario è la cosiddetta corsa alla «conquista del centro» considerata la principale arma per la vittoria. Questo determina il progressivo rassomigliarsi dei partiti, specie di quelli principali. (Colpisce vedere ex «guardiani» del cavaliere di Arcore - quali ad esempio il ministro Lupi, veterano di pubblici talk-show - tramutarsi, quasi, in militanti del Pd: senza troppo sforzo perché nella sostanza le diversità si sono ridotte di molto, al netto s'intende degli scontri personalistici). Né si capirebbe come mai da oltre due anni siamo governati dall'«unione sacra» degli ex-rivali se non ci fosse per l'appunto una sostanziale concordanza sulle cosiddette «cose che contano» (concordanza che viene quotidianamente esaltata).
L'appannamento delle differenze produce il ritrarsi dalla volontà di partecipazione, già solo elettorale, alla politica da parte di un numero crescente di cittadini. L'assemblea regionale siciliana attualmente in carica così come l'attuale sindaco di Roma sono stati eletti da meno della metà degli aventi diritto al voto.

Por mente a questo fenomeno aiuta a comprendere quanto sia vano l'argomento di chi prevede risultati paralizzanti ove si andasse a votare con il sistema da pochi giorni tornato in vigore, cioè col proporzionale. È una previsione arbitraria e vagamente deterrente. Non è possibile infatti prevedere quale sarà il voto di chi finalmente potrà votare non più ricattato dall'estorsivo criterio del «voto utile».
Il ripristino del principio e dell'attuazione pratica del sistema proporzionale - il cui primo demolitore in Italia fu Mussolini con la legge Acerbo del 1923, premessa per la dittatura - potrebbe forse ancora fare a tempo ad arrestare il processo degenerativo dei partiti italiani, ridotti ormai - quale più quale meno - a galassie dai confini incerti e gravitanti intorno a leader presuntamente carismatici sull'onda dell'ingannevole ed effimero meccanismo delle primarie. È umiliante constatare come proprio al nostro Paese, per tanto tempo laboratorio politico importante, sia toccato un esito siffatto.

Luciano Canfora

La lettera è stata ripubblicata su
http://www.comunisti-italiani.it/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=9141

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mercoledì 22 gennaio 2014

Il premio di maggioranza, da Mussolini a Renzi


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Renzi, diversamente dai dirigenti afasici o logorroici che si sono alternati nel suo partito negli ultimi anni, è un ragazzo intelligente e dinamico, ma ora sulla legge elettorale sta per compiere un errore gravissimo. Ignorando la storica opposizione della sinistra italiana al premio di maggioranza, in questi giorni ha concordato con Silvio Berlusconi di mantenere in vita il Porcellum, pensando di farlo rientrare nei limiti invalicabili della costituzionalità attraverso una modifica sostanzialmente insignificante. Se tale modifica verrà approvata, per ottenere il premio di maggioranza al primo turno d’ora in poi sarà necessario, ma anche sufficiente, che una delle coalizioni ottenga almeno il 35% (*) dei voti; se nessuna di esse dovesse raggiungere questa soglia minima, è previsto un secondo turno elettorale riservato ai due schieramenti che hanno ottenuto la percentuale più alta.

Perché dico che, su questo importante punto della legge elettorale, la differenza col Porcellum è 'insignificante'? Perché già nelle elezioni del 2013 le due principali coalizioni alla Camera avevano raggiunto il 29,55 e il 29,18% con uno scarto dello 0,38% e, in virtù di quello scarto politicamente irrilevante, ad una delle due coalizioni sono stati assegnati 340 seggi e all'altra 124. Una mostruosità, una distorsione della volontà degli elettori, che col sistema proposto da Renzi potrebbe nuovamente verificarsi, anche a favore del centrodestra o del M5S. Ipotesi non peregrina, quest’ultima, perché la sinistra è tradizionalmente più frastagliata e perciò maggiormente soggetta alle ‘rotture’. E, anche in questa fase, se ne avvertono gli scricchiolii.

Per rinfrescare la memoria a chi ha dimenticato, o finge di aver dimenticato, la storica opposizione della sinistra italiana al premio di maggioranza, riporto di seguito alcuni brevi stralci dell'articolo di G. Pezzella pubblicato nel 2011 dal sito Treccani.it.  Chi è interessato al più corposo articolo integrale può rintracciarlo alla pagina web
www.treccani.it/scuola/tesine/elezioni/pezzella.html 
 
Cataldo Marino

(*)  Questa percentuale nel 2015 è stata portata al 40% dei voti.

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QUANDO IL PROPORZIONALE VIENE FORZATO:
IL PREMIO DI MAGGIORANZA

Nella storia dei 150 anni unitari, l’Italia ha sperimentato in tre occasioni l’implementazione del premio di maggioranza sul sistema proporzionale per garantire una maggiore stabilità di governo.

Mussolini, 1923. Negli scranni della Camera eletta nel 1919 sedevano i rappresentanti di undici partiti e due anni dopo, con le nuove votazioni, il numero era salito a quattordici e nessuno raggiungeva il 25%. Con l’avvento del fascismo, nel 1923 la Legge Acerbo introdusse una modifica sostanziale: un esagerato premio di maggioranza in base al quale con il 25% dei voti si aveva accesso ai 2/3 degli scranni parlamentari. (Votarono contro la legge i socialisti, i comunisti, la sinistra liberale ed i popolari di don Sturzo)

La “legge truffa”, 1953. La Camera della prima legislatura (repubblicana) vide l’avvicendarsi di tre governi guidati da De Gasperi, che decise di coinvolgere i partiti di centro a fianco della Democrazia Cristiana; nonostante la maggioranza fosse forte dal punto di vista numerico, la sua instabilità era evidente e la soluzione a cui si pensò fu un correttivo della legge elettorale. Nel 1953, dunque, fu approvata quella che l’opposizione definì la “legge truffa”: il partito o la coalizione che avesse ottenuto il 50% più uno dei voti avrebbe ottenuto il 65% degli scranni parlamentari. L’opposizione protestò fortemente: il ricordo della Legge Acerbo e delle sue conseguenze politiche era ancora vivo e il “premio di maggioranza” evocava il timore che la nuova legge fosse l’anticamera di un nuovo regime. Quando il 21 gennaio si aprì la votazione, l’opposizione lasciò l’aula. La “legge truffa” venne abrogata nel 1954.

Il "Porcellum". Nel 2005, quando ormai il sistema maggioritario (introdotto nel 1993) sembrava aver messo le sue radici, il Porcellum ristabilì il sistema proporzionale con una serie di correttivi, tra cui il premio di maggioranza. In questo modo si garantiva alla lista o alla coalizione vincente un minimo di 340 seggi. La nuova normativa fu decisamente contrastata dall’opposizione tanto che i suoi rappresentanti non parteciparono al voto in segno di protesta.

Considerazioni sui premi di maggioranza. Rileggendo velocemente le diverse tappe della legislazione elettorale italiana, per tre volte si trova la “sperimentazione” del premio di maggioranza, un “correttivo” del sistema proporzionale, finalizzato secondo i promotori a rafforzare la stabilità politica dello schieramento di governo. Certo è che questa variante è in contraddizione con il principio più generale che sostiene la scelta del sistema proporzionale rispetto agli altri, cioè di avere un Parlamento che rifletta il più possibile nella sua composizione la situazione politica reale del Paese.
A ben vedere, delle tre leggi in esame, quella che prevedeva un correttivo più coerente con i risultati ottenuti fu proprio la cosiddetta “legge truffa”: il premio, infatti, veniva attribuito alla lista (o alla coalizione) che avesse ottenuto almeno il 50% + 1 dei voti validi.
Maggiori elementi in comune hanno, invece, la legge del 1923 e quella del 2005. In entrambi i casi, infatti, non si parla di maggioranza assoluta ma di maggioranza relativa (con un premio ipoteticamente sproporzionato rispetto ai risultati). Anche se nel primo caso il premio previsto era più alto di quello stabilito dalla legge del 2005, la sostanza cambia poco perché anche il sistema attualmente in vigore prevede numeri tali (340 seggi) da garantire la governabilità.
Se da una parte, dunque, il ritorno al proporzionale è stato sostenuto dal desiderio di avere una Camera-fotografia del sentire politico del Paese, dall’altra l’attuale legge Calderoli attribuisce una “comoda” maggioranza assoluta alla lista o alla coalizione che riesce a superare le altre di almeno un voto, con un quorum minimo fissato al 10%. La totale contraddizione con il principio proporzionale, dunque, inizierebbe a essere evidente già in un contesto politico con tre schieramenti in grado di “spartirsi” l’elettorato in modo più o meno omogeneo: quello con un voto in più farebbe la parte del leone, ottenendo un premio di maggioranza tale da raddoppiare quasi il numero dei seggi rispetto alla percentuale di voti ottenuti.

G. Pezzella
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